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‘Stato di necessità’: tre anni fa il Ticino entrava in lockdown

L’11 marzo del 2020 venivano annunciate le prime restrizioni anti-Covid: cinque giorni dopo chiudeva tutta la Svizzera. Ripercorriamo le tappe della crisi

Tutti in mascherina

L’11 marzo del 2020 venivano annunciate le prime restrizioni anti-Covid: cinque giorni dopo chiudeva tutta la Svizzera. Ripercorriamo le tappe della crisi

11 marzo 2023
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"A partire da domani, dalla mezzanotte di questa sera è decretato lo stato di necessità sull’intero territorio cantonale sino al 29 marzo 2020". Tre anni fa, l’11 marzo 2020, con queste parole lette in conferenza stampa Christian Vitta, allora presidente del Consiglio di Stato, annunciava l’inizio del lockdown per il Canton Ticino: solo 5 giorni dopo, il 16 marzo, le restrizioni saranno estese a tutta la Svizzera. Iniziava così l’era Covid, inizialmente con la chiusura di tutti i luoghi di intrattenimento, poi estesa a ogni attività non essenziale, che avrebbe visto la sua conclusione quasi due anni dopo, il 17 febbraio 2022. Quello che è seguito a quell’annuncio è ormai fissato nella memoria collettiva, per molti come un incubo difficile da rimuovere: saracinesche abbassate, strade semivuote, le code davanti ai supermercati per gli ingressi contingentati, le case dei ticinesi che diventavano improvvisati uffici per il telelavoro. E soprattutto, le immagini degli ospedali che traboccavano di malati, gli infermieri allo stremo, il quotidiano conteggio dei contagi e dei decessi. Fino all’annuncio della speranza, il vaccino, che avrebbe riacceso la luce e consentito, nel giro di poco più di un anno, di uscire definitivamente dall’emergenza che oggi, seppur con le dovute cautele, appare come un ricordo non troppo lontano. Restano però ancora le ferite, per chi ha perso una persona cara, o combatte ancora con le conseguenze del long covid, per chi ha visto la propria attività professionale andare in crisi a volte irreversibile.

Ti-Press11 Marzo 2020: in Ticino è stato di necessità

Il 27 gennaio 2020, mentre dalla Cina arrivavano le immagini di Wuhan ridotta a città fantasma, l’avvento del virus in Ticino sembrava un’eventualità ancora remota: "Allo stato attuale la popolazione non ha alcun motivo di preoccupazione", scriveva il Dss in un comunicato stampa, dando indicazioni solo a chi si era recato in Cina nei giorni precedenti, e il medico cantonale Giorgio Merlani, destinato a una probabilmente involontaria celebrità nei mesi a seguire, considerava basso il rischio di contagio in Ticino.

Una serenità che, però, sarebbe durata meno di un mese: appena una settimana dopo il primo caso in Italia, il "Paziente1" della fino ad allora sconosciuta Codogno, il 25 febbraio del 2020 l’Ufficio federale di sanità pubblica, (Ufsp, una sigla che avremmo presto imparato a conoscere) annunciava che il primo caso di coronavirus in Svizzera era stato rilevato proprio in Ticino, in un 70enne ricoverato alla Moncucco. Ancora allora, tuttavia, il Consigliere federale Berset definiva "una misura esagerata" la chiusura dei confini: sarebbe stato smentito poco tempo dopo.

Due settimane dopo, il 10 marzo, i contagi erano già 91 e veniva annunciato il primo decesso in Ticino. Il giorno dopo, l’annuncio del Consiglio di Stato: vietati gli assembramenti oltre le 50 persone, chiusi cinema, teatri, musei, centri giovanili, piscine, centri wellness, discoteche, impianti pubblici e non solo, vietati gli eventi sportivi di ogni genere e categoria, elezioni comunali rinviate. Chiuse anche le scuole post-obbligatorie ma non quelle dell’obbligo, decisione caldeggiata da Berna e che non avrebbe mancato di suscitare aspre polemiche fino alla marcia indietro della Confederazione: il 13 marzo scuole chiuse in tutta la Svizzera e frontiere con l’Italia chiuse.

