Svizzera

Le elezioni del riequilibrio: l’Udc sbanca, i Verdi sbiancano

Udc grande vincitrice al Nazionale. Tonfo dei Verdi. Il Plr si fa superare, anche se di poco, dal Centro. La Svizzera rimane nella sua foresta

Balthasar Glättli (Verdi) si prepara al dibattito tv tra i presidenti di partito
(Keystone)
23 ottobre 2023
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Berna non è la capitale, è la Città federale. Eppure qui, federalismo oblige, il giorno delle elezioni federali non succede granché: i riflettori sono puntati sulle capitali (queste sì) cantonali, sui ritrovi delle sezioni dei partiti. O sulle sedi regionali della Ssr.

Alle 9.30 Palazzo federale è ancora semideserto. I giornalisti per entrare devono suonare, il badge non basta. È domenica, elezioni o no. E «la domenica è sempre così», ci spiegano (ma poi l’intoppo verrà tolto).

Dentro, si mettono a punto le postazioni radio e tv. Una collaboratrice dei Servizi del Parlamento si aggira discreta. Il capogruppo dell’Udc Thomas Aeschi esce e attraversa la piazza, passando accanto a sette sedie vuote rosse e bianche. I presidenti, gli altri capigruppo e una manciata di parlamentari faranno la loro apparizione solamente a pomeriggio inoltrato.

Niente a che vedere col 18 ottobre 2015, quando la Ssr delle elezioni federali fece uno spettacolo, trasformando l’edificio in un grande studio elettorale.

Fuori, si direbbe una domenica come le altre. Non lontano dalla stazione s’incrociano due poliziotti e un signore con la barba lunga, i capelli arruffati, un grosso zaino sulle spalle: «Non dormire qui, d’accordo?». Lui sorride. È affaticato: posa il fardello a terra, si siede sotto i portici. Gli agenti proseguono.

Sabato sera invece c’erano 31’500 spettatori al Wankdorf, tutto esaurito per Young Boys e Zurigo; e 16mila sulla Piazza federale. Non per una manifestazione: per la ‘prima’ dello spettacolo di suoni e luci ‘Rendez-vous Bundesplatz’. Tema: la foresta, il “regno dei miti e delle fiabe”, dove – promettono gli organizzatori – “immergerci per mezz’ora in un mondo fantastico, lontano dai gemiti della terra”.


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Palazzo federale è una foresta

Altra storia

Il pianeta in effetti non se la passa bene: morte e distruzione in Palestina, guerra in Ucraina, colpi di Stato in Africa, aumento delle spese militari, flussi migratori in crescita, timori per l’approvvigionamento energetico. E ancora: la tenace inflazione, in Svizzera pure i premi di cassa malati.

Sicurezza, potere d’acquisto. Non il riscaldamento globale o l’uguaglianza. La fine del mese, non il futuro dell’umanità. Queste elezioni sono altra storia rispetto a quelle di quattro anni fa.

Non sorprende allora che ad aggiudicarsele siano i partiti che della sicurezza e della lotta all’immigrazione (Udc: +3% e +9 seggi al Nazionale), o della difesa del potere d’acquisto (Ps: +1,1%; +2 seggi), hanno fatto i loro cavalli di battaglia. I democentristi, in particolare, recuperano buona parte dei 12 seggi andati in fumo nel 2019. Invece escono con le ossa rotte i Verdi, che scendono sotto la soglia del 10% (-3,8%; -5 seggi), e i Verdi liberali (-0,6%; -6). Fatto storico: l’Alleanza del Centro (+0,8%; +1) sorpassa, anche se di poco, il Plr (-0,7%; -1).

Il pendolo oscilla verso destra

In generale: dopo il deciso spostamento a sinistra del 2019, provocato da un’impetuosa (ma pressoché ininfluente alla prova dei fatti, ovvero della realtà parlamentare) onda verde (e viola), con un anomalo (per i canoni elvetici) balzo dei partiti ecologisti (Verdi: +6,1% e +17 seggi al Nazionale, +4 seggi agli Stati; Pvl: +3,2% e +9 seggi al Nazionale), assistiamo a una chiara correzione nell’altro senso al Nazionale e – al momento, prima dei ballottaggi – a una sostanziale stabilità al Consiglio degli Stati. In seggi, ragionando per blocchi: la destra (Udc, Plr e piccoli partiti) fa un bel balzo avanti (+12); al centro, il guadagno dell’Alleanza del Centro è annullato dalle perdite del Pvl (saldo: -5); e a sinistra, il Ps non riesce a compensare quelle dei Verdi (che perdono quasi un terzo dei mandati guadagnati nel 2019) e dell’estinzione della sinistra radicale (saldo: -5).

