laR+ L’intervista

Punture di Cruciani

Qui a ruota libera come alla Zanzara su Radio24. Il 17 settembre a ‘Endorfine’ per parlare (anche) del ‘prontuario contro il logorio della coppia moderna’

Giuseppe Cruciani, domenica 17 settembre alle 15 a Lugano, Palazzo dei Congressi
(or International Journalism Festival)
15 settembre 2023
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Sulle ultime riguardanti la sua Juventus, «sorvoliamo»; sul nostro desiderio di essere mandati a quel paese da lui, anche solo per avere una segreteria telefonica originale, «no, non la manderò a quel paese». Giuseppe Cruciani è più vicino a Lugano, endorfina aggiunta alle Endorfine che si aprono venerdì 15 settembre con lo scrittore Antonio Curati e si chiudono domenica 17 con lui, a seguire la podcaster Cecilia Sala. In mezzo, reporter (Elena Kostyuchenko), prigionieri di guerra (Mohamedou Ould Slahi), designer (Patricia Urquiola), uomini di Stato (italiano, Maurizio De Luci) e di spettacolo (Nino Frassica).

Uomo di spettacolo – meglio sarebbe ‘shock jock’, conduttore alla Howard Stern, per intenderci – è anche Cruciani, la cui ‘Zanzara’, programma di culto del panorama radiofonico italiano da lui ideato e condotto su Radio24, dell’irriverenza ha riscritto le regole, o ne ha scritte di assai personali, e del turpiloquio pure. Se ne parlerà domenica al Palazzo dei Congressi dalle 15 alle 16.15 in ‘Punture di Zanzara’, incontro nel quale si parlerà di radio e relativi contenuti ma pure di ‘Coppie’, “prontuario contro il logorio della coppia moderna”, libro che lo vede in copertina come un moderno Jim Morrison, ideale seguito di ‘Nudi. Il sesso degli italiani’, che lo vede in copertina a mostrare il posteriore. Nudo, come vuole il titolo.

Giuseppe Cruciani. Il mio pensiero all’annuncio della sua presenza a Lugano è stato “non sanno quello che fanno”. Lei, uomo di radio, varca i confini di una nazione nella cui radio, io credo, non si è mai sentita la parola “c****”, ma forse anche meno. Come si sente alla vigilia del suo ‘Endorfine’?

Ma no, qualche volta si sarà detto un “c****”, anche alla radio svizzera…

Io ricordo di liberatorie da firmare, che forse ancora si firmano, in cui si promette l’uso di un linguaggio consono, anche solo per parlare del Festival di Sanremo…

Il linguaggio che tutti noi usiamo nella vita può essere ogni tanto sboccato, triviale, popolare. Ci sono diversi registri, l’importante è che siano autentici, genuini, non finti. Sul significato del cosiddetto turpiloquio sono stati scritti trattati di linguistica, filosofia e molto altro. Per cui mi sento assolutamente a mio agio, perché quel linguaggio è una parte della mia vita che non ignoro e che, anzi, faccio mia quotidianamente. Non mi vergogno, talvolta, di usare parolacce, lo faccio in modo naturale, senza forzature. Dietro ogni parolaccia c’è un mondo, c’è un quadro, un dipinto, fino all’affresco.

Ammesso che un giorno glielo propongano, le piacerebbe un programma tutto suo alla Rsi?

Io non so quale sia il mercato da voi, ma un’eventuale trasmissione dovrebbe avvicinarsi alla radio che faccio io, con lo stesso tipo di presupposti: un microfono aperto a persone che dicono quello che vogliono e un conduttore che non faccia solamente il vigile urbano. Messa così, è un’ipotesi che potrebbe affascinarmi.

Diciassette anni dopo, dal suo punto di vista, qual è il successo della ‘Zanzara’?

Un misto di tante cose: fortuna, casualità, volontà, chimica, lavoro collettivo.

Parlando di come nasce una puntata, ha dichiarato: “Non sono un improvvisatore”.

L’improvvisazione mi piace sul momento, ma non sono uno di quelli che vanno in onda con un foglio bianco davanti, devo avere del materiale sul quale appoggiarmi. Ogni singolo quarto d’ora della trasmissione viene preparato in maniera minuziosa, per aprirsi a tutto quanto può avvenire durante, che esuli dal copione. Per accogliere il caos, laddove esso si presenti, non ci si può affidare all’improvvisazione.

Di nuovo: diciassette anni dopo La Zanzara, o partendo ancora prima, dagli anni di Radio Radicale, la radio è ancora per lei – parole sue – un’ossessione?

Abbastanza. Se l’ossessione si fosse spenta, probabilmente dovrei dedicarmi a un altro tipo di lavoro, almeno per come lo intendo io. È un’ossessione sana, di tanto in tanto insana come tutte le ossessioni. L’insanità è pensare continuamente alle soluzioni, a cosa mettere in campo ogni giorno. E il fatto che questo accada ogni giorno, non è una cosa secondaria.

Ama la forma podcast?

