l’analisi

Dopo l’onda verde (e viola), la risacca

La legislatura di tutte le crisi, dal Covid al crack di Credit Suisse, volge al termine. Si profila una virata verso destra degli equilibri alle Camere

Battaglia sotto la Cupola Federale
(Keystone)
3 ottobre 2023
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Assisteremo, proprio nell’anno del 175esimo anniversario della Costituzione federale, a un clamoroso sorpasso del Plr – partito che rivendica la fondazione della Svizzera moderna – da parte dell’Alleanza del Centro, storico rivale ormai orfano della ‘C’ dell’ex Cvp/Pdc che oltralpe teneva alla larga i non cattolici fino al battesimo col Pbd celebrato tre anni fa?

Riusciranno i Verdi, protagonisti di un exploit nel 2019, a non perdere troppo terreno e dunque a legittimare la loro ambizione di essere rappresentati in Consiglio federale? Quanto si riavvicinerà l’Udc alla soglia del 30%, sfiorata nel 2015, in un contesto (impennata delle domande d’asilo, forte immigrazione, dubbi sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, erosione del potere d’acquisto, reale o presunta ‘crisi dell’alloggio’) che stavolta sembra avere tutto per favorire il partito paladino di ordine, stabilità e sicurezza?

Sarà in grado il Ps di limitare i danni al Consiglio degli Stati, dove si ritrova a dover fare i conti con la partenza di un certo numero di ‘senatori’ di lungo corso e ad affrontare un non facile ricambio generazionale? Sempre alla Camera dei cantoni, l’Alleanza del Centro manterrà il ruolo di prima forza, oppure se lo farà carpire dal Plr? E l’onda viola, continuerà a espandersi nelle due Camere?

Partiti nazionali protagonisti, ma non solo

Non mancano i motivi d’interesse in questo autunno elettorale, che metterà il punto finale a un altro quadriennio politico a livello federale. Per il Cancelliere della Confederazione (uscente) Walter Thurnherr, la cinquantunesima è stata la legislatura «peggiore dalla Seconda guerra mondiale». La pandemia di coronavirus, anzitutto, che ha parecchio influenzato l’attività di Governo e Parlamento tra il 2020 e il 2021, suscitando vive tensioni fra i due poteri; poi la crisi nelle relazioni con l’Unione europea, la guerra in Ucraina, il tracollo di Credit Suisse.

Tutti questi eventi hanno avuto profonde ripercussioni sul piano della politica interna: dal dibattito sulla neutralità agli sforzi per garantire un approvvigionamento energetico sicuro, dall’inflazione ai rinnovati sforzi per arginare la crescita dei costi della salute e dei premi di cassa malati. Senza dimenticare l’intensificazione dei flussi migratori, tema cavalcato da Udc e Plr.

Quasi 5’910 candidati si presentano per uno dei 200 seggi alla Camera del popolo nei 20 cantoni in cui si vota col sistema proporzionale: è il 27% in più rispetto al 2019. In forte crescita sono anche liste e sottoliste, stabile il numero delle congiunzioni. Pressoché invariato è pure il numero di candidati che ambiscono a uno dei 46 seggi del Consiglio degli Stati: 184, di cui 37 uscenti. Le cifre sono importanti, alcune da record. L’interesse mediatico è enorme.

Si potrebbe ricavarne l’impressione che i partiti nazionali (del cui stato di salute forniamo in queste pagine una fotografia che non pretende di essere esaustiva) siano gli assoluti protagonisti, il perno attorno al quale ruota il sistema politico elvetico. In realtà non è così. Hanno sì un ruolo chiave, ma le elezioni federali sono pur sempre fatte di 26 elezioni differenti: protagonisti sono semmai le sezioni cantonali dei partiti. Ma anche loro lo sono sempre meno.

Persistente stabilità

Negli ultimi 50 anni l’identificazione con un partito politico è calata in Svizzera: la quota di persone che si sentono vicine a un preciso schieramento è scesa dall’oltre 50% del 1971 al 30% del 2019, secondo un recente studio pubblicato sulla rivista ‘Social Change in Switzerland’. Inoltre, i politologi ci dicono che cresce l’importanza del ‘vote d’enjeu’, quello legato più alla contingente posta in gioco che alla fedeltà di lungo corso a un determinato partito. E se proprio vogliamo insistere: slegato dai partiti (anche dalla politica?) è pure quel quarto scarso della popolazione residente – persone prive del passaporto rossocrociato – che non ha diritto di votare a livello federale.

La regola vuole che in Svizzera, quando il pendolo oscilla troppo da una parte, all’occasione successiva torna indietro, posizionandosi non all’estremo opposto, ma da qualche parte nel mezzo. Il 22 ottobre (e nelle settimane successive, quando si terranno i ballottaggi per il Consiglio degli Stati) assisteremo con tutta probabilità a uno scivolamento verso destra del Parlamento, ma nel quadro di una sostanziale stabilità (senza le variazioni percentuali viste nel 2019, per intenderci).

Già in primavera – dopo le ultime tre elezioni cantonali della legislatura – l’editorialista del ‘Tages-Anzeiger’ scriveva “una lode” alla “stabilità” (e alla “noia”) svizzera, a un sistema politico capace di digerire senza sussulti qualsiasi crisi si presenti alle porte, o dentro casa. Sorprese a parte, non deve temere di essere smentita.

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