laR+ Aspettando l'8 marzo

‘Il nostro non è un carico solo di... lavatrici’

Alessandra Zumthor ci racconta dell’ancora difficile rapporto fra lavoro e famiglia in un equilibrio precario fra carriere ondeggianti e figli in crescita

Alessandra Zumthor
(Ti-Press)

È questa la prima di tre tappe che ci porteranno all’8 marzo. Protagoniste tre ospiti e la loro vita, soprattutto professionale, in quella che vuole essere ‘L’unica donna nella stanza’. Nato come progetto podcast (che trovate sul nostro sito) lo proponiamo anche in versione cartacea.

Partiamo da Alessandra Zumthor. Un curriculum il suo che spazia in diversi ambiti professionali e di impegno: dal giornalismo, coniugato nelle sue diverse forme (carta stampata, radiofonico, televisivo, digitale), alla politica (è stata candidata per il Consiglio di Stato e ora siede nel Consiglio comunale di Massagno dove è anche membro della Commissione della gestione), dalla comunicazione nel senso più largo del termine (oggi è responsabile per l’Orchestra della Svizzera italiana) all’insegnamento. Attiva in svariate associazioni, parla quattro lingue, suona il pianoforte, è appassionata di lettura, cinema, viaggi e barca vela. È moglie e mamma di due ragazzi adolescenti. Quest’anno, il primo maggio, festeggia i suoi primi 50 anni.

È vicino un giro di boa importante per una donna, quello dell’età. Ed entriamo nel vivo con una domanda costante quando si confronta la carriera di una donna con quella di un uomo. Quanto ha pesato o contribuito l’essere una giovane e attraente giornalista nel ritagliarsi uno spazio nello sgomitante mondo del giornalismo televisivo? Soprattutto rispetto allo stesso cammino di un collega.

Ognuno di noi filtra la realtà attraverso le lenti della propria esperienza. La mia impressione è sempre stata quella di aver dovuto lavorare tanto. Ammetto, senza tanti giri di parole, di essere una secchiona. Sono arrivata al giornalismo un po’ per caso in quanto il mio curriculum di studi era più improntato all’insegnamento. Quando è arrivata la ‘palestra’ importantissima del "Giornale del Popolo", non si trattava tanto di essere giovani e attraenti ma di lavorare estremamente sodo, a tutte le ore, e fare così una gavetta dura, seppur anche molto divertente. E lo stesso approccio l’ho poi portato in televisione quando ho vinto il concorso, nel 2000, e ho dovuto tornare ad imparare. Non ti propongono, infatti, di andare subito in video e per produrre una trasmissione televisiva, devi conoscere meccanismi che sono completamente diversi dalla carta stampata. Pensiamo alla necessità di comprimere in un minuto e mezzo approfondimenti a cui diversamente su un giornale puoi dedicare più spazio. Devi imparare la sintesi e a giocare con le immagini. Dopo un paio di anni mi hanno proposto la conduzione del Telegiornale e lì cosa fai se non buttarti. In questo mi ha aiutato il mio diploma in pianoforte dove ho imparato a gestire e ad avere contatto con il pubblico.

L’essere ‘sola in una stanza’ ha significato, oltre a essere sola in quanto donna fra uomini, anche sola fra colleghe, incapaci, si sente spesso dire, di fare gruppo e anzi desiderose di alimentare invidie, pettegolezzi e incomprensioni? Oppure hai trovato complicità, condivisione?

