Le vodesi Jacqueline de Quattro (Plr) e Virginie Cavalli (Verdi liberali) si confrontano in un faccia a faccia sulle norme sottoposte a referendum il 13 giugno
Misura fondamentale per prevenire azioni terroristiche o pericolosa eccezione ai diritti dell’uomo e alla libertà individuale? È più o meno attorno a questo dilemma – dunque al difficile equilibrio tra sicurezza e libertà – che si gioca il referendum per la nuova legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (Mpt). Ne parliamo con due politiche vodesi: una consigliera nazionale favorevole alla nuova legge, la liberale Jacqueline de Quattro, e Virginie Cavalli, copresidente della sezione giovanile dei Verdi liberali tra i capofila del ‘no’.
La comunicazione ufficiale parla di prevenire il terrorismo in senso generale, ma nell’immaginario collettivo si pensa anzitutto a quello islamico. Finora la Svizzera è stata risparmiata da grandi attentati, anche se si sono registrati un accoltellamento fatale a Morges e uno non fatale a Lugano. Serve davvero una nuova legge?
De Quattro: Proprio questi episodi mostrano la necessità di poter intervenire su soggetti che si sapevano già radicalizzati e pericolosi, anche perché dagli attentati di Parigi del 2015 se ne sono registrati altri 75 in Europa e non possiamo illuderci di essere immuni dai rischi.
Ma non parliamo solo di terrorismo islamico: c’è anche ad esempio quello politico, con le frange violente di estrema destra come di estrema sinistra. In tutti questi casi vediamo soggetti spesso fragili, strumentalizzati per far loro compiere azioni irreparabili. Dobbiamo dare la possibilità alla nostra polizia di intervenire in maniera preventiva, beninteso solo in presenza di indizi gravi e concreti di minaccia della pubblica sicurezza. Ad esempio convocando queste persone per colloqui regolari, o in casi peggiori imponendo loro di non recarsi in certi luoghi e non incontrare certe persone. È un modo per difendere la sicurezza pubblica, ma anche per proteggere i potenziali terroristi da loro stessi.
Cavalli: Non c’è dubbio sul fatto che il terrorismo sia un pericolo da prendere molto sul serio, non dobbiamo essere ingenui. Ritengo però che sia possibile farlo restando nel solco dello Stato di diritto, evitando misure che la polizia al contempo decide e applica, senza validazione da parte di un giudice, con l’eccezione degli eventuali arresti domiciliari; e quindi travalicando la separazione dei poteri ed esponendosi al rischio di gravi abusi. Peraltro i nostri codici prevedono già la possibilità di sorvegliare i sospetti in via preventiva: non a caso i due responsabili dei delitti di Morges e Lugano erano noti alle autorità. Nel caso di Morges, l’accoltellatore era anche già stato in custodia cautelare in carcere. Esiste infine nel Codice Penale una sanzione esplicita per gli atti preparatori di delitto. Insomma: gli strumenti legali ci sono già. Lo Stato vuole sempre più potere e leggi per legittimarlo, mentre dovrebbe concentrarsi sull’utilizzo efficace dei mezzi che sono già a sua disposizione. Credo insomma che si possa e si debba combattere con strumenti che rispettano le libertà delle persone, ad esempio velocizzando i tempi della procedura penale.
La legge definisce le attività terroristiche come “azioni tendenti a influenzare o a modificare l’ordinamento dello Stato, che si intendono attuare o favorire commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagando paura e timore”. Si tratta di una definizione corretta?
Cavalli: No, quell’“influenzare l’ordinamento dello Stato” è decisamente troppo generico, e fa il paio con l’incertezza nel capire cosa sia un terrorista potenziale, come ha ammesso lo stesso Consiglio federale. Aggiungendosi al campo libero lasciato alla polizia, la definizione consente di intervenire su ogni sorta di militante: non si può escludere che venga utilizzata per intervenire ad esempio su attivisti per il clima o gruppi politici. Si tratta di rischi di arbitrio analoghi a quelli sperimentati con lo scandalo delle schedature. Io ho piena fiducia nella polizia, ma anche se fossi in auto col più prudente conducente del mondo preferirei indossare le cinture di sicurezza: ecco, in questo caso a mancare sono le cinture, i limiti capaci di circoscrivere l’applicazione della legge e le sue modalità.
