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Giappone 260, Svizzera 40

(Keystone)

Cosa hanno in comune la Svizzera e il Giappone? Sono due nazioni economicamente forti, con grandi capacità innovative, una bilancia commerciale quasi sempre in attivo grazie alla loro forza nel settore manifatturiero, una lingua (giapponese e schweizerdeutsch) che nessuno capisce ma, soprattutto, una moneta nazionale. Naturalmente hanno anche delle diversità come la popolazione (120 milioni contro 9) ma, innanzitutto, il Giappone ha un debito pubblico del 260% rispetto al Pil mentre la Svizzera si ferma al 40%.

Secondo la propaganda economica imperante e accettata come dogma assoluto, il Giappone dovrebbe essere ingovernabile e sull’orlo del fallimento, ma non è così. Come mai? Una prima risposta la fornisce la Teoria monetaria moderna (Mmt), che qui riportiamo nei suoi elementi essenziali allo scopo dell’articolo. La Mmt afferma che il deficit pubblico è un mito. In sostanza questo deficit può essere aumentato a dismisura, praticamente senza vincoli, finanziando maggiori spese e investimenti pubblici con emissioni di titoli di Stato a loro volta acquistati, con emissioni di moneta, dalla banca centrale. La teoria monetaria tradizionale afferma che le tasse servono a finanziare la spesa pubblica, mentre secondo la Mmt lo Stato deve prima spendere la valuta che emette e solo dopo la riscuote attraverso le tasse, che sono pagate dal settore privato. Le capacità di spesa dello Stato non sono quindi vincolate dalle entrate fiscali ma dalle capacità di creare moneta. Teoricamente uno Stato sovrano può quindi stampare moneta in grandi quantità (come successo durante la pandemia). La critica ortodossa a questo modello è evidente: più immetto moneta più creo inflazione. Ma secondo la Mmt se l’inflazione dovesse crescere, basterebbe rallentare la spesa pubblica a condizione che la banca centrale “obbedisca” alle strategie della politica economica.

Indipendentemente dal dibattito teorico possiamo attingere dall’esperienza. Il Quantitative Easing applicato dalla Banca centrale europea a partire dal 2008 è molto simile a quanto auspicato dalla Mmt e l’espansione monetaria non ha creato inflazione. Il problema è che l’Ue non è uno Stato sovrano ma un insieme di Stati che non hanno sovranità monetaria e questo crea non poche divergenze tra i Paesi membri. L’Italia – per fare un esempio a noi vicino – prima di entrare nell’euro gestiva autonomamente la politica monetaria e finanziava il proprio debito pubblico attraverso titoli pubblici, che venivano acquistati nella stragrande maggioranza dagli italiani. In alcuni anni il rendimento nominale sui titoli pubblici arrivò attorno al 15%. In altre parole, chi deteneva titoli per 100 milioni di lire a fine anno riceveva 15 milioni. Oltre a essere un ottimo strumento di redistribuzione della ricchezza, l’indipendenza monetaria italiana permetteva di operare sui tassi di cambio per rilanciare le esportazioni.

In Giappone succede la stessa cosa. La stragrande maggioranza del debito pubblico (90%) viene acquistato dai giapponesi e anche in questo caso, nonostante l’enorme debito pubblico (per gli standard ortodossi) non c’è inflazione, i mercati non sono particolarmente preoccupati e continua a essere la terza potenza economica mondiale. La Svizzera ha invece sempre adottato la strategia della formichina e appena il debito pubblico tende a salire, scatta l’allarme (freno all’indebitamento). Purtroppo, i nostri titoli pubblici sono considerati un bene rifugio per gli investitori internazionali (circa il 20%), causando così pressioni sul franco (pure lui un bene rifugio) che continua a rivalutarsi rispetto alle principali monete, determinando non poche difficoltà alle esportazioni che sono il motore dell’economia nazionale. Solo una piccola parte del debito è in mano direttamente ai cittadini svizzeri, fatto che annulla l’effetto di redistribuzione. In realtà il nostro Paese è il miglior allievo del Trattato di Maastricht, pur non facendone parte. Rispettiamo tutti i parametri di un modello obsoleto basato su una visione della politica monetaria neoliberista e sempre più criticato.

Affermare che in Svizzera si dovrebbe aumentare la spesa pubblica suona come blasfemia, ma arrivare al punto di tagliare i fondi per la ricerca o al progetto europeo Copernicus perché non ci sono soldi è decisamente fuori da ogni logica, oltretutto se nel frattempo si aumentano le spese militari. Il nostro Paese si trova di fronte a una sfida difficile: continuare a essere la formichina con il rischio di peggiorare i nostri indicatori economici importanti (crescita dei salari reali, disoccupazione, esportazioni) o cambiare strategia, indebitandoci per rilanciare la crescita e garantire il benessere (sempre più precario) al quale siamo abituati.

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