Tensioni geopolitiche, crisi energetica, inflazione, incognite legate alla politica monetaria: quattro analisti valutano le prospettive degli investimenti
Chiudendo la partita, il 2022 non si è portato via le criticità, lasciandocele tutte in eredità per il 2023: tensioni geopolitiche, inflazione, crisi energetica e, all’orizzonte, il fantasma di un rallentamento della crescita. Non sono problemi di immediata soluzione, ma il percorso verso la normalizzazione sembra tracciato. Secondo gli analisti, infatti, l’attesa contrazione dell’economia è già stata in parte prezzata dai mercati, con valutazioni azionarie più interessanti, mentre la politica monetaria adottata dalle banche centrali ha dato una prima mano di smalto agli asset obbligazionari.
Dopo un burrascoso 2022, anche il 2023 si apre con diverse preoccupazioni all’orizzonte: tensioni geopolitiche, inflazione persistente, crisi energetica. Sono i fattori che impatteranno sulle economie dei paesi sviluppati e di alcuni paesi emergenti, provocando un rallentamento della crescita. Secondo Bruno Rovelli, chief investment strategist di BlackRock Investment Institute, il principale freno alla crescita in Europa è lo choc energetico che vale dodici punti percentuali di Pil, a cui si aggiungono le pressioni inflazionistiche. In tale scenario, come azione di contrasto, i mercati si attendono che la Banca centrale europea sospenda il rialzo dei tassi d’interesse, ma di certo non effettuerà tagli che saranno un argomento del 2024. Negli Usa, la crisi energetica è più contenuta. L’impatto su famiglie e imprese è stato in parte attenuato attraverso i bilanci pubblici. Oltreoceano si deve fare i conti con il mercato del lavoro che stenta a tornare a livelli occupazionali pre Covid, con inevitabile ripercussione sulla crescita, prevista in rallentamento nella seconda metà dell’anno. Secondo BlackRock, di fronte a uno scenario di disoccupazione è presumibile che la Federal Reserve adotti una politica monetaria più accomodante, accettando di convivere con un’inflazione più alta. Rovelli ritiene che l’inflazione di oggi sia in parte il risultato di forze cicliche che stanno migliorando e in parte il risultato di forze strutturali che, invece, continueranno ancora per diverso tempo a esercitare pressioni. Negli Usa l’inflazione dovrebbe attestarsi più vicina al 3% che al 2%, mentre per l’Europa il 2% è un livello realistico. Più favorevole è il quadro macroeconomico del Giappone, dei Paesi Emergenti e della Cina. In queste aree l’inflazione è bassa e, quindi, non si rischia la recessione. Questi Paesi hanno attivato politiche monetarie restrittive molto prima dei paesi industrializzati. L’hanno fatto appena il ciclo economico ha cominciato a migliorare. La Cina, adesso è alle prese con la riapertura post Covid e potrebbe riprendere a crescere.
Sul fronte dell’inflazione il peggio dovrebbe essere alle spalle (il picco negli Usa è stato toccato a giugno con il 9,1% su base annua e nell’area euro nel quarto trimestre 2022 con il 10,4%), ma la volatilità sui mercati azionari resterà ancora elevata, almeno nella prima parte del 2023, quando l’economia dovrebbe rallentare ulteriormente, sia nell’area euro, sia negli Stati Uniti, dove è attesa una recessione blanda fra il secondo e il terzo trimestre dell’anno. Questo scenario dovrebbe tradursi in una crescita anemica degli utili aziendali che, oggi, per le società dei Paesi sviluppati gli analisti prevedono attestarsi intorno a un +4% nel 2023 e a un +8% nel 2024. È, tuttavia, probabile che queste stime vengano riviste al ribasso.
È questa la visione di Filippo Di Naro, responsabile direzione investimenti di Anima, che in questa fase raccomanda un’allocazione bilanciata del portafoglio azionario, scegliendo di preferenza i settori più difensivi. Questi titoli tendono a essere più resilienti durante le fasi di debolezza dei mercati. Anima privilegia i farmaceutici, perché caratterizzati da margini netti ancora elevati e i beni di prima necessità. Lo scenario macro economico dovrebbe migliorare in modo evidente nel secondo semestre del 2023. Secondo Di Naro il taglio delle stime di crescita di utili e dividendi si rifletterà negativamente sui corsi azionari già nei primi mesi dell’anno. I principali benchmark di Borsa potrebbero registrare nuovi minimi all’inizio della primavera. A quel punto si potrebbe profilare l’opportunità di aumentare strategicamente l’esposizione all’asset class azionaria, soprattutto se le banche centrali dovessero attenuare il contrasto all’inflazione, o cambiare rotta. Politiche monetarie più accomodanti, infatti, alimenterebbero un calo dei tassi reali, innescando un rialzo più repentino delle valutazioni azionarie. Il benchmark di riferimento scambia a circa 14 volte gli utili stimati a 12 mesi, contro una media dell’ultimo decennio di 15 volte. Di Naro ipotizza che, al raggiungimento del punto minimo dei prezzi, si potrà tornare a riacquistare i settori ciclici, in particolare finanziari e industriali.
