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Autogestione e dintorni: sempre in attesa della soluzione

L’ultima occupazione temporanea non distolga la politica, cittadina ma anche cantonale, dalla necessità di trovare spazi per la cultura alternativa

In sintesi:
  • Occupazione temporanea, sgombero, manifestazioni, sdegno a destra. Un film già visto, che non deve distogliere dal vero punto: in città, e nel cantone, mancano spazi per la cultura alternativa
  • La forte e condivisa esperienza della Straordinaria, e persino la porta aperta la scorsa estate per un dialogo col Molino sono segnali che le premesse per trovare una soluzione entro la fine del 2024 non sono un’utopia
Tante realtà con un’esigenza in comune
(Ti-Press)
3 gennaio 2024
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Tra gli evergreen delle festività ci sono anche loro: le temute repliche televisive dei classici natalizi. Assieme a regali, addobbi, brindisi, cene e pranzi vari, costituiscono ormai un inevitabile rito di questo periodo dell’anno. Dai bambini che perdono l’aereo ai parenti serpenti, ne abbiamo per tutti i gusti. Anche a Lugano sta andando in onda un film già visto. E no, non stiamo parlando di ‘Una poltrona per due’ né della sua (probabile) reinterpretazione nostrana in casa Lega-Udc.

A regalarci quella sensazione di déjà vu che oscilla tra il fastidioso e il rassicurante è invece l’ormai infinita questione relativa all’autogestione che rivendica spazi e occupa, che viene sgomberata un po’ sì e un po’ no, con la destra più radicale che s’indigna e con gli altri che, chi più chi meno, convivono con l’elefante nella stanza. Una sceneggiatura che ormai conosciamo a memoria, con tanto di calendario cadenzato che coincide con feste natalizie ed estive, e che si protrae ormai da oltre due anni e mezzo. La prima di queste occupazioni temporanee era avvenuta infatti a fine maggio 2021 all’ex Istituto Vanoni, dando avvio allo sgombero e alla controversa demolizione del centro sociale.

Quest’ultimo episodio non solo si sta trascinando per le aule penali, ma continua a rappresentare una frattura che macchia una città che si vuole inclusiva e al passo coi tempi. Una ferita che resterà aperta finché non verrà trovata una soluzione per la cultura alternativa. È importante ribadirlo, per evitare che si distolga l’attenzione dal vero punto: in Ticino, e a Lugano in particolare che ne è la città più grande e quindi dovrebbe esserne l’avanguardia sociale, mancano spazi e opportunità per un certo tipo di espressione. E che ci sia quest’esigenza lo ricorda non solo il Molino, che anche senza sede continua con le sue attività e le sue proteste – occupazioni incluse – dimostrando una capacità di mobilitare dalle poche decine alle migliaia di persone, a seconda dei momenti.

Ancor più catalizzante si è rivelata La Straordinaria, che di persone ne ha coinvolte 30’000 in tre mesi. Un chiaro successo, apprezzato da tutte le forze politiche, sfociato nella Carta della Gerra, che non deve restare lettera morta. Ci sono poi, e ci sono state, decine di altre realtà più o meno grandi a Lugano e non solo. Un mosaico che in comune ha sempre la medesima esigenza: spazi per la cultura alternativa. Certo, non saranno mai tutti concordi sull’importanza di colmare questo vuoto: chi per motivi ideologici, chi perché vede Lugano come un buen retiro. Ma non si può glissare su un tema sentito in nome di silenzio e tranquillità: dai vicini chiassosi alle manifestazioni estive, passando per bar e discoteche, il tema del rumore è trasversale e non ascrivibile a un solo gruppo di persone.

Nessuno si aspetta che venga trovata una soluzione in questi primi mesi dell’anno sotto elezioni. Ma le premesse per individuare spazi per chi fa cultura alternativa e discuterne ci sono. A cominciare dalla collaborazione con l’associazione Idra, che ha portato in Ticino la Tour Vagabonde. Un buon segnale sono anche la volontà espressa mesi fa di aprire il dialogo con il Molino, che esiste da circa venticinque anni e non è ignorabile, e in generale uno smorzamento delle tensioni da parte di tutti. La strada è giusta, l’ipotesi che si provi a voltare pagina magari già entro la fine del 2024 potrebbe non essere un’utopia.

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