L’inflazione post-Covid potrebbe spingere le banche centrali a rivedere la politica monetaria espansiva, ma è ancora presto
Tra pochi mesi saranno trascorsi sette anni da quando la Banca nazionale svizzera (Bns) fissò il suo tasso d’interesse di riferimento a -0.75%. Per la prima volta si entrò in territorio negativo. Si era nel gennaio 2015 e la mossa accompagnava la decisione di lasciar fluttuare il cambio euro/franco fissato qualche anno prima a 1,20. Fu considerata una misura eccezionale che avrebbe avuto vita breve. Invece non fu cosi. Addirittura, nel frattempo, i tassi a lungo termine sono anch’essi diventati negativi. Quando l’economia svizzera tornerà a tassi d’interesse positivi? E quali sono le implicazioni dei tassi negativi?
Queste domande, e diverse questioni a esse correlate, sono state affrontate poco prima dello scoppio della pandemia in uno studio, denominato ‘Nota di discussione pubblica’ dello Swiss financial institute (Sfi), e pubblicata nel marzo 2020. A distanza di oltre 18 mesi da allora il tema è ancora di attualità e l’Sfi è tornato con una nuova ‘Nota di discussione pubblica’ curato dal professor Philippe Bacchetta dell’Università di Losanna. Ricordiamo che lo Swiss finance institute (Sfi) è il centro nazionale per la ricerca di base, il dottorato, lo scambio di conoscenze e la formazione continua in ambito bancario e finanziario. La missione dello Sfi è far crescere il capitale di conoscenze per la piazza finanziaria svizzera. Creato nel 2006 come partenariato pubblico-privato, lo Sfi è un’iniziativa congiunta che riunisce gli operatori finanziari svizzeri, sei università svizzere e la Confederazione.
Poiché l’inflazione è molto bassa, la Svizzera sta sperimentando tassi d’interesse sia nominali sia reali negativi. Questo fenomeno è una novità storica. I tassi d’interesse reali, ovvero netto dell’inflazione, sono stati negativi in passato, dopo le due guerre mondiali. Tuttavia, i tassi nominali non sono mai stati negativi prima. È di fatto un esperimento monetario che sta durando da quasi sette anni.
Lo studio dell’Sfi distingue le diverse implicazioni dei tassi d’interesse, siano essi nominali o reali. Tassi nominali molto bassi o negativi influenzano le attività finanziarie, in particolare quelle bancarie, perché non riescono ad applicarli in modo completo ai depositi dei clienti. “Sono anche problematici per la politica monetaria perché limitano la possibilità di abbassarli ulteriormente per stimolare l’economia”, si legge. “Le banche centrali devono allora utilizzare politiche monetarie non convenzionali come il quantitative easing” ovvero l’intervento sul mercato dei titoli o su quello delle valute.
Tassi reali negativi, quindi al netto dell’inflazione, hanno conseguenze ancora più ampie che non sono legate alle banche o alla politica monetaria. Di questa situazione beneficiano in particolare i debitori “che ottengono finanziamenti più economici. Danneggiano però i risparmiatori, che riceveranno un reddito futuro più basso”. “Questo – si fa notare nello studio – potrebbe portare gli investitori a considerare investimenti più rischiosi nella ricerca di un rendimento minando la stabilità finanziaria”. Oppure “alimentare i prestiti ipotecari e portare a un boom immobiliare”. Situazione che si è puntualmente verificata in Svizzera. “L’esperienza recente mostra anche che una situazione di tassi bassi può esacerbare le disuguaglianze sociali: le famiglie più ricche beneficiano di rendimenti più alti grazie alla loro partecipazione ai mercati finanziari, mentre le famiglie meno ricche non hanno alcun rendimento sui loro depositi bancari”.
La tendenza al ribasso dei tassi d’interesse reali a livello internazionale si ha a partire dagli anni ‘90 ed è continuata fino a oggi. Prima della crisi finanziaria del 2008, il rendimento dei titoli di stato svizzeri era di circa il 2%, mentre negli ultimi anni è stato inferiore all’1%. Nell’analisi curata dal professor Bacchetta si fa notare che al di là delle situazioni contingenti, il calo dei tassi d’interesse reali è una tendenza globale che può essere osservata in tutti i Paesi sviluppati in quanto “c’è una convergenza dei tassi d’interesse reali, causata in particolare dalla globalizzazione finanziaria”.
All’inizio della crisi Covid, nel marzo 2020, i mercati finanziari sono stati di fatto destabilizzati. La reazione rapida e incisiva di alcune banche centrali ha evitato una maggiore instabilità. La Federal Reserve, per esempio, è intervenuta sul mercato dei Treasury degli Stati Uniti e ha acquistato enormi quantità di titoli per controbilanciare le vendite. I confinamenti e le perturbazioni legate alla situazione sanitaria hanno colpito anche l’economia reale causando una profonda recessione. Il 2021 ha conosciuto una rapida inversione di tendenza, ma permane l’incertezza relativa alla portata della ripresa economica e questo a causa dell’evoluzione della pandemia e dell’insorgere di nuove varianti. Sorprendentemente i tassi di interesse non sono stati colpiti dallo shock pandemico: In Svizzera negativi erano all’inizio della pandemia Covid e tali sono rimasti. È però aumentata l’incertezza sui tassi futuri. “L’evoluzione dei tassi d’interesse reali è un fenomeno globale. Pertanto, ciò che conta è il risparmio globale e l’investimento globale: un basso investimento e un forte risparmio esercitano una pressione al ribasso sui tassi”, si legge. E sul fatto che il risparmio delle famiglie rimanga elevato c’è abbastanza consenso tra gli esperti in quanto la crisi Covid potrebbe aver aumentato l’avversione al rischio. Anche l’aumento delle disuguaglianze riduce la propensione al consumo complessiva come pure i potenziali cambiamenti di lunga durata della struttura economica che a loro volta frenano gli investimenti.
D’altra parte, i tassi d’interesse reali e l’inflazione possono aumentare se la ripresa è molto forte. Quest’ultima è arrivata sì più elevata del previsto, ma è stata diseguale tra i Paesi e i settori economici. Cosa che fa pensare che la pressione sui tassi reali rimarrà ancora debole, almeno in Svizzera.