Natura

In 50 anni abbiamo distrutto il 69% degli animali selvatici

Il dato sconvolgente è stato pubblicato nel Living Planet Report 2022, il rapporto del Wwf sulla salute del pianeta

Il gorilla di pianura orientale, ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega in Congo tra il 1994 e il 2019
(Keystone)
13 ottobre 2022
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Le popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono calate in media del 69% dal 1970, nel mondo, e in America Latina e nei Caraibi la perdita di fauna selvatica ha raggiunto il 94%. Il Living planet report (Lpr) 2022 del Wwf monitora quasi 32’000 popolazioni di 5’230 specie di vertebrati e lancia un appello per la Cop15 di dicembre: "Ci aspettiamo un ambizioso accordo" in grado di invertire la perdita di biodiversità. "Una doppia emergenza, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, minaccia il benessere delle generazioni attuali e future", dichiara il direttore generale del Wwf, Marco Lambertini.

"Il Wwf è estremamente preoccupato da questi nuovi dati – aggiunge Lambertini – che mostrano un calo devastante delle popolazioni di fauna selvatica, in particolare nelle regioni tropicali che ospitano alcune delle aree più ricche di biodiversità al mondo".

Fra le specie monitorate dal Living planet report ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva brasiliana di Mamirauá; i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega in Congo tra il 1994 e il 2019; e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019.

Complessivamente, come gruppo di specie, la riduzione maggiore riguarda le popolazioni d’acqua dolce monitorate, diminuite in media dell’83% a causa della perdita di habitat e delle barriere alle rotte migratorie.

Secondo il Living planet report le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono i cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, lo sfruttamento eccessivo di piante e animali, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie aliene invasive, le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot d’inquinamento sono particolarmente importanti in Europa. Inoltre a meno che non limitiamo il riscaldamento globale a meno di 2 °C, o preferibilmente 1,5 °C, è probabile che il cambiamento climatico diventi la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi nei prossimi decenni.

Il rapporto indica che solo aumentando gli sforzi di conservazione e ripristino, producendo e consumando, in particolare il cibo, in modo più sostenibile e decarbonizzando rapidamente e profondamente tutti i settori sarà possibile mitigare la doppia crisi di clima e natura.

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