Per l’Udc vale il vecchio adagio: cavallo vincente non si cambia. Dopo diverse batoste in votazione popolare e nelle elezioni cantonali – una serie nera culminata col flop alle Federali ‘climatiche’ di quattro anni fa (-3,8%, -12 seggi al Nazionale), con strascichi nella prima parte dell’attuale legislatura – il partito ha provato a giocare su altri registri (il fossato città/campagna, ricordate?). Salvo poi tornare ai suoi ‘valori sicuri’: quelli della “nostra Patria”, la lotta all’immigrazione, l’espulsione dei criminali stranieri, la neutralità. Forte di un budget di oltre 11 milioni di franchi, un efficientissimo segretariato alle spalle, il partito di Marco Chiesa – che ha preso in contropiede il Plr annunciando già a inizio anno l’intenzione di stringere alleanze con lui laddove possibile, cosa poi avvenuta in nove cantoni – ha condotto una campagna aggressiva, che gli è valsa le critiche della Commissione federale contro il razzismo. Parzialmente smobilitato nel 2019, l’elettorato democentrista stavolta ha risposto presente.


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Il presidente dell’Udc Marco Chiesa

Liberali-radicali sulla difensiva

Il Plr è il partito che ha investito più soldi nella campagna (12,4 milioni). Non sono bastati per arrestare la rotta discendente iniziata alla fine degli anni Settanta. I liberali-radicali non solo non riescono a soffiare al Ps il secondo posto (era l’obiettivo iniziale, ma da un bel pezzo non se lo ricordava più nessuno). Si fanno addirittura superare (in numero di seggi) dall’Alleanza del Centro, anche se agli Stati – a ballottaggi terminati – potrebbe esserci la rivincita. Dopo i zig zag durante la ‘eco-presidenza’ di Petra Gössi, Thierry Burkart ha serrato i ranghi e dettato ai suoi una linea chiara (riesportazione di armi, aumento delle spese militari, nuove centrali nucleari), spostando l’asse verso destra. Nell’ultimo anno e mezzo però il Plr ha inanellato una sconfitta dietro l’altra nei cantoni. E il tracollo del Credit Suisse – per un partito da sempre associato alle banche – non ha certo giovato. Il Plr è apparso vieppiù in affanno, sulla difensiva. Disorientato di fronte alla potenza di fuoco dell’Udc, che ha maldestramente tentato di rincorrere sul suo terreno (persino battendolo sul tempo nel denunciare la concessione automatica dell’asilo alle donne afghane…). Senza contare che le numerose congiunzioni di liste con i democentristi hanno suscitato non pochi malumori nella base.


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I presidenti del Plr Thierry Burkart (a sinistra) e del Ps Cédric Wermuth

La scommessa vinta di Gerhard Pfister

Gerhard Pfister si frega le mani. L’Alleanza del Centro, da lui fortemente voluta, fa meglio di quanto fecero nel 2019 Ppd e Pbd messi assieme. Il partito ha presentato un volto giovane, femminile, laico, aperto sulle questioni di società e non spigoloso (“contro la polarizzazione”). Senza più il riferimento cristiano (la ‘C’), l’ex Cvp/Pdc/Ppd è risultato accessibile anche all’elettorato centrista non cattolico. La prova: la progressione in cantoni popolosi (e protestanti) come Zurigo e Vaud, dove il Plr ora arranca. Vincente è stata la scelta di puntare sui costi della salute, tema portato avanti in maniera credibile. Anche con la recente decisione di mantenere la sua iniziativa popolare, bocciando un blando compromesso confezionato dal Parlamento. Il sorpasso ai danni dello storico rivale non sarà sufficiente per legittimare un immediato attacco al secondo seggio del Plr in Consiglio federale. Pfister ieri si è mostrato nuovamente prudente. Ma per il Centro potrebbe essere solo questione di tempo (quando si ritirerà Ignazio Cassis, probabilmente nel 2027?).


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Il presidente del Centro Gerhard Pfister, uno dei vincitori di giornata

Tra i vincitori va annoverato anche il Ps. Quattro anni fa numerosi suoi elettori optarono per i Verdi. Ora molti di loro hanno fatto ritorno all’ovile. Attirati da un partito che si è ritrovato, dopo il calo del 2019 e quattro anni difficili nei cantoni (ha perso in tutto 39 seggi nei legislativi). In questa legislatura il Ps ha portato a casa (assieme ai Verdi) diverse votazioni popolari su temi fiscali. La sua campagna è stata di forte impatto. Molto attivo sui social media, si dimostra un partito solido, compatto, in grado di dire la sua e di apparire credibile su un ampio ventaglio di temi che contano. Sotto la guida di Mattea Meyer e Cédric Wermuth – spalleggiati da influenti parlamentari che si sono fatti le ossa nella Gioventù socialista – si è profilato in modo chiaro a sinistra. I temi sui quali ha puntato – la difesa del potere d’acquisto, più sussidi per i premi di cassa malati – si sono rivelati quelli giusti. Il Ps non ce la farà con ogni probabilità a conservare tutti i seggi attuali al Consiglio degli Stati, dove alcuni ‘senatori’ di lungo corso non si ripresentavano. Qui l’operazione ricambio generazionale non è (ancora) riuscita ai socialisti.

