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La legge sul terrorismo minaccia un po’ tutti

Quando si sposta dal tribunale alla stazione di polizia la facoltà di decidere chi perseguire, gli abusi sono dietro l’angolo

(Ti-Press)
10 giugno 2021
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A tagliarla con l’accetta, la polemica sulla nuova legge contro il terrorismo si riduce all’apparente contrasto tra sicurezza e Stato di diritto. Da una parte c’è chi sostiene la norma perché crede che coi presunti terroristi non si possa andare troppo per il sottile, e quindi va bene conferire alla polizia e ai servizi segreti la facoltà di limitarne autonomamente la libertà, sottoporli a restrizioni e interrogatori preventivi. Anche per salvarli da se stessi, come ci ha detto la consigliera nazionale Plr Jacqueline de Quattro riferendosi ai casi di ragazzini che si radicalizzano su internet (la legge si applicherebbe in molti casi a partire dai 12 anni). Dalla parte del no sta chi crede che non si possano svincolare questi interventi dal parere di un giudice, come vuole la separazione dei poteri alla base della democrazia, tanto più che la definizione di atti terroristici inclusa nella legge comprende tutto e niente: “Azioni tendenti a influenzare o a modificare l’ordinamento dello Stato, che si intendono attuare o favorire commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagandando paura e timore”.

Molto probabilmente domenica vincerà il sì: mentre tutti hanno un’idea concreta di cosa sia la sicurezza – non saltare in aria mentre vai a un concerto o a fare la spesa –, è molto più difficile apprezzare lo Stato di diritto, quell’impalpabile insieme di protezioni e libertà che ci permette di non subire abusi di potere. Ma poi, anche a capirne bene il valore, molti di noi potranno rispondere che questa legge si applica solo a chi quello Stato e quel diritto li vuole distruggere, “male non fare paura non avere”.

Quel contrasto tra sicurezza e diritto, però, è appunto apparente. Quando si sposta dal tribunale alla stazione di polizia la facoltà di decidere chi vuole “influenzare l’ordinamento dello Stato” – tema spinoso anche per il più scafato dei giuristi – si fa più concreto il rischio di ritrovarci in una rete che credevamo destinata a ben altri pesci. Viene da chiedersi ad esempio quanti ragazzi, infatuati magari per un secondo e mezzo da una pagina Facebook o da un raduno di fanatici, possano infilarsi in rogne legali immani e tirarsene dietro le conseguenze per una vita.

Poi ci sono i terroristi seri, quelli che non sono passati per sbaglio dalla Playstation ai meme dell’Isis, quelli che davvero vogliono rovesciare un sistema. Gente che difficilmente si farà incastrare per un post su Facebook o si lascerà intimidire da un colloquio in polizia. Per loro le leggi e gli strumenti d’inchiesta esistono già: il Codice penale non sanziona solo il fatto compiuto, ma anche la sua preparazione; i terroristi che per questo vengono giudicati ogni anno sono decine, la nuova legge non cambierà nulla. Come cambierà poco per i casi ‘borderline’, quelli nei quali alla fragilità psicologica si unisce una radicalizzazione rapsodica e sfuggente: viene in mente il caso dell’accoltellamento di Lugano, del tutto scisso da grandi reti del terrore, eppure commesso da una persona ben nota alle autorità. Che avevano gli strumenti necessari per fermarla, se solo fosse così facile distinguere chi sta male da chi si mette in testa di farne al prossimo. Purtroppo è impossibile prevenire tutto, risolvere in un solo scatto di manette disagio ed eversione. Non senza rischiare di ammanettare anche libertà e diritti, s’intende.

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