laR+ IL COMMENTO

Denaro a costo zero, retaggio del passato (che andava abrogato?)

Ciò che emerge con prepotenza dal caso dell'aumento degli interessi sui crediti Covid è la natura coercitiva del potere in mano allo Stato

In sintesi:
  • Dopo il salvataggio in extremis di Credit Suisse, ora Berna gioca di anticipo per garantire un’adeguata redditività a tutte le banche
  • Il passaggio voluto dal Consiglio federale sembra rispondere più a ragioni sociologiche che non a questioni prettamente ‘tecniche’ di politica monetaria 
(Ti-Press)
27 aprile 2023
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Il denaro a costo zero non c’è più. Non ci deve essere proprio più. Il messaggio implicito nella decisione del Consiglio federale di aumentare, da inizio aprile, i tassi d'interesse dei crediti Covid sembra essere questo. La mossa, assolutamente legittima dal punto di vista formale, prevede che da questo mese i crediti in essere per un importo massimo di mezzo milione di franchi – finora a tasso zero – passino a rendere l’1,5%; sui prestiti di importo superiore ai 500mila franchi – che prima pagavano lo 0,5% – verrà ora applicato un tasso del 2%. Interrogato sulle motivazioni che l’hanno portato a rivedere al rialzo gli interessi dei crediti Covid, il governo ha menzionato tre ragioni principali: la prima sarebbe quella di evitare una “distorsione della concorrenza” a scapito di tutte le imprese che non hanno attinto a questa fonte di finanziamento durante la fase più acuta della pandemia. Una spiegazione piuttosto in contraddizione con la premessa sollevata dallo stesso esecutivo quando afferma che “la stragrande maggioranza delle imprese attive in Svizzera ha chiesto un credito Covid”. Più attendibili risultano invece gli altri argomenti menzionati dal Consiglio federale: l'intenzione dietro all’aumento degli interessi sui crediti garantiti dalla Confederazione sarebbe quella di incentivare i rimborsi dei prestiti inutilizzati, nonché di permettere alle banche di coprire i loro costi di rifinanziamento, grazie ai proventi in arrivo dai crediti aperti e ora assoggettati a un interesse maggiorato.

Non è quindi bastato con il salvataggio in extremis di Credit Suisse, adesso Berna gioca di anticipo e si adopera per garantire un’adeguata redditività a tutte le istituzioni bancarie presenti sulla piazza. Si dirà che la decisione era inevitabile dopo la serie di rialzi del tasso guida messa in atto dalla Banca nazionale, inversione di rotta della politica monetaria della Bns che mira a scongiurare il pericolo dell’inflazione importata per via di un rafforzamento del franco. Un esercizio che il professor Sergio Rossi, dalle colonne dell’ultimo Quaderno del Forum Alternativo, non stenta a definire sterile e addirittura controproducente, dal momento che l’economia pare essere confrontata “con una spirale prezzi-profitti, non con una spirale prezzi-salari”. A confermare la tesi del professor Rossi ci pensano gli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica: l’anno scorso i salari reali sono scesi di quasi il 2%, una contrazione mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale. È quindi evidente che non si trova da questa parte il motore dell’inflazione.

Qui aggiungeremo che il passaggio voluto dal Consiglio federale con i crediti Covid sembra rispondere più a ragioni sociologiche che non a questioni prettamente “tecniche” di politica monetaria. O meglio, ciò che emerge con prepotenza in un caso del genere è la natura coercitiva del potere in mano allo Stato, qui espressa attraverso la facoltà di determinare il costo del denaro. I crediti a tasso zero sono diventati un’anomalia all’interno del nuovo paradigma di una politica monetaria fortemente restrittiva, un retaggio del passato se volete, che come tale andava abrogato. Almeno finché i rischi latenti di questa fase contrattiva – crisi di debito, fallimenti, disoccupazione – non si manifesteranno completamente e il gioco debba, ancora una volta, ricominciare da capo.

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