LUGANO

Paolo Nori: noi e Anna Achmatova

Sabato 11 novembre al Lac lo scrittore e traduttore dialogherà col pubblico delle Colazioni letterarie sull'attualità del ‘poeta russo’

‘Sono più di trent’anni che traffico con la Russia’
(@Claudio Sforza)
10 novembre 2023
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Apprezzato divulgatore della letteratura russa, lo scrittore e traduttore Paolo Nori si confronterà col pubblico del LAC in un incontro che ha lo stesso titolo del suo libro su Anna Achmatova: ‘Vi avverto che vivo per l’ultima volta’. Come mai questa scelta?

Il titolo del libro è la traduzione dell’inizio di una poesia di Anna Achmatova del 1940. Achmatova aveva 51 anni, aveva vissuto la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa, la guerra civile, le avevano fucilato il marito, arrestati il figlio e il terzo marito, che sarebbe poi morto in un gulag, in un gulag sarebbe morto il suo amico, grande poeta, Osip Mandel’štam, con il quale studiava l’italiano per leggere Dante in originale. Mi sembra un verso che racconti bene un’epoca, e mi sembra, devo dire, un bellissimo titolo.

Achmatova è considerata la più grande poetessa russa di tutti i tempi. Perché mai dovremmo definirla un poeta e non una poetessa?

Anna Achmatova non voleva che la si chiamasse poetessa. Voleva essere chiamata poeta. C’era una rubrica, su una rivista russa, che si intitolava ‘Poesia femminile’. Non le piaceva. “Capisco – diceva – che ci debbano essere i bagni maschili e quelli femminili, in letteratura però no, non funziona così”.

Apre il suo libro la citazione di questi versi: “Noi, poeti, siamo nudi, si vede tutto, perciò / dobbiamo preoccuparci di sembrare decenti”. Che cosa significa per un poeta essere decente dal punto di vista di Anna Achmatova?

Credo che per lei essere decenti significasse quello che significa per noi. Achmatova, ai suoi tempi, che a me sembrano simili ai nostri, era assediata dall’indecenza, da dentro e da fuori, e l’aggettivo decente, in queste condizioni, credo diventi un superlativo.

Scrive Brodksij che “la Achmatova, con il solo tono della voce, o con l’inclinazione del capo, ti trasformava in homo sapiens”. Può fare questo effetto anche al lettore di oggi? E in che modo?

I versi di Anna Achmatova, su di me, hanno un potere notevole, ma credo che l’incontro con Anna Achmatova facesse un effetto diverso, da quello prodotto dalle sue opere. Nel libro cito il ricordo del poeta e critico letterario Georgij Adamovič che dice: “Anna Andreevna aveva un aspetto stupefacente. Adesso, nelle memorie che scrivono, dicono che era bellissima: no, non era bellissima. Era più che bellissima, era meglio, che bellissima. Non ho mai visto una donna il cui viso e l’intera figura spiccassero ovunque, tra non importa che donne bellissime, per l’espressività, la spiritualità, qualcosa che attirava immediatamente l’attenzione”.

Nel suo libro non si parla solo di Anna Achmatova, ma anche della guerra in Ucraina. Come mai questo salto nel presente? Leggere Achmatova può aiutarci a capire qualcosa della situazione attuale?

Quando ho cominciato a scrivere ‘Vi avverto che vivo per l’ultima volta’, sul finire del 2021, il sottotitolo era ‘L’incredibile vita di Anna Achmatova’, che è simile a quello del mio romanzo precedente, su Dostoevskij (che si intitolava ‘Sanguina ancora’ e il cui sottotitolo era ‘L’incredibile vita’ di Fëdor M. Dostoevskij). Nel febbraio del 2022 ho avuto l’impressione che le cose su cui stavo lavorando, gli scritti di Anna Achmatova e le memorie dei suoi contemporanei, fossero così attuali, mi è sembrato che ci appartenessero così tanto che ho cambiato il sottotitolo in ‘Noi e Anna Achmatova’.

La patria di Achmatova, nata nei pressi di Odessa, era la lingua russa (così come quella francese era la patria di Camus e quella spagnola era la patria di Bolaño). Come definirebbe il russo della Achmatova? In che modo Achmatova utilizza e magari reinventa la lingua russa?

Achmatova non reinventa, usa, con una voce autorevole, una lingua molto precisa. Mi incanta la musicalità, dei versi dell’Achmatova, e la concretezza dell’universo che ne risulta. Un critico russo, Viktor Šklovskij, dice che le prime poesie della Achmatova riguardano oggetti di uso quotidiano e che la luce proiettata da questi versi su degli oggetti che conosciamo benissimo e che usiamo tutti i giorni ce li fa guardare come se li vedessimo per la prima volta.

Che cos’è lo spirito russo nella letteratura? E quanto è presente in Anna Achmatova?

Sono più di trent’anni che traffico con la Russia e di cosa sia lo spirito russo non ne ho la più pallida idea. Mi viene in mente quel professore americano di cui si parla nel romanzo. Sta scrivendo un libro che tratta anche della Russia e incontra Anna Achmatova e le dice “In America mi hanno detto che lei è molto conosciuta, ho letto alcune delle sue cose e ho capito che lei è l’unica che mi può rispondere: cos’è l’anima russa?”. L’Achmatova, con gentilezza ma con decisione, cambia argomento. Il professore ripete la propria domanda. Lei cambia ancora argomento. Lui rifà la domanda. Lei cambia argomento. Lui si arrabbia e lo chiede al segretario di Anna Achmatova, se sa cos’è l’anima russa. “Non lo sappiamo, cos’è l’anima russa!” dice l’Achmatova, che si è arrabbiata anche lei. “Dostoevskij lo sapeva!” grida il professore americano. “Dostoevskij sapeva molte cose” dice l’Achmatova, “ma non tutto. Per esempio pensava che, se uccidi una persona, diventi Raskol’nikov. Ma noi adesso sappiamo che puoi ucciderne cinquanta, cento, e la sera andare a teatro beato e tranquillo”.

Secondo i censori sovietici, i versi di Anna Achmatova erano affetti da “pessimismo nevrotico, misticismo, culto per il passato aristocratico della Russia, erotismo malato”. Che cosa ritiene ci sia di vero in questa analisi e cosa caratterizza, secondo lei, i versi di Achmatova?

Mi viene in mente una contemporanea di Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, e un suo biglietto a un critico, Kornelij Zelinskij, che aveva dato questo giudico delle poesie che Cvetaeva voleva pubblicare: “Sono palesemente poesie ‘di un altro mondo’, qualcosa di diametralmente opposto e addirittura ostile alle concezioni del mondo nella cui sfera vive l’uomo sovietico”. Marina Cvetaeva, saputolo, rimanda a Zelinskij la sua raccolta di poesie con una nota scritta a mano: “L’uomo che ha potuto accusare di formalismo queste poesie è semplicemente disonesto. Lo dico dal futuro”. Ecco, a me, dal futuro, sembra che chi ha formulato un giudizio così negativo sulle poesie di Anna Achmatova non se ne intendesse tanto, poverino.

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