Ripresa incerta e dubbie norme post-Covid. Il focus ora si sposta su Singapore
Le imprese europee lamentano un ulteriore e "significativo deterioramento" della fiducia verso la Cina, con un'azienda su 10 che pianifica "di spostare la propria sede asiatica – oppure lo ha già fatto – fuori dal Paese", in favore soprattutto di Singapore.
A dispetto della riapertura dopo quasi tre anni di strette anti-Covid, Pechino sconta una ripresa incerta, crescenti tensioni internazionali e un clima imprenditoriale sempre più politicizzato, rendendo – in base al 64% delle 570 aziende della Camera di commercio dell'Ue in Cina, un livello mai così alto – più difficile portare avanti le proprie attività.
Il China Business Confidence Survey 2023 (Bcs), il sondaggio annuale condotto dalla Camera presso i suoi associati insieme a Roland Berger, non poteva essere diffuso in un momento più strategico: il premier cinese Li Qiang è impegnato nella sua prima missione all'estero con una nutrita delegazione di ministri e capi delle aziende statali a scongiurare il de-risking e a rilanciare i rapporti sull'asse Berlino-Parigi, i principali partner commerciali europei del Dragone, facendo leva sulla promessa non nuova di maggiore apertura del Paese verso l'esterno.
"Le tendenze negative che vediamo nel sondaggio 2023 sono preoccupanti e riflettono le recenti sfide portate dalle incertezze del contesto politico cinese, dall'aumento di tensioni geopolitiche e dalla persistenza di barriere di accesso al mercato di lunga data", ha messo in guardia Jens Eskelund, presidente della Camera, presentando il rapporto. "Per invertire la tendenza e consentire alle imprese Ue di svilupparsi e di contribuire alla crescita cinese con il loro pieno potenziale, dobbiamo davvero vedere azioni concrete", ha ammonito Eskelund.
Fino a dicembre 2022, la Cina si è isolata con le restrizioni anti-Covid che hanno causato problemi ad attività industriali, consumi e catene di approvvigionamento. La riapertura aveva alimentato le speranze di ripresa economica, ma i dati macro reali hanno segnalato una situazione difficile. Tra la produzione industriale in affanno, le vendite al dettaglio stagnanti e l'export in frenata, la disoccupazione giovanile (16-24 anni) ha toccato a maggio il record storico del 20,8%.
Il 60% delle aziende Ue intervistate ha lamentato la legge antispionaggio – in vigore a luglio e dai contorni molto vaghi –, la crisi tra Cina e Usa su Taiwan – che Pechino considera parte "inalienabile" del suo territorio da riunificare anche con la forza, se necessario – tra i principali timori. L'11% ha spostato gli investimenti fuori dalla Cina e il 75% ha rivisto la supply chain. Si è consolidato il disaccoppiamento tra quartier generale europeo e cinese per gestire i rischi, con l'impennata dei costi.
Mentre la riduzione di manager stranieri ha minato il trasferimento di know-how e best practice, tra i fattori che più hanno aiutato la Cina a correre. Non sorprende allora che Goldman Sachs, ad esempio, abbia tagliato le stime sul Pil cinese del 2023 al 5,4% (dal 6% precedente) e quelle sul 2024 al 4,5% (dal 4,6%), puntando il dito sull'indebolimento della fiducia e le nubi che continuano ad addensarsi sul mercato immobiliare.