laR+ IL COMMENTO

Usa, Cina e la realpolitik (sott’acqua e sottotraccia)

Come in una partita di poker, gli Stati Uniti vogliono ‘andare a vedere’ fin dove arriva la disponibilità di Pechino sul terreno concreto e immediato

In sintesi:
  • Come proseguirà il già fragile lavorio diplomatico segreto per testare la possibilità di un’exit strategy della guerra?
  • Intendiamoci, Xi Jinping non è certo un mediatore equidistante
Exit strategy o grande bluff?
(Keystone)
9 giugno 2023
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Sulle fertilissime “terre nere” d’Ucraina – quelle che un tempo erano il granaio dell’Urss –, si stende ora l’avvelenata “marea nera”, massa d’acqua contaminata da carcasse di animali, rifiuti di ogni genere, pesticidi, lubrificanti, componenti chimici e 150 tonnellate di petrolio che a gran velocità viaggiano verso il Mar Nero, a sua volta infestato di mine. Super-bomba ecologica provocata dalla distruzione della diga sul Dnepr, fiume generoso ma storicamente anche memoria simbolo di un confine spesso violentato, di fratture continuamente imposte, di divisioni militarizzate, insomma di un confine naturale da nord a sud che fu a lungo soprattutto frontiera di guerra. “Cui prodest”, è di nuovo la domanda, nell’incrociarsi delle accuse reciproche di responsabilità fra Mosca e Kiev. Le quali, chi molto di più e chi assai meno, hanno entrambe qualche (ir)ragionevole motivo per innescare la miccia del disastro. Da parte ucraina: interrompere a lungo il flusso indispensabile d’acqua dolce verso la penisola di Crimea occupata e annessa dai russi, e che Zelensky assicura di poter riconquistare. Da parte russa (che controlla la struttura): creare un immenso acquitrino nell’Oblast di Kherson per rendere, nell’ampia area a sud, assai più problematica la controffensiva militare per la riconquista del 30 per cento del Donbass occupato.

Non c’è risposta sicura. C’è invece una domanda in più: se e come possa proseguire il già fragile lavorio diplomatico segreto per testare la possibilità di una “exit strategy” dalla guerra. Protagonisti principali, Cina e Stati Uniti. Con la speranza, in molti, di rivedere quella partita di ping pong che precedette la svolta preparata da Kissinger e la stretta di mano Mao-Nixon a Pechino, premessa per porre fine (in verità assai poco gloriosa per gli Usa) della guerra indocinese. È per impulso di Pechino, e del suo “piano di pace” in dodici punti, che si è riallacciato l’odierno dialogo. In pubblico polemiche infuocate; ma “sottotraccia” il confronto può trasformarsi in realpolitik. Così, gli Stati Uniti (insieme all’Europa) che subito avevano liquidato come semplice “bluff” il documento dell’“alleato senza limiti” di Vladimir Putin, probabilmente hanno deciso, come nel gioco del poker, di andare a “vedere”. Verificare cioè fin dove arriva la disponibilità di Pechino sul terreno concreto e soprattutto immediato, visto che il piano cinese, proprio per sottolinearne l’imprescindibilità, si apre con l’esplicita richiesta di “riconoscimento di indipendenza e integrità territoriale per tutti i Paesi sulla base del diritto internazionale”. Intendiamoci, Xi Jinping, “imperatore” del Regno di Mezzo, gran interprete delle ambiguità del “teatro delle ombre”, non è certo un mediatore equidistante. Lo conferma rifiutandosi sempre di sottoscrivere deliberazioni Onu sulle responsabilità politico-militari russe, e legando la sua offerta a un progetto condiviso e generale di riequilibri geo-strategici per contrastare il gioco egemonico euro-americano. Ma andare a “vedere” rimane pur sempre il miglior modo per scoprire ed eventualmente denunciare il grande bluff.

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