De Quattro: La definizione di terrorismo si trova nella legge sulle attività informative che regola la nostra intelligence, e i consulenti legali di governo e parlamento hanno confermato la sua piena conformità al diritto, come quella della legge nel suo complesso. D’altronde anche la sicurezza e l’integrità fisica sono un diritto, e la legge per come è oggi non fornisce strumenti preventivi per bloccare certi potenziali terroristi prima che passino all’azione, cosa peraltro ben distinta dal normale attivismo politico. Il problema è simile a quello che abbiamo vissuto in passato su temi quali la violenza negli stadi e quella domestica, ambiti per i quali oggi sono effettivamente previste misure preventive quali il divieto di recarsi a seguire le partite o di avvicinarsi al domicilio del partner. Va infine ricordato che si prevede una gradualità nell’applicazione delle misure e una sua limitazione nel tempo, e che esse devono sempre restare sussidiarie e complementari alle misure educative, terapeutiche e integrative. Per ogni misura è possibile il ricorso e inoltre gli arresti domiciliari sono subordinati all’approvazione preventiva da parte di un giudice dei provvedimenti coercitivi.
Eppure numerose critiche sono giunte non solo da una sessantina di giuristi svizzeri, ma anche dal Consiglio d’Europa e dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani. Tra le altre cose, desta dubbi l’applicabilità della legge già a partire dai 12 anni di età, 15 per gli arresti domiciliari.
De Quattro: il diritto penale prevede già misure per i più giovani a partire dai 10 anni, naturalmente di natura diversa rispetto a quelle rivolte agli adulti. La stessa Convenzione Onu sui diritti del fanciullo ammette la legittimità di misure di polizia se in gioco c’è la pubblica sicurezza. Io ritengo sia molto utile, ad esempio, poter convocare a colloquio un ragazzino tornato coi genitori da zone di guerra jihadista o che sappiamo essere in contatto con cellule radicalizzate sui social network. Permette alla polizia di farlo riflettere, di fargli comprendere i rischi e le conseguenze di ciò che sta facendo. Meglio non aspettare che la sua incoscienza e magari un contesto familiare problematico lo facciano sbattere contro i risultati di certe scelte. Pensiamo ad esempio al minorenne che progettava di far saltare in aria la stazione di Losanna: non possiamo abbandonare questi giovani a loro stessi. Proprio i giovani sono spesso le prime vittime della radicalizzazione, si tratta di proteggerli.
Cavalli: Sono assolutamente d’accordo sul fatto che non si possano abbandonare giovani in difficoltà e potenziali prede del radicalismo. Ma è lo stesso diritto penale minorile del quale si è appena parlato che opera secondo principi di educazione e risocializzazione, del tutto ignorati da questa nuova legge. Io penso che il lavoro vero sia da fare a monte: controllando e bloccando le attività dei gruppi estremisti su internet e sui social network, sensibilizzando genitori e allievi a partire dalle prime classi scolastiche, lavorando sulla prossimità sociale con progetti che vanno ben oltre il colloquio alla stazione di polizia e le misure coercitive. E poi, ancora una volta, si pone il problema di chi decide cosa: non è ammissibile affidare il destino dei giovani – come d’altronde anche quello degli adulti – a operazioni la cui idoneità e proporzionalità non viene neppure vagliata da un giudice.
Infine, c’è chi teme che la legge faccia della Svizzera un ‘cattivo esempio’ per altri Paesi, anche non democratici, che vedendo quanto succede in una nazione-simbolo dei diritti umani avrebbero una scusa in più per prendere a spallate lo Stato di diritto.
De Quattro: Non si tratta di misure nuove. Sono già in vigore in Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Germania. Tra l’altro, firmando la Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo, abbiamo preso un impegno che non può rimanere solamente di facciata, e il cui mancato rispetto sarebbe problematico tanto dal punto di vista diplomatico quanto da quello della sicurezza collettiva. Anche questo è rispetto dei trattati e del diritto internazionale. Inoltre conta anche come si applicano le norme: non siamo una repubblica delle banane, sappiamo già che la nostra polizia non si abbandona ad eccessi in stile americano. Infine, per me gli interessi delle vittime sono chiaramente prioritari rispetto a quelli degli aggressori.
Cavalli: In realtà misure simili in Paesi come la Francia hanno già mostrato di essere di efficacia discutibile e di aprire la strada alla repressione di gruppi che poco hanno a che vedere col terrorismo. Resta il fatto che si tratterebbe di una legge di gran lunga tra le più severe tra i codici dei Paesi democratici. Quanto al fatto di non essere una repubblica delle banane: concordo, ed è esattamente per questa ragione che mi batto contro una legge che si fa beffe della nostra democrazia liberale. Una democrazia nella quale il potere giudiziario veglia su quello esecutivo e di polizia, il che aiuta a non sottoporre il cittadino ad arbitrio sulla base di timori vaghi. La nostra libertà può convivere con la sicurezza di tutti.