L'intervista

'Dear Mister Fantasy', tre chili di rock

Il foto-racconto di 'un'epoca musicale in cui tutto era possibile' firmato Carlo Massarini torna nelle librerie per il suo decennale (con 140 pagine in più)

'Alla fine pure i miei si son convinti che un laureato in meno non avrebbe fatto danni al paese' (foto Cecchetti-infografica laRegione)
11 marzo 2020
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Se la storia del rock si misurasse a peso, allora peserebbe due chilogrammi e novecento etti. ‘Dear Mister Fantasy’ (Rizzoli) è tomo più pesante di qualche etto rispetto alla prima edizione, essendo questo “foto-racconto di un’epoca musicale in cui tutto era possibile” la versione del decimo anniversario. I quasi tre chili di foto e di testi, in verità, «non sono il peso corretto della mia carriera – dice il suo autore – perché si va solo dal 1969 al 1982». Tredici anni che però «rendono l’idea di quanta musica di gran livello ci fosse in quel periodo. Un piccolo merito mio, l’essere stato in pista e averla fotogafata tutta, almeno relativamente agli artisti di rilievo».

Carlo Massarini è Mister Fantasy come Domenico Modugno è Mister Volare. È la canzone che dà il nome al cantante, nel caso del cantante; é il programma tv che dà il nome all’uomo di musica, uno di quelli ai quali si deve la nascita di una categoria che per l’epoca era «quel misto di giornalista, critico musicale, operatore culturale, dj radiofonico e a volte dal vivo, tutte cose che in Italia non esistevano o erano ai primordi», e che oggi è quella del didatta (o dell’enciclopedia vivente, che dir si voglia). È bene dire che prima di quel ‘Mister Fantasy’ – format che sulla Rai del 1981 trasformava “la musica da sentire in musica da vedere”, scrive Massarini nel libro – c’è la quasi omonima canzone dei Traffic, ‘Dear Mr. Fantasy’, «che è stato il mio gruppo preferito. E ancora lo è».

”Ho la più alta stima per chi, senza curarsi se una cosa abbia successo o meno, ha il coraggio di non riposarsi sugli allori e vuole essere continuamente un artista contemporaneo. E quando dico contemporaneo intendo contemporaneo, non intendo dell’altr’anno” (David Bowie, Roma 1977).

Partiamo dal sottotitolo, dall’epoca “in cui tutto era possibile”. «In quegli anni – racconta Massarini – la musica era una frontiera, i musicisti cercavano nuove strade, territori vergini, volevano contaminare e contaminarsi, rock e classica, rock e reggae, jazz, folk, africana, sudamericana. C’era un’epica necessità di non ripetersi, un po’ al contrario di oggi che in genere, quando si ha successo, si tende a replicarlo». Un tempo di libertà, di ricerca, di sperimentazione, di azzardo; un tempo di “se funziona, gettalo via”, attitudine presa in prestito ai dadisti da David Bowie, come da intervista del Massarini in una camera dell’Hotel Nazionale a Roma, novembre 1977: ”Ho la più alta stima – gli dice il Duca – per chi, senza curarsi se una cosa abbia successo o meno, ha il coraggio di non riposarsi sugli allori e vuole essere continuamente contemporaneo. E quando dico contemporaneo intendo contemporaneo, non intendo dell’altr’anno”.

«Il momento migliore dello spettacolo per un fotografo non è mai l’inizio, dove l’artista è appena uscito dal parrucchiere, ma la fine»

Aperto da un “Racconta tu come stanno le cose” firmato Jim Capaldi e da una chilometrica dedica di un floreale Peter Gabriel del 1974, chiuso 491 pagine più tardi dal “L'hai raccontata com'era” di Steve Winwood, il decennale di ‘Dear Mr Fantasy’ è «un libro personale ma anche generazionale che mette in pagina quegli artisti che in quel momento condividevo con un gruppo ristretto di persone, perché il rock ancora non si allargava a tutti. Alcuni li ho sentiti più vicini, altri meno; alcuni li ho fotografati intimamente, altri solo da lontano».


