Svizzera

‘Al Nazionale un riequilibrio più che una virata a destra’’

Il trionfo dell’Udc, il tonfo dei Verdi, il probabile sorpasso del Centro, la futura convivenza tra le Camere: l’analisi del politologo Pascal Sciarini

Sciarini
23 ottobre 2023
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Pascal Sciarini è politologo dell’Università di Ginevra. Della giornata elettorale, lo hanno colpito in particolare due situazioni (ne parliamo a pagina 14): il risultato «spettacolare» di Mauro Poggia (Mouvement Citoyens Genevois-Mcg) al primo turno dell’elezione per il Consiglio degli Stati a Ginevra; e l’estromissione del ‘senatore’ Philippe Bauer (Plr) a Neuchâtel.

Parliamo del ‘caso’ Mauro Poggia.

Sì, perché non è solo il fatto che l’ex consigliere di Stato [Poggia, ndr] arrivi davanti ai due uscenti, Lisa Mazzone (Verdi) e Carlo Sommaruga (Ps). A causa della vasta alleanza borghese, al secondo turno avremo un duello tra un socialista, una ‘verde’, un esponente dell’Mcg e una dell’Udc [la consigliera nazionale Céline Amaudruz, ndr]: per il cantone è qualcosa di inedito non avere un candidato del Plr o del Centro al ballottaggio. Vuol dire che l’alleanza ha giovato alla destra nazional-conservatrice.

‘Virata a destra’, ‘correzione verso destra’: come definirebbe in generale l’esito delle elezioni del Consiglio nazionale?

Parlerei di un ritorno del bilanciere, di un riequilibrio. Per due elementi: il primo è l’infrangersi dell’onda verde. Colpisce il fatto che, fino all’autunno 2022, Verdi e Verdi liberali guadagnavano seggi nei parlamenti cantonali. È solamente da questa primavera – con le elezioni nei Cantoni di Zurigo, Basilea Campagna, Ginevra, Lucerna e Ticino – che ci siamo resi conto di questo riflusso dell’onda verde, un riflusso che riguardava quasi esclusivamente i Verdi e che si è accentuato nel corso dei mesi successivi. I Verdi avevano guadagnato così tanto nel 2019, soprattutto nella Svizzera romanda, che in pratica non potevano che perdere a queste elezioni. Ma il loro calo è stato più marcato di quanto ci si poteva aspettare ancora poche settimane fa. Il secondo elemento è il recupero, quasi totale, dell’Udc. Nel 2019 aveva perso 12 seggi al Nazionale, la maggior perdita in un’elezione per un partito dal 1919. Oggi ne riguadagna buona parte.

Però non è una virata a destra. Perché?

Per parlare di una virata a destra, anche il Plr avrebbe dovuto progredire in maniera significativa. Invece non è così. Sono piuttosto l’Alleanza del Centro e il Ps ad aver guadagnato qualcosa. Ripeto: sulla base dei risultati attuali [la proiezione Ssr delle 18, ndr], parlerei di un riequilibrio rispetto al 2019.

Al Consiglio degli Stati non sono attesi cambiamenti di rilievo. Avremo quindi un Nazionale leggermente più a destra, e una Camera dei Cantoni piuttosto conservatrice. Come cambierà questa ritrovata ‘sintonia’ la meccanica parlamentare nella prossima legislatura?

L’Udc, come al solito, non migliorerà di molto la sua posizione al Consiglio degli Stati. Ma alla Camera dei Cantoni, Centro e Plr sono sovrarappresentati. E molti dei loro rappresentanti sono conservatori, ciò che ‘compensa’ in un certo senso lo scarso peso specifico dell’Udc. Nella prossima legislatura, grazie ai guadagni di Plr e Centro agli Stati e a un Nazionale più spostato a destra, si prospetta una maggior coerenza fra le due Camere. Almeno sulla carta.

L’Udc fa un ottimo risultato, eguagliando quasi il record del 2015. Ma in Parlamento la sua ‘capacità di penetrazione’ potrebbe restare piuttosto limitata. Vedremo un partito più all’offensiva sul fronte della democrazia diretta (referendum e iniziative), nei prossimi quattro anni?

In linea di massima no. L’Udc comunque sarà più forte al Nazionale. E col Plr si avvicina alla maggioranza alla Camera del popolo. In teoria, un partito così forte in Parlamento dovrebbe ricorrere meno frequentemente agli strumenti della democrazia diretta. Ma questo dipenderà dalla capacità dei democentristi di allearsi con il Plr e il Centro.

I Verdi hanno perso oltre la metà di quanto avevano guadagnato nel 2019. Per quali ragioni?

Abbiamo assistito a una successione di crisi, che hanno scombussolato la popolazione. I Verdi hanno surfato per quasi tre anni sull’onda lunga del loro successo del 2019. E sono usciti indenni – dal punto di vista elettorale – dalla pandemia. Ma poi la guerra in Ucraina, la crisi dell’approvvigionamento energetico, adesso anche la guerra tra Hamas e Israele; e ancora: la perdita di potere d’acquisto, l’aumento dei premi dell’assicurazione malattie. Tutto questo ha provocato una sorta di destabilizzazione dell’elettorato, sentitosi minacciato nella sua sicurezza materiale, e persino sul piano militare, della difesa nazionale. In un contesto del genere, la tendenza è quella di rifugiarsi nel discorso ‘securitario’: e questo è appannaggio dell’Udc, non dei Verdi, che quattro anni fa oltretutto erano stati votati da molti elettori socialisti. La crisi climatica, durante la campagna, è passata in secondo piano, vittima anche di un certo diffuso fatalismo (“D’accordo, il problema esiste: ma la Svizzera è piccola è fa quel che può”). Le preoccupazioni per il futuro del pianeta hanno perso la pregnanza che avevano avuto nel 2019, a favore di quelle legate appunto alla sicurezza, all’immigrazione e al borsellino.

Al Nazionale l’Alleanza del Centro avanza e supera il Plr, anche in termini di seggi. Mentre agli Stati, a ballottaggi conclusi, potrebbe anche prodursi la situazione inversa. Una sorta di ‘pari e patta’, che non dovrebbe produrre sviluppi sul fronte Consiglio federale. Concorda?

La questione di un seggio ecologista ormai non è più d’attualità, questo è chiaro. Il presidente del Centro Gerhard Pfister ha confermato che il suo partito non attaccherà un consigliere federale in carica. Movimenti su questo fronte sono immaginabili per ora solo quando uno dei due consiglieri federali liberali-radicali, probabilmente Ignazio Cassis, rassegnerà le dimissioni. Ma è meglio restare prudenti: il Plr in termini di seggi non sembra perdere molto terreno al Nazionale; e agli Stati alla fine potrebbe persino ritrovarsi davanti al Centro.

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