L'intervista

Che sia Guccini o Ufo Robot, dirige il maestro Vince Tempera

La colonna sonora di Fantozzi, la sua musica in 'Kill Bill'. Cantautorato, cinema e sigle tv in tempi di massima libertà espressiva: ‘Quella è la sala, vai e produci’

23 aprile 2019
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Maestro, è arrivato il momento di chiederle dei cartoni animati. «Oh, come no!». È verso la fine dell’intervista a Vince Tempera che ci assale il dubbio che il musicista, produttore artistico, arrangiatore e direttore d’orchestra ci avrebbe parlato tutto il tempo di cartoon più che di cantanti. Sarà che «non sai quanti 40enni mi hanno chiamato a lavorare grazie a ‘Ufo Robot’»; sarà che «le canzoni che restano sono quelle che canta la mamma quando sei piccolo. Purtroppo, da un lato, perché ogni tanto cambiar musica non guasta». L’eternità di quelle canzoni ha anche un altro segreto: sono suonate da un pezzo di storia del prog italiano. Ma prima di arrivare a ‘Ufo Robot’ è doveroso un passo indietro.

Pur in era digitale, è difficile risalire a tutti i dischi arrangiati e prodotti da Vince Tempera, perché un po’ tutto il cantautorato è passato dal suo ‘atelier’. «Gli arrangiatori oggi sono i fonici, una volta erano i musicisti, che da una canzone strumento e voce dovevano inventarsi il progetto intero». E poi ci sono i produttori artistici, «che sono un po’ l’allenatore in campo, decidono la sala, il fonico, la sonorità in studio. Perché il sound in studio non è mai quello dei live, prova ad ascoltarti i Beatles dal vivo e quelli registrati». Suo punto di riferimento in tal senso, «George Martin, che era tutto questo, produttore, arrangiatore, direttore d’orchestra».

Il maestro, il Maestrone e Il Volo prima dei tenori

Il Tempera ‘per cantautori’ nasce da quell’autore di canzoni che un giorno avrebbero chiamato “Maestrone”. «Ho lavorato 50 anni con Francesco Guccini, un poeta. Non aveva grandi aperture musicali, il mio compito era quello di sviluppare la sua musica. Il cantautore di solito è musicalmente grezzo, pensa soprattutto al testo».

Maestro e Maestrone si conoscono nel ’67; nel ’68 registrano ‘Ophelia’ e ‘Giorno d’estate’ per i Nomadi. «Io ero all’inizio, lui aveva già scritto ‘Dio è morto’. È stato un rapporto basato sull’amicizia, lo definirei un rapporto professionale non legato alla professione». Il Ticino ha applaudito più volte I Musici di Guccini senza Guccini: «L’ultima volta a Lugano, dove il pubblico è recettivo. In generale, basta superare la frontiera e l’impostazione italiana da Lucio Battisti in spiaggia con la chitarra cambia». Così bello, il rapporto con Guccini, che se si chiede a Tempera l’album più bello mai prodotto, lui ti dice «‘L’isola non trovata’, canzoni lunghe, arrangiamenti complessi per diversificare non solo da brano a brano, ma all’interno di ognuno di essi». Tra le cose belle, «anche la produzione per Fabio Concato», dal 1984 di ‘Fiore di maggio’, ‘Rosalina’, ‘E ti ricordo ancora’ (che canticchia), fino a ‘In viaggio’ (1991).

Il Tempera musicista esordisce con il gruppo la Nuova era; nel 1969 è a fianco dei ferraresi Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini nei Pleasure Machine; nel ’74 c’è la parentesi prog de Il Volo, 30 anni prima dei ‘tenorini’ (Radius e Lavezzi chitarre e voce, Callero al basso, Dall’Aglio alla batteria, Lorenzi e Tempera alle tastiere). «Eravamo l’alternativa alla Pfm per la Numero Uno, prodotti da Battisti con testi di Mogol». Ma il paroliere entrò in conflitto con Radius e il progetto sfumò. «Ci chiedono ancora quando ci riuniamo», dice il maestro. «Tony Renis, all’epoca con la Numero Uno, quel nome se lo ricordava bene quando anni dopo sono arrivati i ragazzini. L’abbiamo contattato, per discuterne. Fu Lavezzi a non volere problemi. E la reunion saltò». Ma un po’ di quel Volo c’è nei Musici, che anche oggi, come nel '71, ‘Asia’ di Guccini la suonano prog.

‘La prossima volta che vado al ristorante mi ordino un’insalata di matematica’*

E arriviamo a ‘Ufo Robot’, ‘Na-no na-no’, ‘Capitan Harlock’, ‘Hello! Spank’ e anche ‘Goldrake’, che 29 anni dopo l’uscita (1978), nella versione di Alessio Caraturo, venderà altre 20mila copie in una versione così splendidamente acustica da far innamorare Venusia.

«Ti racconto com’è nata ‘Ufo Robot’. Eravamo alla Fonit Cetra io e Luigi Albertelli (autore del testo, ndr). Aspettavamo il cantante Renato Pareti, in ritardo di 3 ore. Il direttore artistico della Fonit mi dice “Vince, alla Rai hanno un cartone giapponese, lo trasmettono tra un mese. Serve un minuto di musica”. Lo guardiamo, l’eterna lotta tra il bene a il male, come gli spaghetti-western che spopolavano in Giappone. Rispondo che malgrado il cartone sia programmato di pomeriggio, non farò una cosa alla Zecchino d’Oro (“Rendono scemi i bambini” disse una sera nel Veronese, ndr)».

Cresciuto a pane e Walt Disney, con le sigle jazzate cantate finanche da Louis Armstrong, Tempera si affida ad Ares ed Ellade, e a Massimo Luca (l’acustica di Battisti), «sempre usando i cori, perché la canzone forte, chiunque la canti, funziona sempre». Così, sulla copertina, non c’è un solista: ‘Ufo Robot’ la cantano gli Actarus (con Fabio Concato corista), ‘Capitan Harlock’ sarà della Banda dei Bucanieri, ‘Hello Spank’ dei Cuccioli e ‘La Principessa Sapphire’ dei Cavalieri di Silverland (con dentro Marco Ferradini).

*TizioCaio, utente YouTube

Boney M.? ‘No, Bandiera rossa’

«C’è tanta gente che ha studiato il basso su Daitarn 3», fa notare il maestro. Ulteriore dignità musicale a quelle sigle arrivò più tardi da Guccini, «che ci faceva suonare ‘Ufo Robot’ durante i suoi concerti e poi faceva il finto offeso. Ma il valore aggiunto fu Albertelli, le insalate di matematica e i libri di cibernetica».

Ci sarebbe da dire della sigla di ‘Mork e Mindy’, ispiratagli da «una filastrocca di Renato Rascel intitolata ‘Il corazziere’», o di ‘Anna dai capelli rossi’, che qualcuno gli rinfacciò essere ‘Rivers of Babylon’ dei Boney M. «Semmai ‘Bandiera rossa’», risponde. «Non è che l’abbia scelta, è che mi sono uscite quelle note. Il problema è che me ne sono accorto solo dopo avere inciso il pezzo».

Oggi, proprio alle consulenze di Tempera si affidano molti di coloro che vogliono tutelare le proprie opere musicali. È il caso di Lenny de Luca, nella sua causa contro Antonacci per la proprietà di ‘Mio fratello’. «Ci sono riciclaggi come Beethoven con Mozart e Mozart con Clementi, è sempre accaduto», spiega il musicista. «E poi ci sono storie in cui c’è dell’altro».

Dal mercatino delle pulci a ‘Kill Bill’

Uno dei riconoscimenti più alti alla sua musica è arrivato dal film ‘Kill Bill: Volume 1’, un tema che arriva da ‘Sette note in nero’, horror di Lucio Fulci di 26 anni prima. «La fidanzata dell’epoca di Tarantino, Sofia Coppola – spiega Tempera – gli regalò un 45 giri trovato a un mercatino delle pulci a New York. Il regista stava chiudendo il montaggio, gli mancava giusto una musica». Che è nella scena di Uma Thurman all’ospedale.

«Un film è fatto di attori, storie e musica», dice il maestro, che con l’attrice e cantante Paola Lavini porta in giro ‘Da Fellini a Tarantino’, racconto di vita sulla scia dei film visti in gioventù: «Quando la gente muore restano le cose che puoi riascoltare, più che quelle da rivedere. Della prima esecuzione dell’Otello, ricordi per caso chi era il primo tenore?».

Colonne sonore: ‘Lei venghi qui, no vadi là’ (Fantozzi, che ‘per noi è sempre stato un fagotto’)

«Io ed Ellade conoscevamo a memoria i primi due libri», racconta il maestro, che Paolo Villaggio lo aveva conosciuto alla Rai di Corso Sempione ai tempi del Professor Kranz. «Fantozzi è musicato da cartone animato. Con Luciano Salce, Franco Bixio e Fabio Frizzi, fratello di Fabrizio, basandoci sul fatto che il film era la successione dei capitoli del libro sotto forma di scenette, decidemmo di creare qualcosa di simile ai cartoni di Tom e Jerry o Gatto Silvestro». Per rendere la comicità dell’immagine, però, ci voleva un tema iniziale: «Per noi, come strumento, Fantozzi è sempre stato un fagotto. Cercavamo qualcosa che andasse nella direzione di Stanlio e Ollio, che rendesse l’immagine dell’uomo grasso. Pensai a tre note semplicissime, mi-fa-mi-do. Chiedemmo a Paolo di cantare alcune delle sue frasi, “Lei venghi qua, no vadi là”, e a questo unimmo una musichetta veloce, per intenderci quella che si ascolta quando scende dal balcone per prendere l’autobus al volo. Si è cercato un legame, un’appartenenza forte al sali e scendi del montaggio cinematografico. Questo era Villaggio».

Il tema di ‘Febbre da cavallo’, invece, «nacque per scherzo, in studio. Avevamo scritto la musica, usavamo il coro, senza parole. Durante una pausa-caffè, un corista cominciò a cantare la melodia battendosi il pugno sul petto. Lo registrammo immediatamente. Quando non c’era il digitale, con i microfoni aperti, succedevano anche di queste cose...».

Giunti a questo punto, la domanda è d’obbligo: quanto vi siete divertiti, maestro? «Tanto. Non avevamo controllori se non il regista. Io, Bixio e Frizzi potevamo inventare. Il nostro grande concorrente era Morricone e poi i grandi vecchi, Trovajoli, Piccioni. Dovevamo forzatamente svincolarci dal sistema, dalla colonna sonora che fino a quel momento era stata solo l’orchestra sinfonica. Ho innovato, inserendo basso e batteria. Gli unici che facevano una cosa simile erano Maurizio e Guido De Angelis, quelli di ‘Dune Buggy’. Eravamo le nuove generazioni». Eravate avanti. «Sì, ma non troppo. Ad essere troppo avanti si rischia di non essere capiti. Diciamo piuttosto che mi ha sempre reso fare ciò che non facevano gli altri. Ancora adesso è la mia filosofia».

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