La recensione

Osi al Lac, con il ricordo di Furtwängler a Lugano

Strepitosa l'interpretazione della Sesta di Beethoven che la nostra piccola grande Orchestra ci ha offerto giovedì sotto la direzione di David Afkham

Giovedì 14 marzo, Sala Teatro
(OSI / F. Fratoni)
15 marzo 2024
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Il 15 maggio 1954 al Teatro Kursaal di Lugano suonarono i Berliner Philharmoniker diretti da Wilhelm Furtwängler (1886-1954). In programma c’erano il poema sinfonico ‘Till Eulenspiegel’ di Richard Strauss, il concerto in re minore K 466 di Mozart e la Sesta Sinfonia, ‘la Pastorale’ di Beethoven. Fui tra il pubblico e il giorno dopo acquistai il mio primo Lp, che conservo quasi consumato dai molti ascolti: la Sesta di Beethoven con i Wiener Philharmoniker diretti da Furtwängler, in una mitica registrazione del 1952.

Furtwängler morì sei mesi dopo, mentre Arturo Toscanini (1867-1957) poco più di due anni dopo. Erano due direttori carismatici, due personalità contrapposte umanamente e musicalmente, almeno nella percezione dei melomani di settant’anni fa. Furtwängler, compromesso col nazismo, convinto che la partitura sia tutta da interpretare; Toscanini, fiero oppositore del fascismo, convinto che la partitura va seguita alla lettera, nonostante un rimprovero ricevuto in gioventù da Giuseppe Verdi: “Ma ragazzo, sulla partitura non si può scrivere tutto!”.

Nel 1992 uscì su Cd la registrazione del concerto del 1954 fatta dalla Radio della Svizzera italiana. L’ho riascoltato due giorni fa e l’ho confrontato con la registrazione della Pastorale di Beethoven fatta nel 1997 da David Zinman con l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo. Vi ho trovato differenze significative: per i cinque tempi della stessa Sinfonia Furtwängler supera i 46 minuti mentre Zinman non arriva ai 40. La prassi esecutiva evolve nel tempo e con essa anche il gusto dell’ascoltatore: una sacrosanta necessità. “Iota unum non praeteribit” (non si cambi una virgola) è una regola etica bigotta, non appropriata al mondo dell’arte.

Questa lunga premessa è a freno della tentazione di superlativi per la strepitosa interpretazione della Sesta di Beethoven che la nostra piccola grande Orchestra ci ha offerto giovedì sotto la direzione di David Afkham. Una flessibilità deliziosa nella condotta dei tempi, una pulsione ritmica, che ha legato in un unico respiro esecutori e ascoltatori. Non so spiegare l’applauso partito alla fine dell’‘Allegro ma non troppo’ iniziale, non conforme agli usi e ai costumi del nostro tempo, ma sottolineo il lungo silenzio che è seguito allo spegnimento dell’ultima nota, poi l’applauso calorosissimo, ma senza ovazioni da stadio e l’assenza di ascoltatori preoccupati di non perdere il treno che lasciano la sala prima che gli orchestrali si accingano a lasciare il palco.

Un grande Ludwig van Beethoven è stato preceduto da un modesto Robert Schumann del Concerto per violoncello e orchestra affidato al violoncellista Truls Mørk, che l’ha in repertorio con evidente piacere, forse perché consentito dal timbro limpido, luminoso del suo violoncello. David Afkham l’ha assecondato chiedendo all’Orchestra una partecipazione discreta, che lasciasse il solista in evidenza.

Il pubblico e gli orchestrali tutti hanno applaudito con calore Mørk, che ha concesso il dovuto bis: un Bach che mi è sembrato un po’ fuori contesto nel meriggio romantico di Schumann.

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