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La moschea che la Francia paga, ma non vuole

Il comune di Strasburgo finanzia il progetto, Parigi prova a bloccarlo. Sullo sfondo l'avanzata di un Islam conservatore legato a Erdogan, nemico di Macron

Il momento della preghiera in una moschea (Keystone)
30 marzo 2021
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Una grande moschea finanziata con denaro pubblico. Nella stessa città dove ha sede il Parlamento europeo. Nel Paese simbolo della divisione netta tra Stato e religione. Con un ministro con i nervi a fior di pelle che attacca le autorità locali sui social network, ignorando leggi e bon ton. Mentre l’Islam avanza andando a braccetto con chi dimostra – con i fatti – di voler fare passi indietro sui diritti civili promuovendo una società patriarcale e conservatrice.

Sembra un capitolo di “Sottomissione”, il libro di Michel Houellebecq che immaginava una Francia spaesata caduta nelle mani di un partito musulmano dopo le elezioni del 2022. Invece è il 2021 e la République - con l’Islam lontanissimo dall’Eliseo - si sta incartando proprio dove non dovrebbe, a Strasburgo, con chi non dovrebbe: la longa manus del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan.

Tutto questo caos ha un nome, ovviamente turco: Millî Görüs. Un’organizzazione islamica con 150’000 associati in Europa che gestisce oltre 600 moschee: 71 si trovano in Francia. Una è quella della discordia, destinata – se i progetti dovessero andare in porto – a diventare la più grande dell’Europa continentale. Si chiama, perché esiste già dal 1996, sebbene in formato ridotto, moschea Eyyub Sultan.

Un lavoro in tandem

I lavori, come spesso capita a queste opere – fatte di tanta politica e religione almeno quanto di calcestruzzo – erano partiti nel 2013 e poi sono andati avanti a singhiozzo. Ora che sono ripartiti, il Consiglio comunale di Strasburgo ha contribuito al finanziamento per 2,5 milioni di euro. Su un totale di 32 milioni. Lì nasce il cortocircuito con Parigi, che con la Turchia di Erdogan non ha rapporti idilliaci da tempo. E fa pochissimo per nasconderlo. L’ultimo mal di pancia è recentissimo e risale a dieci giorni fa, quando la Turchia è uscita dalla Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza di genere e domestica.

A fine gennaio uno strappo meno clamoroso, ma altrettanto lacerante era arrivato dai vertici di Millî Görüs, che si erano rifiutati di firmare la Carta dei principi per l’Islam di Francia fortemente voluta dal presidente Emmanuel Macron. In sostanza, la confederazione islamica aveva detto no a un’adesione formale alle basi della Repubblica, rigettando il principio della laicità dello Stato e l’uguaglianza uomo-donna. Non una sorpresa per chi segue quelle vicende da vicino, come Jean Marcou, professore universitario ed esperto di Turchia, che interpellato da Le Parisien sui legami tra Millî Görüs e l’Akp (il partito di Erdogan) ha ricordato come le posizioni tradizionaliste dell’uno e dell’altro siano perfettamente sovrapponibili: “Sono molto conservatori e hanno un progetto simile a quello dei Fratelli Musulmani, rendere l’Islam il più politico possibile”. Erdogan fa la stessa cosa, a rovescio: rendere la politica più islamizzata possibile. Lì i due progetti si incrociano. Non solo in Francia. Più volte in Germania hanno visto pedalare questo tandem, a tal punto da mettere Millî Görüs sotto osservazione. Marcou ha ricordato che dal 2014 i turchi residenti all’estero possono votare. Per questo c’è bisogno di qualcuno che tenga il legame ben stretto tra chi comanda ad Ankara e i tanti turchi che vivono in Europa: “questo permette a Erdogan di consolidare la propria base. Vedere un’associazione quasi al servizio di un Paese straniero che prende così piede in Francia è preoccupante. E lo Stato dovrebbe iniziare a preoccuparsene”. Lo ha fatto, ma nel modo sbagliato.

Leggi di due secoli fa

Qui entra in gioco il tweet impulsivo del ministro degli interni Gérald Darmanin, che ha attaccato la sindaca di Strasburgo Jeanne Barseghian per aver dato soldi pubblici a un’organizzazione come Millî Görüs. In Francia sarebbe vietato per legge finanziare i luoghi di culto. Ma non in Alsazia, dove di trova Strasburgo. Perché ai tempi di quella leggere, datata 1905, l’Alsazia era tedesca. Lì, e in Mosella, vale un concordato del 1802 mai abrogato. Anzi, in virtù di una delibera del 1999, l’Islam è incluso tra le religioni a cui spetta il dieci per cento del costo totale di un luogo di culto. Risultato: la sindaca ha risposto che se il governo è davvero così preoccupato per Millî Görüs, dovrebbe scioglierlo, non mettere paletti dove la legge non li prevede.

Insomma, un bel pasticcio da cui Parigi non sa ancora come uscire e in cui perfino alcune date suonano beffarde: il 15 luglio è il giorno in cui alcuni affiliati di Millî Görüs in Francia anche quest’anno vorranno celebrare l’anniversario del golpe mancato ai danni di Erdogan, fatto controverso che portò un surplus di potere al sultano. Cade esattamente ventiquattro ore dopo la Festa nazionale francese, quella della Rivoluzione più famosa del mondo. Fino a ora.

I prossimi capitoli restano da scrivere, magari da qualcuno meno fantasioso e catastrofista di Houellebecq.

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