Riflusso ecologista

“I Verdi lottano contro la loro caduta”, titolava otto giorni fa il ‘SonntagsBlick’. Lo hanno fatto invano. A fine settembre – dopo un’estate torrida, con incendi ma anche alluvioni in mezza Europa – decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Berna per il clima. Ma i dividendi elettorali non si sono materializzati. Il cambiamento climatico non scalda più le persone come qualche anno fa. I Verdi, inoltre, non sono più gli unici ad avere delle risposte: altri partiti ne propongono ormai di più pragmatiche. Per giunta ci si mettono pure i ‘Klima-Kleber’ (letteralmente: gli incollati del clima), che bloccando strade e autostrade fanno infuriare non poca gente, finendo col danneggiare l’immagine del partito. Il rush finale per mobilitare elettori un po’ disorientati – in Parlamento a Berna i Verdi hanno votato per produrre più elettricità con le rinnovabili, salvo poi battersi (con successo) in Vallese contro la costruzione di parchi solari sulle Alpi – non ha portato frutti. Il partito di un sempre più impalpabile Balthasar Glättli (“il filosofo del declino verde”, lo ha definito la ‘Nzz am Sonntag’) perde malamente. Di «una batosta», ha parlato lo zurighese, che vede «un brutto segno per la protezione del clima, l’uguaglianza, ma anche per le relazioni in Europa». Nell’anno del suo quarantesimo anniversario, il Partito ecologista svizzero deve riporre nel cassetto il sogno – perseguito ingenuamente sin qui – di entrare in Consiglio federale.


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La delusione dei Verdi bernesi (a sinistra, la capogruppo in Parlamento Aline Trede)

Anche i Verdi liberali fanno le spese della risacca elettorale che riassesta tutto dopo l’onda verde di quattro anni fa. Come i suoi ‘cugini’, il Pvl vede assai ridimensionate le sue ambizioni e la sua forza alla Camera del popolo (almeno per quanto riguarda il numero di seggi; in punti percentuali la perdita è contenuta). Tra i partiti minori, il Partito evangelico (Pev) scende da 3 a 2 seggi. Conserva la sua poltrona la Lega dei Ticinesi, raddoppia l’Unione democratica federale (2). Torna in forze al Nazionale, dopo quattro anni di assenza, il Mouvement Citoyens Genevois (2 seggi). Scompare invece dalla Camera bassa la sinistra radicale (Ensemble à Gauche e Partito del lavoro), che finora deteneva due seggi. E restano fuori i ‘coronascettici’ di Mass-Voll.

La Svizzera nella sua foresta

A sera inoltrata, andati in onda alla Srf e alla Rts i dibattiti tra i presidenti di partito, a Palazzo federale la tensione scema. Poco prima delle 20 – si è in attesa della terza proiezione Ssr – i presidenti di Ps e Verdi commentano per l’ennesima volta i risultati provvisori. Ma ormai c’è aria di smobilitazione.

Al vicino Centro media, gli schermi annunciano le prossime conferenze stampa: stamattina alle 10 l’Ufficio federale della protezione della popolazione fa il punto sulla modernizzazione della rete radio di sicurezza Polycom. E oggi l’85enne Georges Plomb, il decano dei giornalisti di palazzo, sarà sempre alla sua scrivania, al quinto piano, per analizzare – sotto l’occhio vigile del generale Henri Guisan, che lo scruta da una fotografia incollata alla parete – i risultati delle sue quindicesime elezioni federali «da professionista». «La prima – racconta – fu nel 1967, quando l’Anello degli Indipendenti di Gottlieb Duttweiler era all’apice. L’Udc si chiamava ancora Partito dei contadini, degli artigiani e dei borghesi. E Christoph Blocher non era ancora nessuno».

Ora l’Udc c’è, eccome se c’è. E il sistema politico svizzero – anche in un periodo di forti turbolenze come quello attuale – dimostra un’altra volta la sua pervicace propensione alla stabilità. Mezzo mondo va a rotoli. La Svizzera rimane nella sua foresta. Lontana dai gemiti della terra.