laR+ Culture

Morto Godard si spegne il cinema

La Settima Arte muore, scompare, lasciando definitivamente il posto al commercio, all’industria del cinema, o a quello che resta

(Keystone)
13 settembre 2022
|

Attoniti di fronte alla ferale notizia: Godard è morto. Jean-Luc Godard: il CINEMA, e con lui questa Arte chiamata anni fa la Settima Arte, muore, scompare, lasciando definitivamente il posto al commercio, all’industria del cinema, o a quello che resta del cinema privato com’è nelle sale, immagini prevedibili nel loro movimento che riempiono palinsesti televisivi e piattaforme economicamente onnivore. Dei suoi 91 anni, oltre settanta sono quelli che Godard ha dedicato al suo mestiere. Alla fine degli anni Quaranta, frequentando la cineteca e i cineclub parigini con un gruppo di giovani amici tra cui François Truffaut, Eric Rohmer e Jacques Rivette, costituì il nucleo originario della futura Nouvelle vague, e la loro prima azione fu avere una teoria, formarsi a un’ideologia cinematografica; niente di scandaloso, pensando cos’è ancora oggi l’ideologia di Hollywood, quella tesa al profitto. E l’ideologia di Godard e dei suoi sodali e amici era quella di scardinare il cinema del loro tempo, quello che chiamavano ‘cinéma de papa’. Insieme parteciparono nel 1950 alla fondazione de ‘La gazette du cinéma’, e l’anno successivo iniziarono a collaborare alla nuova rivista ‘Cahiers du cinéma’, proponendosi come ideale la valorizzazione del ruolo del regista come autore, quella che venne chiamata ‘politique des auteurs’. Proprio ‘La gazette du cinéma’ segna il primo grande passo per Godard, fondata da Éric Rohmer, già dal 1948 presentatore di giovedì pomeriggio del cineclub del Quartiere Latino in rue Danton a Parigi; Rohmer che aveva dato vita anche a un Bulletin du ciné-club, dove lo stesso si poneva in contrasto con un certo cineclub universitario che, secondo lui, aveva una teoria ristretta tramite la quale affermava la grandezza di un film piuttosto che di un altro: "Con noi, proiettavamo qualsiasi cosa e questo permetteva a noi e al nostro pubblico di dire: ’Il capolavoro è questo e quello’".

La ‘griglia morale’

‘La Gazette du cinéma’ era una rivista critica in cui gli intellettuali cinefili discutevano del cinema contemporaneo. Jacques Rivette vi pubblicò molti articoli e anche Godard scrisse con lo pseudonimo di Hans Lucas. Truffaut non contribuì a questa rivista, che ebbe comunque breve vita, scomparve con il quinto numero. Ma proprio questo quinto numero è interessante perché i contributi di Jean-Luc Godard-Hans Lucas, qui apparsi nel novembre 1950, sono ben undici (sui diciotto testi da lui pubblicati in questa rivista). In uno mostra di apprezzare volentieri i film attraverso una ‘griglia’ morale, spirituale o religiosa, attaccata a definire la nozione di ‘mise en scène’ – attraverso Louis Lumière, Louis Feuillade, Abel Gance, David-Wark Griffith, Preston Sturges, Robert Siodmak, Thorold Dickinson, Grigori Kozintzev e Leonid Trauberg, Curtis Harrington – prima di tutto attraverso il rapporto con l’attore, anche proponendo questa definizione: "Il piano della regia dell’attore, cioè della sola regia".

Come in altri suoi testi di questo periodo, Godard si mostra soprattutto preoccupato della sua scrittura, moltiplicando le formule cesellate, riecheggiando uno stile letterario ‘classico’ o la propria ricerca. Si rivela anche eclettico, volentieri paradossale, allusivo, ironico e persino burlesco e dissacrante. Ecco, comunque, una sua critica, ‘Vendémiaire’, film muto francese diretto da Louis Feuillade nel 1918 e uscito nel 1919:

"Sappiamo che Abel Gance e Louis Feuillade sono gli unici registi che la Francia può paragonare a Griffith. Non importa chi abbia inventato il primo piano, la profondità di campo o la panoramica. Ma possiamo notare che intorno agli anni Dieci si è sviluppato un senso acuto dei problemi della mise en scène che è stato spesso negato e contraddetto, ma mai superato. ‘Vendémiaire’ è trattato come un oratorio dove il taglio lento e sereno infonde alla parola "patria" un prestigio al di là di ogni ridicolo. È una storia molto semplice di amori intrecciati che si dipanano, durante la stagione del raccolto, per l’intrusione di una prigioniera tedesca bella come una ginestra. Di Hans Lucas".

