Estero

Trentadue anni fa a Capaci la mafia uccideva Giovanni Falcone

La bomba di Cosa Nostra uccise il giudice, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari

La scena dell’attentato
(Keystone)
23 maggio 2024
|

Trentadue anni fa, il 23 maggio del 1992, una bomba nascosta in un canalone di scolo sotto l'autostrada A29 all'altezza dello svincolo di Capaci, nei pressi di Palermo, uccideva il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari.

L'attentato fu deciso alcuni mesi prima dai vertici di Cosa Nostra, all'epoca capeggiata da Totò Riina affiancato da Bernardo Provenzano, Giuseppe Madonia e Nitto Santapaola. A premere il pulsante del telecomando che innescò i 500 kg di tritolo fu Giovanni Brusca, detto "U' Verru", il maiale, tornato in libertà nel 2021 dopo 25 anni.

Falcone era diventato da tempo il bersaglio principale: a lui e a Paolo Borsellino, assassinato con un'autobomba il 19 luglio dello stesso anno e membro anch'egli del pool antimafia della Procura di Palermo, si deve l'istituzione del maxi-processo a Cosa Nostra, conclusosi con 360 condanne a carico dei vertici mafiosi. Ad esso si arrivò soprattutto grazie al metodo di indagine di Falcone, fondato sull'analisi dei flussi di denaro relativi alle attività illecite, e alla decisione di Tommaso Buscetta, arrestato in Brasile ed estradato in Italia, di collaborare con la giustizia, anche per timore di cadere vittima della guerra di mafia scatenata dal clan dei Corleonesi di Riina e Provenzano contro le famiglie palermitane: prima del suo arresto, a "don Masino" erano stati uccisi un fratello, un genero e quattro cognati, e due dei suoi figli erano spariti e non sono mai stati ritrovati.

Proprio Buscetta, durante il primo interrogatorio nel luglio del 1984, disse a Falcone una frase che, a posteriori, suona profetica: "L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. È sempre del parere di interrogarmi?". E Falcone interrogò Buscetta, il quale fornì dettagli fondamentali sull'organizzazione di Cosa Nostra: nomi, cariche, metodi di reclutamento, codici di comportamento. Le dichiarazioni di Buscetta portarono alla cosiddetta "operazione San Michele", con 366 ordini di cattura in Sicilia e in altre parti d'Italia.

Falcone era consapevole di essere un bersaglio, convinzione resa concreta dal fallito attentato nella villa al mare all'Addaura nel 1989: quel giorno il magistrato attendeva due magistrati ticinesi, la procuratrice pubblica Carla Del Ponte e il giudice istruttore Claudio Lehmann, per discutere di alcuni filoni di indagine dell'inchiesta sul riciclaggio di denaro sporco "Pizza Connection". Per motivi non noti, l'esplosivo piazzato in un borsone nascosto vicino alla spiaggetta della villa non detonò.

Alla giornalista Marcelle Padovani, in un'intervista che confluirà nel libro "Cose di Cosa Nostra", Falcone espresse l'amarezza per i rischi corsi da chi conduceva la lotta a Cosa Nostra, pagando spesso con la vita: "In Sicilia la mafia uccide i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere". Prima di lui erano caduti, fra gli altri, il procuratore Rocco Chinnici, l'ispettore Ninni Cassarà, il commissario Boris Giuliano, e ancora il presidente della Regione Piersanti Mattarella e il segretario del Partito Comunista Pio La Torre. Meno di tre mesi dopo, toccherà la stessa tragica sorte al collega e amico Paolo Borsellino.

Leggi anche:
Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