Culture

Storie dal confine. Riapre il Museo delle dogane di Gandria

Tra le novità, una mostra sulle migrazioni del fotoreporter Darrin Zammit Lupi per i 30 anni dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni

29 marzo 2024
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I confini sono luoghi strani, spazi che allo stesso tempo uniscono e dividono, osservatori privilegiati per raccontare storie di connessioni e separazione. Storie che trovano casa nel Museo delle dogane svizzero alle Cantine di Gandria che, con le vacanze pasquali, riapre per la stagione estiva.

La pausa invernale è stata occasione per alcuni lavori di miglioramento dello stabile che, per buona parte del Novecento, è stato sede delle guardie di confine.

La nuova area di accoglienza ospita la prima delle due novità di questa riapertura, con la rinnovata esposizione sull’attività delle dogane nella protezione delle specie minacciate di estinzione. Stiamo parlando della Cites, la convenzione del 1973 che riguarda cinquemila specie di animali e 28mila specie di vegetali dallo sfruttamento eccessivo e che quindi possono essere commerciate – e di conseguenza entrare in Svizzera – solo in quantità giudicate sostenibili. Parliamo ad esempio di pellicce di ghepardo, dell’avorio ricavato dalle zanne degli elefanti o di conchiglie e coralli, ma in mostra troviamo anche teschi di scimmia.

Per identificare gli oggetti provenienti da animali protetti dalla Cites, i doganieri possono ricorrere a un aiuto “non umano”: l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc) dispone infatti di alcuni cani specializzati nel riconoscere, ad esempio, la pelle di coccodrillo, segnalandone la presenza al doganiere che poi si occuperà di accertarne l’origine.

I volti della migrazione

Le storie dal confine non riguardano soltanto animali esotici e oggetti di contrabbando: il percorso espositivo del museo si conclude con un piccolo ma suggestivo spazio dedicato alla migrazione. Questa mostra temporanea si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per i 30 anni della rappresentanza svizzera dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’ente delle Nazioni unite che dal 1951 si occupa di una gestione ordinata e rispettosa della dignità umana della migrazione. Come ha spiegato in conferenza stampa la capomissione Berta Fernández-Alfaro, al centro delle attività dell’Oim svizzera vi sono il ritorno volontario e la reintegrazione, tramite varie iniziative che vanno dalla formazione agli aiuti alla microimprenditorialità, in modo da assicurare – grazie anche alla rete mondiale di Oim – un cammino sostenibile e duraturo alle persone che decidono di tornare nel proprio Paese di origine. Al cuore dell’Oim, tuttavia, vi sono i migranti con le loro storie individuali. Storie che troviamo nella mostra con le immagini di Darrin Zammit Lupi, fotoreporter maltese che nel corso della sua carriera ha documentato numerosi progetti migratori nazionali e internazionali lavorando per varie testate internazionali, tra cui l’agenzia Reuters. Quello del Museo delle dogane è un allestimento interessante, con una parete interamente ricoperta con il materiale delle dorate coperte termiche impiegate nel soccorso dei migranti in mare, divenute simbolo di un percorso difficile e che spesso si conclude tragicamente. «La mancanza di percorsi migratori sicuri e regolari e le protezioni inadeguate rendono le persone vulnerabili alla violenza, allo sfruttamento e all’abuso» ha affermato Fernández-Alfaro durante la conferenza stampa. Le fotografie di Darrin Zammit Lupi sono state scelte per «mettere in luce storie di migranti, per mostrarli non come vittime del destino, ma per quello che sono: esseri umani con facoltà decisionali che hanno rimpianti, subiscono perdite, commettono errori alle volte rischiando troppo nel loro percorso migratorio». Esseri umani, ha concluso la capomissione Oim Berna, «che hanno il coraggio di affrontare le loro paure, disposti a lasciare il comfort di casa per una strada inesplorata, nella speranza di un futuro migliore».

Quello della migrazione è un fenomeno complesso e che cambia nel tempo in base a diversi fattori, da quelli legati alle condizioni meteorologiche alle decisioni delle autorità e l’attività dei passatori. Lo mostrano i numeri presentati da Luca Cometti, capo-operazioni Dogana sud, che testimoniano lo spostamento delle rotte migratorie all’interno dei Balcani. L’Udsc, ha sottolineato Cometti, ha imparato molto dalle precedenti ondate migratorie e dispone di personale appositamente formato nel trattamento dei migranti. Le persone che non soddisfano i requisiti d’ingresso vengono identificate con le normali procedure di polizia e, a seconda del caso, vengono riammesse in Italia o viene loro ordinato di lasciare la Svizzera o l’area Schengen.

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