Interessante in questo stesso numero uno scritto di Paul Valéry, ‘Fonction du regard’, che, come raccontano i suoi biografi, non è estraneo alla prima carriera di Godard. Valery parla – senza usare la parola cinema o film – dell’esperienza dello spettatore e della "categoria separata" di "queste immagini": "Né immagine reale, né immagine dell’immaginazione ordinaria, né sogno? Non è né pensiero, né illusione, né memoria percepibile. [...] Sono funzioni dello sguardo. [...] In breve, qui c’è una creazione. Queste cifre mi sono sconosciute. Li riconosco come volti nuovi, più o meno smorfiosi. La produzione di questi volti è correlata all’atteggiamento, all’oscurità, ecc. Sono espressivi, variano e la loro variazione è strettamente legata al mio atteggiamento".

Avanguardia e rinnovamento

Dopo anni di formazione teorica dell’ideologia cinematografica, Godard firmandosi come Hans Lucas o Jean Luc finalmente presenta il suo primo film, ‘Opération ’Béton’ (1958, 20m), girato e distribuito nel 1955, quando lavorava come operaio edile, collaborando con numerose altre persone alla costruzione di una diga in Svizzera. Utilizzando i soldi guadagnati con la vendita di ‘Opération ’Béton’, gira nello stesso anno in 16 mm ‘Une femme coquette’, l’adattamento di un racconto di Guy de Maupassant intitolato ‘Le Signe’, un film in cui esplode la sua idea di cinema per la prima volta. Dove si afferma già quanto scriverà con profonda semplicità molti anni dopo, nel 2003, il compianto Alberto Farassino nell’Enciclopedia del Cinema Treccani: "Godard, tra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento, esponente di rilievo della Nouvelle vague, è stato punto di riferimento per i giovani cineasti degli anni Sessanta, rappresentando un segno di demarcazione fra epoche e culture della storia del cinema. Un ruolo conquistato con l’originalità e l’intensità delle sue opere, ma anche con una ricerca che lo ha visto in posizioni di avanguardia per tutta la sua lunga carriera, capace di rinnovarsi costantemente insieme alla società e alle tecnologie audiovisive, restando tuttavia fedele a un linguaggio e a un’idea di cinema forti e senza compromessi".

Nel 1958, Godard presenta un altro corto, ‘Charlotte et son Jules’ (20m), un uomo abbandonato (Jean-Paul Belmondo) che inveisce contro la sua ex amante, per lo più silenziosa (Anne Collette). E ancora altri cortometraggi, tra cui ‘Tous le garçon s’appellent Patrick’ (1957) e ‘Histoire d’eau’ (1958), fino ad arrivare al suo sfolgorante esordio, ‘À bout de souffle’, con cui vince il Premio per la miglior regia a Berlino 1960. Alla fine saranno 51 i premi vinti e 76 le nominations, e tutto questo per 131 film come autore compresi i corti, i film per la tv e quelli co-diretti, come ‘Les Ponts de Sarajevo’ nel 2014, in cui firma l’episodio ‘Le pont des soupirs’ e non gli importa se è il più vecchio del gruppo che comprende 13 autori tra cui Ursula Meier, Cristi Puiu, Marc Recha e Teresa Villaverde. L’anno prima aveva girato ‘3x3D’ con Peter Greenaway e Edgar Pêra; con Bernardo Bertolucci, nel 2002, aveva girato un episodio di ‘Ten Minutes Older: The Cello’, e c’era un parterre de rois con Claire Denis, Mike Figgis, Jirí Menzel, Michael Radford , Volker Schlöndorff e István Szabó. Niente in confronto a quello che fu ‘Ro.Go.Pa.G.’: era il 1963 e con Godard c’erano Pier Paolo Pasolini e la sua Ricotta, Ugo Gregoretti e Roberto Rossellini, sì proprio Rossellini, forse l’autore cinematografico più rivoluzionario insieme a Godard, entrambi capaci di cambiare la narrazione del Cinema, entrambi capaci di seguire fino in fondo la loro ricerca nel magico mondo dell’immagine, capaci di sopportare anche le offese e le incomprensioni, autori e artisti veri e unici. Il loro, come scriveva Gianluigi Rondi a proposito di Godard, "è un cinema libero da impacci grammaticali e sintattici, soggettivo e spesso anche irrazionale… tornato, anche attraverso un’originalissima esperienza televisiva, a film rigorosamente ispirati soltanto da una visione didattica e critica, in linea con le sue polemiche iniziali sulla società contemporanea".

Certo ora tutti ricorderanno giustamente i suoi film più noti, da ‘Pierrot le fou’ (1965), interpretato da Anna Karina, sua moglie dal 1961 – "Un romantico, nichilista e caleidoscopico inno alla libertà" scriveva Farassino – a ‘Prénom Carmen’ e ‘Je vous salue, Marie’ (1984), sulla questione della verginità di Maria e la nascita di Cristo, quante polemiche suscitò negli ambienti cattolici nel mondo. Nel 1987 s’immagina ‘King Lear’, sente lo sfaldarsi delle sue utopie, verranno poi i film di montaggio, immagini, suoni, parole e sogni, che ancora oggi ci inquietano come la sua splendida ‘Le Histoire(s) du cinéma’, forse l’unico suo vero testamento. Era nato a Parigi il 3 dicembre 1930.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE