I manifestanti pro Palestina attendono risposte dal rettore. Lunedì sera l'incontro. La protesta pacifica potrebbe contagiare altri atenei elvetici
‘Gaza, l’UNIL è con te’ è lo slogan di studenti indignati per una carneficina inaccettabile. Chiedono risposte! È il quinto giorno di occupazione pacifica all’Università di Losanna (UNIL), dove un gruppo di manifestanti pro palestinesi è accampato nell’atrio dell’edificio Geopolis. La svolta sarà oggi, lunedì: alle 18 ci sarà l’incontro tra gli studenti e il rettore dell’UNIL Frédéric Herman, che da subito aveva concesso loro il diritto a rimanere (fino a lunedì sera), esortando tutti a una riflessione pacifica. “Stiamo tutti bene, abbiamo fatto precise richieste al rettore, che ha fatto un passo verso di noi. Il dialogo è aperto e lo apprezziamo. Aspettiamo in modo pacifico di avere delle risposte. Poi valuteremo cosa fare. Se necessario, siamo determinati a restare”, spiega alla Regione una studentessa (non vuole specificare il nome) delegata dal gruppo a parlare coi media. Ecco le richieste: il boicottaggio accademico delle istituzioni israeliane, ossia interrompere le collaborazioni fino a quando Israele non rispetterà un cessate il fuoco permanente e il rispetto del diritto internazionale. “Nella striscia di Gaza sono state distrutte tutte le università. Chiediamo una politica proattiva di accoglienza per studenti e ricercatori palestinesi, come quella messa in atto dopo l'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito russo”, precisa. Le facciamo notare che le università - come ha chiarito il rettore Herman alla RTS - non hanno la vocazione di posizionarsi politicamente, sono istituzioni per la formazione. “È un’ipocrisia: nel conflitto in Ucraina hanno preso decisioni immediate; anche invitare Emmanuel Macron all'università è stato un posizionamento politico”.
Simili mobilitazioni nei campus in Canada, Stati Uniti e Francia, dove talvolta la violenza ha soffocato il dialogo. Si vorrebbe evitarlo in Svizzera, dove il fermento sembra contagiare altri atenei. “Abbiamo feedback da altre università e scuole universitarie, soprattutto a Berna e Zurigo, potrebbero mobilitarsi. Pensiamo di diventare un movimento nazionale”, conclude la portavoce.
Keystone
Tenere aperto il dialogo, evitare scontri nei campus sono priorità per Luciana Vaccaro. La presidente di Swissuniversities ha ribadito (alla RSI) che negoziare non significa sposare le loro tesi, ma è corretto concedere la visibilità che hanno richiesto. L’augurio, ha precisato, è quello di evitare la violenza: “Sarebbe una ferita per il mondo universitario”.
Al fianco dei manifestanti anche cittadini e docenti. Joseph Daher, professore ospite dell’ateneo, ha elogiato gli studenti “indignati per qualcosa di inaccettabile, un genocidio”. Mentre il sociologo Olivier Fillieule, ha chiesto una “totale trasparenza” da parte dell’università sulla sua collaborazione con le istituzioni israeliane. Richiesta ripresa in una lettera alla direzione.
Keystone
Un fermento vissuto in prima linea anche dalla studentessa in lettere Bianca Perletti. “È un buon segnale, una spinta a uscire dal silenzio. Dimostra che non siamo indifferenti a ciò che succede. Si può essere neutrali, dando spazio a più voci”, dice la ticinese. Le chiediamo se l’occupazione è la via giusta. “È un modo per mandare un messaggio senza ricorrere alla violenza”.
Le fa eco, un’altra studentessa ticinese Nina Altoni, che studia alla facoltà di Lettere. Anche lei vuole sapere se l’ateneo lunedì deciderà di interrompere le relazioni con gli istituti israeliani: “Siamo ingaggiati in una causa umana - ha detto al sito della Regione - appesantiti da responsabilità morali, attenti più ai valori e alla dignità umana che alla paura di non far quadrare un bilancio economico”.
Intato ieri la tv qatariota Al Jazeera è stata oscurata in Israele. Copriva il conflitto da ottobre. La notizia ha fatto il giro del mondo mentre al Cairo si cercava un accordo su una possibile tregua nella Striscia, mai arrivato.