Con Peter Gabriel, Sanremo 1982 (© C. Massarini)

Il Massarini fotografo fino al 1982, anno non digitale “in cui le foto si scattavano anche a 1/15° apertura 2.8” (gli amici analogici sanno quel che dico)”, parla del fotografo di oggi, ligio suo malgrado alla “regola delle prime tre canzoni” dopo le quali ai concerti, di norma, nessun ulteriore scatto è consentito. «Molti artisti – spiega Mister Fantasy – non si vogliono far fotografare perché sono anziani, perché gli anni li dimostrano tutti e dunque pretendono controllo sulle foto. Controllo che casa discografica e management ora favoriscono. Peccato, perché il momento migliore dello spettacolo per un fotografo non è mai l’inizio, dove l’artista è appena uscito dal parrucchiere, ma la fine». C’entrano anche «la tutela di chi paga tanti soldi per sedersi in prima fila, e non dev’essere impallato», c’entrano «quei fotografi che pubblicano tutto, anche gli scatti usciti male» e c’entrano gli smartphone, per cui oggi «chiunque fa fotografie, e non si capisce come mai un professionista debba essere limitato nel suo lavoro”.

“Se la carriera di musicista rock era una scommessa, quella di uomo-media era un azzardo (…) Comunque, come si dice, è andata, e alla fine pure i miei si son convinti che un laureato in meno non avrebbe fatto danni al paese”.

Massarini ha raccontato la musica a più generazioni. Alle più recenti, nell’enciclopedico e sempre televisivo ‘Ghiaccio Bollente’, passando per radio e carta stampata in nome di quella nuova professione di cui sopra. «Facemmo una scommessa su qualcosa che a noi piaceva». Di quel rischio, scrive: “Se la carriera di musicista rock era una scommessa, quella di uomo-media era un azzardo (…) Comunque, come si dice, è andata, e alla fine pure i miei si son convinti che un laureato in meno non avrebbe fatto danni al paese”. Un mestiere, quello di uomo-media, diventato importante, «forse più nella sua parte radiofonica che in quella giornalistica. Ora il cerchio si è chiuso dall’altra parte, in una sintesi delle immagini e della qualità di scrittura».

Appunto: le radio? «Le radio degli anni Settanta erano più amatoriali ma trasmettevano di tutto, dal rock al jazz. Ora la accendi ed esce questo pop bene arrangiato, dai bei suoni e con testi generalmente assai poco significativi. Le radio di oggi sono al computer, hanno playlist decise da una sola persona, non c’è autonomia in chi conduce, non c’è ricerca e nessuna voglia di educare. È vero che io arrivo dalla Rai, che ho un imprinting da servizio pubblico, una sorta di responsabilità che nel tempo è diventata parte di me. E nemmeno dico che le radio debbano necessariamente educare. Noi comunque volevamo intrattenere ed educare, far capire quali potevano essere i percorsi da fare, dove trovare cose nuove e dove, partendo da queste, trovarne altre. Ora con Spotify e quant’altro puoi ascoltare qualsiasi genere di musica, ma senza le guide che ti spiegano cosa puoi fare». Riassumendo: «Sei al mare e nessuno t’insegna a nuotare».

«Sanremo non è una serata in balera, ha un fattore di rischio molto alto se non sei all’altezza di condurlo»

C’è anche un Massarini sanremese, quello del Palarock del 1987 e 1988, mai così ricco. «Due anni bellissimi, stavo a dieci centimetri da terra. Non avevo responsabilità, avevo un sacco di artisti uno più figo dell’altro, decidevo io la scaletta. Devo dire che proprio in quel momento il Festival prese una piega nazionalpopolare sempre più spinta. Rimasi meravigliato del fatto che nei due anni successivi tentarono due operazioni che palesemente non funzionarono, prima con i quattro figli d’arte che non sapevano stare sul palco, poi con Edwige Fenech e Andrea Occhipinti, più tardi ottimo distributore cinematografico, che in due non ne facevano uno. Sanremo non è una serata in balera, ha un fattore di rischio molto alto se non sei all’altezza di condurlo».

“Essere un genio non è che sia chissà cosa. Se sei uno scemo, è ok anche quello. Siine orgoglioso” (Frank Zappa, New York 1979)

“Quel misto di giornalista e critico musicale”, si diceva. I critici musicali, quelli immaginati chini sulla macchina da scrivere in qualche scantinato a decidere le sorti dei dischi e oggi ad ‘Amici’ a scegliere i nuovi talenti davanti alle telecamere. «Ho sempre detto che c’è spazio per tutti – spiega Massarini – e che i talent non sono un problema, anche se in genere selezionano talenti canterini, non il personaggio, l’autore. E non è un problema che i critici diano i voti in tv, dove verranno pagati per farlo. Mettiamola così: visto che a giudicare spesso e volentieri si chiama gente solo in base a criteri di popolarità, meglio un critico musicale che almeno nella sua vita qualche disco l’avrà ascoltato».

Restando alla categoria, il decennale di ‘Dear Mister Fantasy’ riporta alla luce un’intervista newyorkese di Massarini a Frank Zappa, anno 1979, con gustoso approfondimento della filosofia zappiana applicata alla critica musicale, quel noto “Buona parte del giornalismo rock è composto da gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere”. Faremo dunque tesoro del fatto che per il defunto genio – a proposito: “Essere un genio non è che sia chissà cosa” dice Zappa; “Se sei uno scemo, è ok anche quello. Siine orgoglioso” –  il desiderio di chiunque scriva “è di parlare di sé, se non di qualcun altro. Pensano (i giornalisti, ndr.) che quello che fanno è infinitamente più interessante e importante di colui che stanno intervistando. Solo che quando parlano con me, il loro lavoro si da duro. Perché io sono più interessante di loro” (siamo tutti avvisati, anche con Zappa sottoterra).

«C’erano tanti artisti e tutti, in linea di massima, accessibili. Il digitale ha portato tutto più vicino, ma il contatto umano è un filo più lontano»

Le foto del decennale (140 pagine in più) sono migliaia. Dal Lucio Dalla surrealista con la mela in testa all’amico Jackson Browne – due belli separati alla nascita, Carlo e il californiano – nel mezzo del tour di ‘Running on empty’: «Con Jackson è stato un bel momento, ho trascorso un mese a casa sua fotografando in lungo e in largo. Ma i momenti belli sono molti: Bowie, Zappa, la scoperta di Springsteen e il primo concerto del 1975, l’incontro con Marley, con i Talking Heads. Tanti momenti perché c’erano tanti artisti e tutti, in linea di massima, accessibili. Il digitale ha portato tutto più vicino, ma il contatto umano è un filo più lontano».

La piacevolezza del volume (Amazon, contro l'isolamento, lo recapita scontato in versione speciale autografata con 4 foto-regalo) ha un solo, piccolo ma superabile intoppo. Chi soffre della sindrome di Massimo Troisi – “Che i libri so’ milioni, milioni, non li raggiungo mai, capito? Pecché io so’ uno a leggere, là so’ milioni a scrivere” – si renderà conto di essersi perso un sacco di cose. «È per quello che servono le guide, è per quello che serve chi ha visto le cose per te, le ha filtrate attraverso la sua consapevolezza e il suo gusto e poi te le ripropone. Se non hai un gusto già ben formato e se non hai esperienza e metodo, andare a cercare le cose diventa veramente difficile. Serve qualcuno che ti dica che tra dieci dischi, quei tre sono i migliori. Ti serve per non prendere un granchio. E poi, ammesso di trovare il tempo, ti ascolti anche gli altri».

 

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