Keystone16 Marzo 2020: la Svizzera (si) chiude

Tre giorni dopo, il 16 marzo, il passo successivo: il Consiglio federale decreta la situazione particolare. Chiudono tutti i negozi, i mercati, i ristoranti, i bar e le strutture ricreative e per il tempo libero, come musei, biblioteche, sale cinematografiche, sale per concerti, teatri, centri sportivi, piscine e stazioni sciistiche, saloni di parrucchieri e centri estetici. Le frontiere vengono sigillate, si entra in Svizzera solo per lavoro o motivi di necessità, chiudono i valichi secondari. La Svizzera entra, definitivamente, in lockdown. Scattano le misure di sostegno alle imprese e ai lavoratori indipendenti, il lavoro ridotto, i crediti Covid, le indennità di perdita di guadagno. Indossiamo tutti una mascherina, restiamo in casa, parliamo ad amici e parenti in videochiamata: entriamo in guerra contro un nemico ancora poco conosciuto e subdolo. Impariamo a familiarizzare con parole nuove: test PCR o antigenico, isolamento, quarantena, contact tracing. Conosciamo persone che prima della crisi Covid erano ignoti ai più, a partire dai membri della task-force federale: Virginie Masserey, Daniel Koch, Patrick Mathys a Berna, e da noi Giorgio Merlani e il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini, personaggi che vedremo apparire sui nostri schermi con insolita frequenza e che diverranno, in fondo, i volti della lotta della Confederazione al coronavirus.

Ti-PressDal vaccino al Certificato Covid

Le restrizioni daranno, fortunatamente, i loro effetti: calano i contagi, scendono soprattutto i decessi. Il 12 maggio 2020, all’indomani della riapertura delle scuole e dei ristoranti e bar, il conteggio dei casi di coronavirus e dei morti segna per la prima volta in Ticino un doppio zero. L’estate darà una tregua, il 15 giugno 2020 riaprono le frontiere: poi a settembre si ricomincia: tornano i contagi, tornano i morti, e a dicembre e gennaio si richiude, ancora. Tornano anche le restrizioni ai viaggi, con le quarantene per chi proviene da determinati Stati o Regioni elencati in una lista dall’Ufsp. Ma intanto arriva il vaccino ad accendere la speranza: si inizia fra dicembre e gennaio, prima i fragili e poi progressivamente tutta la popolazione. Nel frattempo, tormentiamo i nostri nasi con i test antigenici per poter recarci in Italia a far spesa o al ristorante, fino all’annuncio da parte italiana della deroga per chi resta entro gli ormai famosi 60km da casa che ripristina in gran parte la mobilità transfrontaliera. Iniziamo a metter sempre meno la mascherina, poi in estate arriva il Certificato Covid, o green pass che dir si voglia, che a settembre del 2021 verrà esteso a tutti i luoghi chiusi: e con esso, insieme a una ritrovata libertà per molti, le tensioni sociali che culmineranno in scontri fra manifestanti e polizia a Berna.

Keystone16 Febbraio 2022: liberi tutti

Poi il 16 febbraio 2022 l’annuncio più atteso: fine di tutte le restrizioni, il certificato Covid va in soffitta, liberi tutti. Il 1° aprile 2022, con la fine dell’obbligo di mascherina sui mezzi pubblici e la revoca di tutte le residue restrizioni Covid, il ritorno alla normalità è completato.

Restano però, cicatrici profonde nel nostro tessuto sociale e nelle nostre vite quotidiane: 14’452 morti in tre anni, fino ad oggi. Una cifra che, insieme alle immagini degli ospedali pieni e delle serrande abbassate, sarà scolpita nella memoria collettiva per molto tempo ancora. Come la sensazione di smarrimento e angoscia dopo esserci svegliati da un incubo terribile: con la differenza che, purtroppo, è stato tutto reale.