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Quei tormenti nascosti di Madre Teresa, la donna dietro il mito

In ‘Mother Teresa & Me’, intenso film svizzero-indiano, dubbi e sofferenze della Santa che dedicò la vita ai più poveri. Nelle sale ticinesi dal 31 marzo

Le attrici Banita Sandhu (Kavita), Jacqueline Fritschi-Cornaz (Madre Teresa), Deepti Naval (Deepali)
(Dal film ‘Mother Teresa & Me’)
30 marzo 2023
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Una figura minuta in un semplice sari bianco con strisce azzurre. Subito ci appare l’immagine di Madre Teresa di Calcutta. Aveva scelto i colori della casta degli intoccabili, la più povera dell’India, per la congregazione fondata nel 1950. Per la sua opera proprio tra i più poveri tra i poveri e il rispetto per il valore e la dignità di ogni persona, le era stato conferito il premio Nobel per la Pace (1979); Papa Giovanni Paolo II la proclamò Beata (2003) e Papa Francesco Santa (2016).

Non è però una Santa quella che incontriamo in ‘Mother Teresa & Me’. È una donna ‘reale’ e vulnerabile, confrontata con il sentimento di essere stata abbandonata. Il film – intenso e ben recitato, diretto dal cineasta svizzero-indiano Kamal Musale – racconta i dodici anni dal momento in cui Madre Teresa sente la voce di Gesù e inizia il lavoro nelle bidonville di Kolkata, nel 1948; a quando, sentendosi lasciata da Dio, perde la fede. Personalità tra le più celebri al mondo anche a vari anni dalla morte (nel 1997 a Calcutta), del suo lavoro al servizio dei più bisognosi parecchio si sa; meno, invece, di dubbi e afflizioni che l’avevano messa a dura prova e che aveva nascosto per il resto della sua vita. ‘Mother Teresa & Me’, nelle parole del regista, non è un film religioso. È un film umano, su una donna che ha sofferto per realizzare la sua visione.

La storia di Madre Teresa, nel film, scorre in parallelo a quella di Kavita. La giovane di origine indiana che abita a Londra, vive un dolore simile: l’abbandono del compagno, quando lo informa di essere incinta. Personaggio inventato, Kavita permette allo spettatore, anche giovane, d’identificarsi con la vita di Madre Teresa. Però di più non diciamo: vale la pena scoprire sul grande schermo le strade di queste due donne che tutto o quasi sembra separare e come queste strade, pian piano si incrocino.

La miseria vista dal taxi

«È stato uno shock». Era il 2010 e Jacqueline Fritschi-Cornaz (Madre Teresa nel film, di cui è anche coproduttrice), dal taxi che la portava da uno studio cinematografico all’altro, aveva visto «per la prima volta con i miei occhi la miseria più estrema». A Mumbai per accompagnare il marito Richard in viaggio di lavoro, l’attrice svizzera ne aveva approfittato per visitare Bollywood. «Sapevo che esisteva una grave povertà, ne avevo sentito parlare e ne avevo letto. Però osservare quei bambini che vivevano per strada, è stato sconcertante; sia per le loro condizioni, sia per l’assoluta mancanza di prospettive». Ho due possibilità, si era detta già sul taxi: dimenticare, in qualche modo; o provare a far qualcosa. Ha scelto la seconda. «A un produttore incontrato subito dopo, chiesi se avesse mai pensato di realizzare un film su questa donna che aveva avuto coraggio e forza di svegliarsi ogni giorno, per lavorare in mezzo a quella miseria. Lui manifestò interesse, ma allora non c’erano fondi. Trovò poi una foto di Madre Teresa a trenta-quarant’anni e disse che io avevo un viso simile». Per la prima volta pensa di interpretare Madre Teresa; le sarebbe bastato – ci dice in ottimo italiano –recitare come dottoressa o infermiera o suora.

Il lungometraggio è stato finanziato dalle donazioni raccolte tramite la fondazione creata dal marito Richard. «L’abbiamo chiamata Zariya, in urdu significa ‘la fonte’ (www.zariyafoundation.org)». Ci sono voluti dieci anni per racimolare i quattro milioni di franchi necessari. «Avevamo la volontà di fare, ma non i mezzi. Abbiamo avuto bisogno di tempo e tanta forza. Queste difficoltà a trovare i sostegni, ci hanno aiutato a comprendere cosa abbia affrontato Madre Teresa quando cercava denaro per la sua opera, affrontando numerosi problemi».

