Il Consiglio nazionale inasprisce leggermente le regole per i lobbisti. Una soluzione minimalista, che elude la questione di fondo.
Il più giovane membro del nuovo Parlamento – il 25enne consigliere nazionale Andri Silberschmidt (Plr/Zh) – ha già ricevuto un’offerta per entrare in un comitato consultivo, con la preghiera di assegnare a uno dei suoi ‘rappresentanti d’interesse’ un badge d’accesso a Palazzo federale. La consigliera nazionale ticinese Greta Gysin (Verdi) è stata inondata dagli inviti (alcuni provvisti di regali) nella fase transitoria tra le elezioni del 20 ottobre e l’inizio ufficiale della legislatura. I due esempi – raccontati ieri dal ‘Tages-Anzeiger’ – mostrano quanto delicato sia il compito dei numerosi neoeletti (quasi un terzo del Parlamento), catapultati a Berna in una realtà assai diversa da quella che molti di loro hanno sperimentato a livello comunale o cantonale: improvvisamente immersi in un crogiolo di interessi particolari, sottoposti a pressioni di vario tipo, costantemente sotto i riflettori dei media.
La prima prova l’hanno superata. Il Nazionale ieri ha deciso – diversamente da quanto voleva fare in giugno il ‘vecchio’ – di non dare il colpo di grazia a quel po’ che resta dell’iniziativa presentata nel 2015 dall’ex ‘senatore’ Didier Berberat (Ps/Ne), mantenuta in vita a settembre dagli Stati. Non basta certo per affermare che le lobby stanno perdendo influenza in questo nuovo Parlamento profondamente rinnovato, più giovane, più femminile, più a sinistra del precedente. L’inizio comunque promette bene.
La modifica di legge sulla quale la Camera del popolo è entrata in materia (con l’inatteso sostegno di una maggioranza del gruppo Plr) è in realtà cosa di poco conto. Si tratta semplicemente di completare il ‘Registro delle accreditazioni’: i lobbisti professionisti dovranno indicarvi non solo i loro datori di lavoro, ma anche i clienti e i relativi mandati (ciò che molti di loro, affiliati alla Società svizzera di public affairs, già fanno...). I singoli parlamentari manterranno l’assoluto controllo sull’attribuzione dei badge d’accesso di lunga durata, e se questi non bastano potranno sempre invitare chiunque vogliano a Palazzo in qualità di visitatori di giornata. Nessuna rivoluzione, insomma: l’attuale, opaco sistema di ‘padrinato’ non verrà rimpiazzato da un vero e proprio sistema di accreditamento secondo criteri oggettivi, gestito dai Servizi del Parlamento, come chiedeva Berberat. Nonostante i venti di trasparenza oggi soffino piuttosto forti a Berna, appare improbabile che dalle deliberazioni della commissione del Nazionale possa uscire un progetto che stravolga l’attuale sistema, come auspicano invece la Società svizzera di public affairs e Transparency International.
Tra il minimo del minimo e il massimo, una via di mezzo però c’è. Consiste nell’affrontare il vero problema del lobbismo: che non sono i lobbisti professionisti, ‘esterni’, ma i parlamentari stessi. Molti di questi, una volta eletti, tendono ad assumere un lucrativo mandato dietro l’altro, in consigli d’amministrazione, come consulenti o altro. Alcuni siedono nelle commissioni (particolarmente ambita è quella della sanità e della sicurezza sociale, dove si giocano le sorti di premi di cassa malati e altro), potendo così accedere a informazioni confidenziali e influenzare direttamente il destino di un dossier. Martin Schläpfer, uno dei decani del lobbismo in Svizzera, propone di limitare il mandato nelle commissioni a otto anni; e di vietare ai suoi membri di assumere mandati privati in relazione con l’ambito tematico della commissione. “Se le Camere continueranno a mettere la testa sotto la sabbia, probabilmente un giorno la fattura arriverà con una votazione popolare”, ha scritto pochi mesi fa sulla ‘Nzz am Sonntag’. Parlamento avvisato, mezzo salvato.