Culture

Il teatro naturale di Giampiero Neri

Un ricordo del poeta italiano, spentosi a Milano all’età di 95 anni

1927-2023
16 febbraio 2023
|

Mi è difficile, oggi, scrivere in senso critico sull’opera di Giampiero Neri, sbocciata con un libro intitolato ‘L’aspetto occidentale del vestito’ (Guanda, 1976), lavoro accolto con calore, partecipazione, da Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi, che lo ha seguito in tutti questi anni di scrittura. E di amicizia. Neri, il cui cognome d’origine è Pontiggia, ci ha lasciato senza lasciarci veramente, anche se sarà difficile passare davanti al suo teatro naturale, quello che lui ha chiamato ‘Piazza Libia’, non piazzale, dando alla poesia la facoltà di dire le cose con altre parole.

Tutto è iniziato ventidue anni fa, quando gli feci avere il mio primo lavoro, ‘Zoo Persone’ e da lì un breve, intenso, scritto di ritorno. Ci siamo scritti ancora, poi visti e frequentati. Cercati. Nei giorni scorsi, insieme all’amico Pietro Berra, poeta e giornalista che gli è stato vicino, suo il saggio ‘Il poeta architettonico’, ci ha raccontato con una parola via via più forte della casa materna di Erba, sollecitato da noi che gli chiedevamo di una vecchia fotografia. La casa, la guerra, le lacerazioni, i distacchi. La morte del padre, il suicidio della sorella Elena, la distanza con il fratello Giuseppe (Peppo) noto scrittore, un dialogo alla fine ripreso, interrotto da una morte improvvisa. Ascoltavamo, con la figlia Elena, apprezzata studiosa e critica d’arte, queste parole, una spirale che tornava ad alcune figure che lo avevano colpito e che proprio in quel momento sembravano bussare una ad una alla porta di casa. Il tono saliva, lo sguardo sui dettagli apriva al flusso della vita e del vivere.

Mi è limpido il ricordo delle giornate trascorse in quell’appartamento sobrio, giornate passate al tavolo con lui e la moglie Annamaria, sua prima e acuta lettrice, fino alle visite estive a Erba, seduti nel grande giardino. Poi, giù all’antico ‘Ristorante Negri’, il tavolo a due passi dal lago di Pusiano, la splendida visuale. In ‘Piazza Libia’ arrivavo alla mezza, andavamo spesso in quel ristorante tenuto da napoletani che per lui erano la summa dell’accoglienza, del calore e della buona cucina, diversamente dai ‘Paesaggi inospiti’, titolo di un suo precedente lavoro. I temi ci accomunavano; il calcio della nostra Inter, la politica, i libri letti ultimamente, tenendo il più possibile leggerezza nel dire, ironia. La sua poetica, toglie, sottrae, vicina al paradosso, a immagini fulminanti, attenta agli ultimi e ai dimenticati. Agli sconfitti. "I vincitori fanno festa, gli sconfitti riflettono sui perché della loro sconfitta". In ‘Piazza Libia’, volume per Ares, curato da Alessandro Rivali, che lo ha definito in un saggio del 2013 "maestro in ombra", è di questi che parla mentre cammina nel grande giardino della piazza, incontrando così "un uomo sulla cinquantina, disoccupato in apparenza, di nome Giovanni che vive della benevolenza altrui" e "innamorato di una certa Maria". Un teatro naturale sospeso tra l’animo umano che coglieva nella sua fragilità, in bilico tra parole di guerra e di pace.

Poco prima del congedo, ci ha letto due testi ricavati dal libro inedito, ‘Utopie’, sezione "Adolescenza". Era contento, tra le sue migliori poesie ha detto. Il Professor Fumagalli, suo docente di lettere, è stato per lui un costante riferimento, uomo su cui è tornato a scrivere più volte cercando di scoprire, oltre al noto, i tratti di una personalità in fondo misteriosa. Abbiamo anche parlato del pittore Vaglieri che per forza di tratto spicca sulle pareti del soggiorno, composte da molti quadri che ritrovavi ogni tanto in posizioni diverse. "Lo incontravo al supermercato, non comprava niente se non per i suoi gatti". "Adolescenza", parla dell’amicizia. "Non so come, eravamo diventati amici. / A sedici anni l’amicizia è qualcosa di serio. / Mi scriveva anche, ci eravamo dati dei soprannomi. / Il mio era Lampirius, per le mie conoscenze etimologiche. / In casa ne avevano approfittato per riderne fra loro. / Mio padre deformava il nome in dialetto: ‘Lampadari’ ". Abbiamo sorriso. Prima di lasciarlo, ho guardato uno dei quadri di Vaglieri, un gatto scatta, potente, sopra un tetto, in alto un grande sole pallido. "Sembra una tigre", ha detto.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