‘Un messaggio di ispirazione’

Vestire quel sari bianco con le righe azzurre, anche solo per scena, non lascia indifferenti. «È stata una sfida. E al contempo una di quelle occasioni che forse capitano una volta nella vita». Per capire meglio la figura della donna, prima ancora che di colei assurta quasi a mito, Fritschi-Cornaz è andata là dove Madre Teresa è ancora presente. «A Calcutta, dove ho lavorato a fianco delle suore in una struttura per bambini con andicap mentali e fisici. Sono anche stata in un Monastero nel Muotathal, dove vivono sei suore: volevo capire la relazione di una religiosa con Gesù nella sofferenza della croce. Inoltre ho incontrato il ramo della famiglia di Madre Teresa che si trova ancora a Skopje, che da parte materna continua a lavorare nella gioielleria. Ho ricevuto in dono una croce, che poi abbiamo usato nel film».

Della crisi di fede e dell’immensa sofferenza patite da Madre Teresa, l’attrice ci racconta che non sapeva prima di questo progetto. «Non è stato semplice, per me, entrare in quei suoi spazi bui, in quello che lei definiva un tunnel». Una disperazione che Fritschi-Cornaz ha dovuto ‘tenere dentro’ più a lungo del previsto. «Perché è scoppiata la pandemia. Abbiamo terminato le riprese in India appena in tempo e siamo riusciti a spostarci a Londra prima del lockdown. Però sono seguiti otto mesi di attesa, prima di poter continuare a girare. In questo lasso di tempo ho dovuto lavorare su me stessa, per rimanere nello stato d’animo che era di Madre Teresa. Non sapere se e quando sarebbe stato possibile ricominciare, ha costituito una prova non solo per me. Il regista Kamal Musale ha realizzato un mezzo miracolo, e un plauso lo meritano l’intero cast e la numerosa crew». Staff che, dall’assistenza alla regia alla direzione della fotografia, al trucco, al casting e via di ruoli elencando, è curiosamente tutto femminile. «È stata una scelta del regista: sia perché da sempre nutre fiducia nelle donne che lavorano nel cinema, sia perché questo è un film che racconta di due donne. Premesso che mi trovo bene anche con gli uomini, lavorare con questo gruppo di capaci professioniste mi ha fatta sentire in famiglia».

Anche toglierselo, il sari bianco con le righe azzurre, non è stato facile. La storia di questa donna «straordinaria, mi ha toccata nell’intimo». È grazie alle persone che la circondano, il marito, la famiglia, gli amici, per le quali si dice «estremamente grata», che Jacqueline è riuscita a lasciare andare Madre Teresa. Restano, forti, la soddisfazione e la gioia per avere incarnato questa figura così potente e al contempo fragile, sotto il suo abito povero. «Speriamo di ispirare gli spettatori, specialmente quelli giovani, affinché ognuno di loro crei la propria visione. Sono convinta che tutti noi, come individui, abbiamo la possibilità di cambiare qualcosa. Madre Teresa ha dovuto essere un modello e un esempio; per questo nei suoi momenti di difficoltà, sofferenza e dubbio è stata estremamente sola. Credo che questo possa fungere da motivazione, in particolare al giorno d’oggi. Il messaggio del film è ispirare le persone a vivere con più empatia e amore. Ne abbiamo bisogno».

I ricavati saranno interamente devoluti a quattro tra istituzioni e fondazioni caritative: Deepalaya (Delhi); Fondation Genesis (Gurgaon); Institut des Sciences sociales de Kalinga (Bhubameswar); Spread a Smile India (Delhi). Girato tra Mumbai e Calcutta e in parte a Londra, ‘Mother Teresa & Me’ (coproduzione Svizzera, India e Gran Bretagna) sarà presentato in prima ticinese domani venerdì 31 marzo al Cinema Lux di Massagno (ore 20). Seguirà una discussione sui vari temi toccati dal film con l’attrice protagonista Jacqueline Fritschi-Cornaz, il vescovo ausiliare Alain de Raemy e Morena Ferrari Gamba (Fondazione Diritti Umani Lugano), moderata dal giornalista Bruno Boccaletti.

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