il dibattito

Femminicidio e il peso delle parole

Troppo spesso il problema viene relativizzato e i femminicidi minimizzati. Vengono presentati come reati sessuali, drammi famigliari o passionali.

Da due anni in Svizzera è in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). Nel febbraio 2021, la Svizzera sottoporrà al Consiglio d'Europa il suo primo rapporto sull'attuazione della stessa e indicherà le misure intraprese da Confederazione e Cantoni. Spiccherà il dato secondo il quale le donne che in Svizzera muoiono per mano di un (ex) partner sono in numero maggiore rispetto a varie altre nazioni europee. Nel contesto famigliare, in Svizzera vengono uccise in media due donne al mese. La percentuale di donne uccise da un (ex) partner è sette volte superiore a quella degli uomini. Una realtà preoccupante che va combattuta. Troppo spesso il problema viene relativizzato e i femminicidi minimizzati. Vengono presentati come reati sessuali, drammi famigliari o passionali. Anche la recente, tragica cronaca cantonale non ha fatto eccezione: nei media si è parlato fin da subito di “omicidio passionale”, un termine che si presta ad equivoci perché ricorda il delitto d’onore e che collega un gesto folle e violento all’amore e alla passione, quasi a volerlo giustificare.

L’infelice termine di “omicidio passionale” ricorre anche all’art. 113 del Codice Penale Svizzero (CPS). Ecco perché abbiamo deciso di esaminare la questione e agire a livello politico. Innanzitutto per correggere un evidente problema di traduzione dell’articolo citato: nella versione tedesca si parla di “Totschlag”, senza il riferimento alla passione che si trova invece sia in italiano che in francese. Ma i termini hanno un peso: se anche giuridicamente l’articolo può non risultare problematico, lo è, complice certamente anche l’utilizzo del concetto di “delitto passionale” nei media, la traduzione del CPS. Si rende dunque indispensabile una correzione per garantire l’uniformità a livello linguistico e non dare adito a stereotipi sessisti suggerendo attenuanti e giustificazioni rendendo, di fatto, la vittima (donna) in parte colpevole. È una delle proposte che sottoporremo alle camere federali.

La Convenzione di Istanbul rafforza la prevenzione e l’educazione, in modo da incidere sui fattori culturali che stanno alla base della violenza di genere e che vedono la donna come proprietà dell’uomo. Alcuni paesi si sono dotati di legislazioni specifiche per combattere la violenza nei confronti delle donne e in ambito domestico, altri hanno anche introdotto la nozione di femminicidio a livello legislativo. Il nostro paese ha adottato la “Legge federale per migliorare la protezione delle vittime di violenza” e ha adeguato la Legislazione, ma non ha una Legge federale specifica per la lotta contro la violenza domestica. La seconda richiesta che sottoporremo a Berna sarà quindi quella di una strategia nazionale contro il femminicidio, che contempli il livello penale e civile la prevenzione e l’educazione. Parlare apertamente di femminicidio aiuterà anche ad affrontarne le cause della violenza di genere e a non trasmettere pericolosi stereotipi. I dati parlano chiaro: non si può perdere tempo, perché troppe sono le vittime di violenza e femminicidio. Le misure a livello nazionale e cantonale per combattere la violenza di genere devono essere una priorità politica.
Siamo fiduciose che le nostre proposte alle Camere troveranno il sostegno di chi ci ha criticato da queste pagine negli scorsi giorni. Sarebbe probabilmente bastata una telefonata per sondare le nostre intenzioni, dissipare i dubbi giuridici e comprendere la necessità di azione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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