laR+ IL RICORDO

Morto a 77 anni il poeta Aurelio Buletti

I suoi versi erano caratterizzati dall'ironia

18 novembre 2023
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“Avviato il mattino, / il tempo si disperde nei ricordi, / non ragiona, rammemora, / lo coglie impreparato il mezzogiorno, / lo invita alla sua mensa, / ma glielo fa pesare: allora cerca / di ridarsi un contegno, si fa attento, / ma verso sera è stanco, piano chiede / di essere sospeso per la notte”. Versi di Aurelio Buletti, che si è spento la scorsa notte a 77 anni. Nato a Giubiasco, dopo la laurea in lettere a Milano aveva insegnato nella scuola media di Viganello. Incoraggiato a scrivere da Giovanni Orelli, che era stato suo professore di liceo, doveva la sua fama ad alcune raccolte di poesie (la prima, edita da Pantarei di Lugano, si intitola ‘Riva del sole’ e risale al 1973) e di racconti. Negli ultimi anni si era dedicato alle traduzioni: gli dobbiamo la riscoperta di Werner Renfer e una nuova versione, curata insieme a Christoph Ferber, di ‘Ultimo amore - Poesie in vita e in morte di Elena A. Denis’eva’ del poeta russo Fjodor Tjutcev, pubblicata da Quaderni di Erba d’Arno.

Un tratto peculiare dei suoi scritti era la brevità. Alcuni racconti e alcune riflessioni poetiche occupavano pochissime righe. “Mi piacerebbe che non assomigliassero ad aforismi”, aveva confidato al nostro giornale nel 2016, “perché li ritengo facilmente troppo sentenziosi. La brevità potrebbe essere capacità di sintesi ma anche incapacità di scrivere cose più lunghe”, aggiungendo, a proposito di possibilità narrative a cui aveva preferito non dedicarsi: “Il romanzo non è nelle mie possibilità. Forse mi piacerebbe una volta raccontare della mia infanzia. L’ho fatto un po’, ma non ho mai pubblicato niente”. Un altro tratto significativo era l’ironia: “Forse mi viene da mio padre, che era un sedentario ma – ricordo – andava quasi sempre lui a fare le spese. Io andavo con lui e nelle botteghe aveva sempre una battuta, battute bonarie”. Un’ironia mordace, utilizzata per dissacrare l’attività poetica e soprattutto le pretese filosofiche dei suoi stessi versi, era certamente presente nei titoli delle sue poesie. Quella che apre questo ricordo si intitola ‘Immaginare che il tempo sia sfinito e scrivere cosa può succedere’, altre si intitolano ‘Insistere sulla connotazione poco simpatica che ha il mezzogiorno nel testo precedente’, ‘Dire però anche bene del mezzogiorno’.

‘Vecchio vizio di scrivere in estratto’

A proposito del rapporto con gli altri scrittori e poeti, ci aveva risposto: “Ecco, io non sono mai stato iscritto alla Società degli scrittori della Svizzera italiana, non per disprezzo, per pigrizia anche. Sono invece stato per un po’ di tempo nel Gruppo di Olten, negli anni Settanta. Mi ricordo ancora di quando Giovanni Orelli mi aveva telefonato chiedendomi se ero d’accordo di aderirvi. Nel gruppo c’erano i due Orelli, Giorgio e Giovanni, Alberto Nessi, Antonio Rossi, l’ex direttore della Rsi Dino Balestra. Ricordo quegli anni Settanta, perché nel 1979 era morto Plinio Martini e l’anno dopo il Gruppo di Olten lo aveva commemorato in un incontro alla Biblioteca cantonale. Tra scrittori ci si incontrava, si discuteva delle nostre cose. È un bel ricordo. Non so dire quanto oggi ci sia ancora l’abitudine, per chi scrive, di trovarsi e discutere sui testi che si fanno. Penso che sarebbe una bella cosa”.

Si era espresso raramente sull’arte di scrivere poesie: “L’ho fatto per esempio in uno dei quattro ‘quaderni’ che compongono ‘E la fragile vita sta nel crocchio’, quello che si intitola ‘Vecchio vizio di scrivere in estratto’, che contiene testi il cui argomento, se così si può dire, è lo scrivere. Inoltre in ‘Segmenti di una lode più grande’ tratto questo tema. Una riflessione teorica l’ho svolta una volta soltanto, quando Fabio Pusterla mi ha invitato al liceo 1 di Lugano, nel 2008, a un incontro”. A proposito delle sue letture: “Leggo molto disordinatamente. Per fare un nome, mi piacciono molto i versi dell’autore statunitense Raymond Carver e anche le sue poesie. E vorrei ricordare (e segnalare) un poeta ungherese dalla vita molto difficile, Attila Jozsef. Nel caso di questi autori, ritengo molto importante conoscere la loro vita, per comprendere meglio quello che hanno scritto. Vale per tutti gli autori, per alcuni però è indispensabile”.

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