Cronaca bolognese di ‘Folgorazioni figurative’, mostra dedicata a Pier Paolo Pasolini, fino al prossimo 2 novembre
"M’hanno ucciso il Pier Paolo!" Il vostro cronista non dimenticherà mai l’entrata di un suo ex professore, ottimo insegnante e fine intellettuale coraggiosamente dichiaratosi gay già negli Anni ’70, la mattina del 2 novembre 1975 al Bar Pedrini di Lugano. Appresi così da quel grido tra il teatrale e il disincanto dell’assassinio -mai definitivamente chiarito- di Pier Paolo Pasolini, figura di spicco e tra le più controverse del Novecento non solo italiano. Innanzi tutto per il suo coming out chiaro e netto, ma pure per quegli ‘Scritti corsari’ che regolarmente pubblicava sulla prima pagina del Corrierone milanese, dove prendeva posizioni sorprendenti riguardo la realtà italiana e in cui non mancava mai un’occasione per "épater les bourgeois". Come del resto aveva già fatto con i suoi romanzi d’esordio: ‘Ragazzi di vita’ e ‘Una vita violenta’, pubblicati nel quadriennio 1955/59.
A cent’anni dalla nascita di PPP, la Cineteca della sua città natale, Bologna, ci offre un ricco percorso (letteralmente: si entra da una parte e si esce da un’altra) attraverso il quale il visitatore può ripercorrere l’avventura esistenzial/artistica del saggista, traduttore, polemista, romanziere, attore, sceneggiatore e regista dalle radici friulane, Casarta per l’esattezza. Grande rilievo è giustamente dato all’impareggiabile critico d’arte Roberto Longhi (oggi tocca sopportare Sgarbi…), il quale gli trasmise non solo la passione per la Storia dell’Arte, bensì pure "il bisogno di leggere sempre nei volti l’alterità e la diversità, la spinta a uscire fuori di sé per conoscere il mondo", come scrive Marco Antonio Bazzocchi nel catalogo della mostra. Un’expo che, curata dalla Cineteca bolognese, punta la sua attenzione soprattutto sull’opera cinematografica di PPP, ma non solo.
Ammesso con pochi altri allievi ai corsi di Longhi in un’auletta dell’Università di Bologna nel non certo tranquillo 1941, PPP vive quelle "Folgorazioni figurative" (non a caso è il titolo della mostra) destinate a permeare tutto il suo cinema. Scopriamo così che l’urlo di Massimo Girotti in ‘Teorema’ – pellicola lanciata dai distributori con lo slogan "il primo film a suspence erotica", sic! – si sovrappone pari pari a quello della ‘Testa No. 6’ di Francis Bacon (1949); che parecchie inquadrature di Pierre Clementi in ‘Porcile’ debbano qualcosa ai dipinti di Giovanni Bellini della metà del XIV secolo; e che ‘La Madonna del Parto’ (celeberrimo capolavoro di Piero della Francesca che presenta Maria col pancione poiché, sembra, i poveri contadini di Monterchi non potevano permettersi anche il Bambino!) è riecheggiata tra le prime inquadrature del ‘Vangelo secondo San Matteo’, film girato in buona parte a Matera e per il quale PPP ha beccuzzato pure tra le opere di El Greco. Talvolta però il regista amante dell’Arte nega con veemenza d’essersi ispirato alle opere risalenti al suo amatissimo Medio Evo. A proposito degli ultimi frame del suo secondo film ‘Mamma Roma’, col protagonista ripreso su un letto di contenzione, scrive testualmente al suo mentore: "Il Mantegna non c’entra affatto! Ah, professor Longhi: spieghi lei come non basta mettere una figura di scorcio e guardarla con le piante dei piedi in primo piano per parlare d’influenza mantegnesca. Ma che occhi hanno questi critici? Non vedono che il bianco&nero così essenziale e fortemente chiaroscurato della cella grigia dove giace Ettore (lo sfortunato protagonista, accanto a una sulfurea Anna Magnani, n.d.r.), con la canottiera bianca e la faccia oscura, richiama piuttosto pittori vissuti molti decenni prima del Mantegna?".
È riuscito a mettere insieme su un set Marco Ferreri, Alberto Lionello e Ugo Tognazzi; ha diretto Totò, Silvana Mangano, Alida Valli, Maria Callas, Laura Betti, Domenico Modugno, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Cesare Musatti, Jean Pierre Léaud (l’alter ego di Truffaut), Josephine Chaplin e Orson Welles, dando altresì molto spazio in questo incredibile mix ad attori non professionisti. Era però filologicamente rigorosissimo: nella mostra c’è una foto che lo ritrae sul set de ‘La ricotta’ con un tomo illustrato aperto sulla pagina che ritrae una Crocefissione, sì da poterne ricalcare espressioni e prossemica per i suoi attori. Alla luce di quanto ha espresso più volte nella sua cinematografia, non è dunque azzardato tracciare un’analogia tra PPP e Caravaggio, entrambi ‘maledetti’, sia pure in epoche e società distanti secoli, eppure entrambi ispirati dalla vitalità e dalla morale senza regole dell’universo popolare che pulsa ai margini della società borghese; entrambi decisi tuttavia a immergersi in quel mondo. Ma è un rapporto che presenta anche il suo rovescio: come leggiamo nel catalogo dell’expo, "Caravaggio raffigurava i Santi come popolani, PPP ambiva a raffigurare i Santi come popolani".
Tra i numerosi contributi multimediali offerti dalla mostra, il video realizzato a New York da Agnèse Varda ci ha particolarmente colpiti, perché – crediamo – riassuma le vicissitudini affrontate da PPP quando di fronte alla sua collega transalpina dichiara: "Sono un marxista con nostalgia della fede". Tra le vicissitudini, ricordiamo i processi subiti per oltraggio al pubblico pudore e la censura che colpì dapprima il suo romanzo d’esordio (accusato di oscenità, ‘Ragazzi di vita’ fu infine assolto con formula piena, anche grazie agli interventi di intellettuali e politici come Carlo Bo) e poi alcuni suoi film, ‘Salò’ in particolare. Ricordiamo le scalmane del Giornale del Popolo prima e dopo la sua proiezione al Festival di Locarno.
Visto il grande successo della mostra, è stato deciso il suo prolungamento sino al prossimo 2 novembre, guarda caso proprio la data del giorno in cui qualcuno, nel 1975, ci privò del genio di Pier Paolo Pasolini.