Devo dire tutte e due. Poi, come sempre, dipende anche dal carattere. Non sono un’attaccabrighe, non me la prendo. È vero, anche statisticamente, che fra donne può capitare. Gli uomini sono più capaci di fare rete. Le donne sono forse più individualiste, senza arrivare a pensare che si facciano gli sgambetti a vicenda. Però è vero, è difficile tra donne avere una mentalità così coesa come può essere in un gruppo di uomini dove formano questo legame fin da quando fanno il militare assieme, in palestra o nelle squadre sportive. Le donne, forse, in questo sono più indietro, ma probabilmente pesa anche l’elemento caratteriale. Come donna dovresti quindi gestire i tuoi rapporti personali, privilegiando quelli che funzionano. Per mia esperienza, sono certamente gli episodi più piacevoli che ricordo. Quello che ho notato negli anni, è che le redazioni si sono sempre più popolate di donne, sia praticanti sia giornaliste che poi sono cresciute e hanno fatto carriera, limitando perciò quella sensazione di ritrovarsi sola. Quello che è però rimasto, e guardando al panorama della Svizzera italiana ciò è desolante, è questo famoso soffitto di cristallo. Alla fine, con tutto questo cambiamento avvenuto nelle redazioni, diventate sempre più femminili, i vertici rimangono comunque tuttora in mano agli uomini, sia in televisione, sia nei quotidiani o nei settimanali ticinesi. Certo ci sono, a mio avviso, fattori di esclusione obiettivi, ma anche di autoesclusione; forse, ad alcune donne, non interessa neppure arrivare così in alto…

Quando sei arrivata in alto ti sei ritrovata a rappresentare, oltre una testata giornalistica, anche un’entità, come la Curia, fatta quasi esclusivamente di uomini. Credi che questo abbia inciso nella mancanza di dialogo e condivisione, quando si è venuti a conoscenza, a giochi fatti, della chiusura del quotidiano? Se ci fosse stato un uomo al comando, sarebbe stato diverso?

Purtroppo penso di no e dico purtroppo per il giornale, perché era la cosa chiaramente a cui tenevamo di più tutti. Credo che se vi fosse stato un direttore la situazione sarebbe stata la stessa. L’aspetto finanziario del resto è sempre stato delicato e anche per questo il vescovo ha reputato di dover prendere questa decisione in tempi brevi. Da parte mia ho cercato il dialogo in tutti i modi come avrebbe potuto cercarlo un direttore. Penso che le motivazioni fossero al di sopra delle nostre teste e alla fine abbiamo dovuto, purtroppo, prenderne atto.

Passiamo alla politica. Da giornalisti spesso ci si chiama fuori dal coinvolgimento diretto nell’agone partitico. Cosa ti ha spinta a candidarti e quale spazio ti sei sentita riservare, da donna, rispetto a candidature maschili più blasonate?

Questo aspetto della politica per me è arrivato piuttosto tardi rispetto alla norma. Mi è sempre interessato poter dare un contributo a quello che porta al cambiamento della società, alla sua evoluzione. Mi sono sempre detta che se qualcosa non va non serve stare a casa a lamentarsi ma è necessario dare il proprio contributo. In Rsi ci era limitato per una questione di evidente conflitto di interessi, soprattutto se appari in video. Poi alla direzione del GdP ero talmente piena di lavoro che non ne avrei avuto il tempo. Difatti l’esperienza per il Consiglio di Stato è arrivata dopo i tanti anni passati a raccontare i meccanismi della politica. Avendo più tempo mi sono messa in gioco: tante cose, a mio avviso, potevano essere migliorate con l’apporto di uno sguardo femminile. Quello che ho visto, quando ho dato la mia disponibilità al Ppd, oggi Il Centro, è che comunque in generale nei partiti gli uomini sono più seguiti. Loro stessi sono più determinati perché arrivano con una carriera ‘chiara’, anche se ciascuno con le proprie vicende personali. Questo perché ancora oggi, nel 2023, per fattori esterni e interni, la carriera di un uomo, bene o male, parte da A e arriva a B. La carriera invece di una donna, che decide anche di mettere su famiglia, come nel mio caso, parte sì da A ma per arrivare a B andrà incontro a una serie più o meno grande di curve. Le stesse statistiche lo confermano. Per quanto ci possano essere mariti bravissimi, aiuti esterni, la società che evolve, l’onere di una famiglia è ancora oggi soprattutto sulle spalle di una donna. E non solo il carico di lavatrici, pulizie, eccetera, ma anche e soprattutto quello mentale, perché alla fine è inevitabile, i tuoi figli, se ci tieni, li vuoi seguire. Per l’uomo è invece più facile: seppur tenda ad occuparsene accompagnandoli magari all’allenamento o a scuola, delega tutto il resto ancora una volta alla donna. E quando i figli crescono, infatti, sono ancor più impegnativi, pretendono attenzione, per questo devi esserci. Sono tante tante ore, è tempo! Ed è questa l’unica risorsa democratica che abbiamo, le 24 ore di una giornata. È forse che le donne sentono di più quel voler esserci. Il marito o papà arriva solitamente a fine giornata con un bilancio un po’ più da ‘manager’. Tutto questo, certamente, non è di per sé negativo, io stessa lo faccio volentieri, però inevitabilmente ti porta a vivere degli anni in cui la carriera fa, per forza, delle pause... con il rischio vero del binario morto. Perché non è detto che quando ti riappropri di più tempo quelle condizioni favorevoli necessarie al mondo del lavoro sono ancora lì ad aspettarti... diversamente dall’uomo che ha mantenuto sempre il suo posto. Magari puoi tornare a fare cose ancora interessanti ma la "tua" carriera non è più quella.