Posso dire che La Zanzara è fondamentalmente un podcast, e tra i più ascoltati d’Italia. Un podcast ‘non originario’, come dicono quelli bravi, che nasce come programma in Fm, ma lo siamo a tutti gli effetti, in parte anche video. Il mondo dei podcast mi affascina, ma lo trovo già molto frequentato, sin troppo. Chi, oggi nel mondo della comunicazione, non ha un podcast, non partecipa a un podcast o non vorrebbe farlo? Sta quasi diventando una cosa vecchia…

Cito dalla prefazione a ‘Coppie’, il suo ultimo libro: “Da trentacinque anni ho, alla luce del sole, una relazione con due donne. Mia moglie Anna e Patricia, la mia compagna. In un rapporto del genere è fondamentale la gestione dei dettagli. Non sono in possesso di nessuna formula segreta o magica, ma cerco di comportarmi in modo naturale e di essere, nei limiti del possibile, leale”. Per un attimo ho pensato fossero parole sue…

Enzo (Ghinazzi, in arte Pupo, ndr) è una persona a me molto cara. Gli ho chiesto un’introduzione senza che prima leggesse il libro. Gli ho chiesto di raccontare il suo equilibrio, perché è di equilibri che si narra al suo interno, una storia di equilibri che si possono raggiungere all’interno di una coppia, e lui è il maestro di un equilibrio un po’ anomalo. All’interno di due coppie, in questo caso.

Da dove arrivano le storie di ‘Coppie’?

Da amici, amici di amici e dalle segnalazioni degli ascoltatori. Nel libro, delle storie che ho raccontato in radio, alla fine ce ne sono tre. Ho privilegiato quelle che mi piacevano di più, quelle per certi aspetti le più originali, a tratti estreme, ma credo che in molti si potranno riconoscere nei tratti generali, che stanno appunto nel cosa fare quando un elemento della coppia ha desideri che esulino da quelli direttamente legati al compagno o alla compagna. Poi, è vero, le singole storie possono essere non particolarmente comuni, la ninfomania e lo scambismo non appartengono proprio alla maggioranza delle persone, ma in ogni storia, a mio parere, ognuno potrà ritrovarsi, almeno nelle passioni e negli slanci che da esse emergono.

“La monogamia è contronatura: la stragrande maggioranza delle persone infatti ‘tradisce’ e intrattiene rapporti al di fuori della coppia”. Considerato che il Bdsm, da deviazione, è stato derubricato a pratica sessuale soltanto negli ultimi secoli, quando pensa che il suo pensiero sulla monogamia sarà pienamente accettato?

Non si tratta di essere accettato oppure no. È così, e chi lo nega, nega la realtà. Si potrà anche essere monogami o tentare di esserlo, ma da questo punto di vista i casi singoli non sono significativi. Tutti noi pensiamo di essere monogami quando ci mettiamo insieme a qualcuno, tutti noi aspiriamo alla monogamia, in teoria; in quel momento lo siamo e pare non esserci nient’altro che ci possa far dire male della monogamia. Questa aspirazione, questo sogno, s’infrange contro il principio di realtà, che ci dimostra, sempre non considerando i casi singoli, che la gente tradisce, e si tratta di avere a che fare con questa materia, che va trattata laicamente, non in maniera religiosa, né apocalittica.

Nel libro lei denuncia la “criminalizzazione del sesso”, che è “di natura religiosa”, facendo felice tutti coloro i quali sposerebbero una class action contro la Chiesa per essere risarciti delle spese dell’analista…

… e delle spese degli avvocati, aggiungerei. La questione è molto personale. Restando ai grandi numeri, ospitiamo nel nostro cervello una formazione culturale innata, derivante dalla religione e non solo, che è fondamentalmente sessuofobica. Il sesso fuori dalla coppia costituita è considerato peccato, significa che non ami e che stai commettendo un errore, se detto in termini religiosi. Consideriamo il sesso al di fuori della coppia qualcosa da rifuggire, tant’è vero che siamo disposti a perdonare al nostro partner ogni nefandezza, tranne i desideri nei confronti di un altro uomo o di un’altra donna, ancor meno il desiderio realizzato. Sempre nella maggior parte dei casi, si tratta di qualcosa di invalicabile, intollerabile, di una conditio sine qua non. Io sostengo invece che si può continuare ad amare, anche molto, pur facendo sesso con altre persone.

La cosa non è in contrasto. È la formazione culturale di cui parlavo che il contrasto lo ha creato, per la convinzione che il corpo della persona con cui stiamo sia anche un po’ nostro, e il fatto che questo corpo possa andare da un’altra parte anche per un breve periodo, che siano dieci minuti o un paio d’ore, lo consideriamo come una specie di attentato alla costituzione.

La trasgressione che diventa normalità si deve, secondo lei, anche al fatto che tradire è diventato un po’ più complesso? Nella totale tracciabilità del nostro muoverci e comunicare, è più facile ammettere che nascondere? È più facile essere Pupo che fedeli ‘come i piccioni e i cattolici’, per dirla con Woody Allen?

Io non credo sia più facile ammettere. La tecnologia ha semmai reso più facile cercarlo e compierlo, il tradimento. Ma non credo sia più facile perdonare o addirittura condividere il desiderio. Credo che ancora questa possibilità sia segnata dall’impedimento moralista. Leggiamo tante cose, sentiamo di un mondo liquido, aperto, fantastico, ma senza grande accettazione del nostro desiderio, ancora condizionato dai blocchi culturali cattolici che vedono la coppia, dal punto di vista corporeo, come qualcosa di intoccabile. Questo porta a dire “la donna è mia”, “l’uomo è mio” e guai a chi me li tocca, uno strappo così grave che mette in discussione tutto il resto.

Per concludere: ha letto degli abusi sessuali nelle Diocesi svizzere?

Non nel dettaglio, ma che vuole che le dica: siamo alle solite. Qualche volta si pensa che le cose siano cambiate, ma come ogni corporazione, come ogni corpo chiuso, la Chiesa tende a difendere sé e i propri accoliti. Una vergogna assoluta.


Per la Nave di Teseo

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