Erano stati condannati per una manifestazione a Isfahan. Le Ong: ‘Processo farsa’, ammissioni ‘estorte con la tortura’
Il boia non si ferma in Iran. Tre uomini condannati a morte per il loro coinvolgimento nel decesso di funzionari delle forze dell'ordine durante le proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini lo scorso anno, sono stati impiccati all'alba di questa mattina. Majid Kazemi, Saleh Mirhashemi e Saeed Yaghoubi sono stati giudicati colpevoli di "moharebeh" ("guerra contro Dio") e di possesso di un'arma durante una manifestazione nella città centrale di Isfahan, ha riferito l'agenzia di stampa Mizan Online.
I tre erano stati arrestati a novembre e poi condannati alla pena capitale a gennaio. Per la Repubblica islamica sono anche colpevoli di essere membri di "gruppi illegali che intendono minare la sicurezza del Paese e di collusione che porta a crimini contro la sicurezza interna", ha aggiunto l'agenzia, precisando che a dimostrazione di ciò ci sono sia delle "prove", sia le "loro dichiarazioni".
Affermazioni queste che non convincono affatto gli attivisti e le principali organizzazioni a difesa dei diritti umani, convinti che le ammissioni di colpa dei tre siano state "estorte con la tortura" in un "processo farsa". Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha chiesto alla comunità internazionale di agire per mettere fine a questa "strage di Stato", ricordando che "con queste ultime tre esecuzioni si è oramai arrivati a "sette manifestanti impiccati dall'inizio delle proteste, in un contesto in cui l'Iran ha registrato già 260 impiccagioni solo quest'anno, che si aggiungono alle 576 dello scorso anno".
Anche l'Unione europea ha condannato le recenti esecuzioni con la "massima fermezza" e ha invitato ancora una volta le autorità di Teheran a "porre immediatamente fine alla pratica fortemente condannabile di imporre ed eseguire condanne a morte nei confronti dei manifestanti".
Nei giorni scorsi il padre di Saleh Mirhashemi si era fatto ritrarre con un foglio in mano su cui era scritto: "Mio figlio è innocente" e "non aveva un'arma", ha riportato Bbc Persian ricordando che sono state "innumerevoli le richieste di cittadini e personalità politiche, culturali e artistiche dentro e fuori l'Iran di fermare l'esecuzione dei tre. Inoltre, un gran numero di cittadini di Isfahan si era recato davanti alla prigione dov’erano detenuti i tre.
L'Iran è scosso da un movimento di protesta dalla morte il 16 settembre del 2022 della giovane curdo-iraniana Mahsa di 22 anni, tre giorni dopo il suo arresto da parte della polizia morale che l'accusava di aver infranto il rigido codice di abbigliamento imposto alle donne, in particolare l'uso del velo.