Nel corso della campagna elettorale ti sei ritrovata a discutere di tematiche in quanto non allineata, da donna, su posizioni in un certo senso maschiliste o maschiocentriche?

Una cosa su cui ho subito puntato, in epoche non sospette pre-Covid, è la promozione dei tempi parziali e del telelavoro, tutte soluzioni che permettono a una donna di occuparsi dei figli senza dover abbandonare il proprio lavoro e senza perciò delegare ad altri. Da donna, in termini di sensibilità femminile, avevo soprattutto in mente tematiche quali la conciliabilità fra famiglia e lavoro. I candidati uomini, che vedevo più sul pezzo, erano magari da anni in politica, con dei percorsi importanti sul territorio, con reti già costruite, con sponsor che li aiutavano, e che hanno avuto il tempo di coltivare.

Da responsabile della comunicazione dell’Orchestra della Svizzera italiana, ci porti una buona notizia? Almeno la musica è in grado di livellare i generi?

Dobbiamo considerare i due livelli. Per i musicisti l’aspetto curioso è che per un concorso d’assunzione i candidati suonano dietro a una tenda e in questo sono molto avanti. Alla fine non conta perciò chi è, può essere anche un alieno, l’importante è che il suono dello strumento che esce convinca la giuria. In questo senso le orchestre sulla parità sono molto avanti. Nello staff invece rientrano un po’ più le dinamiche classiche di un’azienda. Nel nostro caso possiamo vantare, seppur ad interim, una direttrice artistica.

In quale momento professionale, in generale, di tutti quelli vissuti, ti sei sentita maggiormente sola in quella stanza?

Sola, anche per carattere, mai. Al giornale avevo un gruppo di direzione con cui ci si confrontava strettamente, alla Rsi potevamo contare su un team misto. Quando vi erano questioni da risolvere ci si parlava sempre tanto. Mi sono forse sentita una mosca bianca nella campagna elettorale per il Consiglio di Stato dove ognuno aveva il proprio staff e ciascuno faceva per sé. Lì in effetti ho avuto la percezione di essere fra poche donne. E allora nasce di nuovo una domanda: perché ancora così poche? Perché dalle università escono sempre più donne con voti migliori dei compagni, perché questo equilibro sembra cambiare e poi pare rimanere tutto uguale? Forse, al di là dei fattori esterni che si possono migliorare, mi chiedo se alla fine non vi sia una motivazione, un’ambizione che negli uomini è più radicata e soprattutto più costante, se sia un impegno che ti ripaga nel tempo. Del resto se tu, per ragioni ad ogni modo legittime, metti da parte per più o meno anni questa ambizione forse alla fine il conto finisce per non tornare. È una forma di autoesclusione, non di per sé certamente negativa, perché stai facendo una scelta importantissima per il futuro della società come il seguire dei figli. Però ancora oggi, è lì da vedere, a risentirne è ancora la tua carriera.

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