Siamo di fronte a cambiamenti epocali e il 2023 potrebbe essere l’anno della svolta. Dopo un periodo prolungato di tassi molto bassi e inflazione sotto controllo, il denaro ha di nuovo un costo e l’inflazione ha ripreso a correre. Tuttavia, le cattive notizie per l’economia, tra cui la recessione imminente, possono diventare buone notizie per i mercati. Non appena le banche centrali saranno riuscite a raffreddare l’inflazione e i tassi si saranno stabilizzati, allora potrebbero presentarsi interessanti opportunità per rientrare sui mercati obbligazionari e azionari. Tutto dipenderà dalla gravità della recessione globale attesa e dall’impatto che avranno sull’economia le quattro D, i fattori dominanti nel prossimo anno: Deglobalizzazione, Decarbonizzazione, Debito e Demografia.
È questa la visione di Enzo Corsello, responsabile Italia di Allianz Global Investors. Nella «nuova vecchia normalità» Allianz gi intravvede potenziali opportunità negli asset obbligazionari, a partire dai titoli governativi fino al credit investment grade, in particolare Usa ed euro. Il prossimo anno potrebbe essere anche quello giusto per posizionare i portafogli in ottica di lungo periodo, ma in questa fase la cautela è ancora d’obbligo. Il quadro macroeconomico, infatti, si conferma critico. L’inflazione potrebbe dimostrarsi più vischiosa del previsto, nonostante il possibile rallentamento del trend rialzista innescato dalla decelerazione economica. In molti casi, le curve dei rendimenti delle obbligazioni governative sono piatte o invertite, pertanto i bond a breve potrebbero offrire un reddito pari o superiore a quello del debito «lungo». Di contro, le obbligazioni brevi potrebbero non essere utili per arginare la volatilità del portafoglio. Per Corsello, quindi, almeno nella prima parte dell’anno, gli investitori dovrebbero valutare un mix di cash e bond a breve scadenza e strategie di copertura basate su derivati in modo da minimizzare la volatilità. Le obbligazioni a tasso variabile sono un altro strumento per incrementare l’esposizione al debito corporate con duration breve. Ma il loro rendimento è inferiore a quello delle emissioni societarie a tasso fisso.
La transizione energetica è la vera grande sfida planetaria del 2023 e degli anni successivi. Ciò implica mettere in campo concreti interventi per accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili. Per arrivare a un’economia a zero emissioni di carbonio nel 2050 i mercati dei capitali dovranno prevedere investimenti per complessivi centomila miliardi di dollari entro il 2050. Il più grande impegno economico dai tempi del Piano Marshall e dall’ascesa della Cina negli anni 90 che ha portato alla grande trasformazione economico- finanziaria. Questi investimenti avranno una duplice conseguenza: da un lato produrranno, già nel 2023, una robusta crescita dei settori legati alle fonti alternative, in particolare la solare, l’idrogeno verde e il nucleare; dall’altro il rinnovamento di numerosi settori legati ai combustibili fossili, come batterie, lampadine e mobilità, dove legislazioni sempre più stringenti stanno spingendo fuori dal mercato i vecchi modelli. L’elettrificazione dei mezzi di trasporto può ridurre le emissioni globali di carbonio del 16% entro il 2040.
È questa la visione del settore energetico di Stefania Paolo, Country head Italia di Bny Mellon im, che aggiunge: «Negli Usa, sono già stati messi sul tavolo 370 miliardi da investire nei prossimi cinque/dieci anni in tutti i principali settori dell’energia. La fetta più sostanziosa, 90 miliardi, andrà ai costruttori di batterie e alle energie rinnovabili, ma sono previsti stanziamenti anche per il nucleare, il trasporto sostenibile, apparecchi e prodotti a consumo ridotto e l’idrogeno. Per incentivare la transizione verso un’energia pulita e sostenibile, in Europa si lavora sul Piano per l’Energia (Repower Eu), che, in seguito all’aggravamento della guerra in Ucraina, come primo obiettivo vuole garantire l’approvvigionamento dell’energia, riducendo la dipendenza dalla Russia e ha previsto 210 miliardi da spendere entro il 2027, soprattutto nell’energia solare, idrogeno verde ed efficientamento energetico, anche tramite stimoli fiscali per incentivare l’installazione di impianti di riscaldamento di nuova generazione e l’isolamento termico degli edifici.