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Effetto cultura: un franco investito, due e mezzo guadagnati

Osi, Paravento, Cerri e la politica commentano lo studio del Bak. Ecco spiegato il valore aggiunto culturale nell’economia in vista delle cantonali

L’’importanza di sale sempre più piene (non solo il Lac)
(Ti-Press)
15 marzo 2023
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Per ogni franco pubblico investito nel settore culturale in Canton Ticino se ne generano 2,58 tra indotto e valore aggiunto. A metterlo nero su bianco è uno studio del Bak Basel del 2021, ma anche altri studi fissano cifre vicine: tra i due franchi e mezzo e i tre. Come riescono le imprese culturali a fare da moltiplicatore? E ancora: in che modo si può ottenere un impatto così rilevante sull’economia locale da parte di un settore a volte considerato di nicchia?

Il direttore amministrativo ad interim dell’Orchestra della Svizzera italiana Samuel Flury, a colloquio con ‘laRegione’, ha le idee in chiaro: «Grazie alla notorietà dell’Osi riusciamo a invitare con successo artisti di fama mondiale. Parlo di talenti assoluti come Martha Argerich, Isabelle Faust, Julia Fischer, Christian Gerhaher, David Zinman o Juraj Valčuha che assieme a noi rendono Lugano e il Ticino una meta artistica ad alto valore aggiunto per il turismo culturale. Perché che venga dalla Svizzera interna o da Bellinzona o Locarno, o persino dall’estero, chi assiste a un nostro concerto spesso va al ristorante, fa aperitivo, fa shopping, dorme in hotel. È un circolo virtuoso e importante». In più «grazie al livello raggiunto l’Osi è invitata a esibirsi nelle sale più prestigiose in Svizzera e in Europa, una fra tutte il Musikverein di Vienna, fungendo così da ambasciatrice culturale del Ticino. Anche le fotografie promozionali che abbiamo fatto trasmettono un messaggio in questa direzione: se si viene a un concerto dell’Osi in Ticino, si può godere anche di un lago e un territorio meravigliosi».

Flury: ‘Non una spesa, ma un investimento’

E poi c’è la questione economica, da cui non si sfugge. L’Osi, oggi, «ha una cinquantina di dipendenti tra quaranta professoresse e professori d’orchestra e il personale amministrativo e di produzione. Questi vivono, spendono e pagano le tasse tutti nella Svizzera italiana. E i costi per il personale sono i due terzi del nostro budget». L’altro terzo, vale a dire costi d’esercizio e di produzione, è «prevalentemente speso all’interno del territorio, nel pieno rispetto della Legge sulle commesse pubbliche».

Questo per dire cosa? Per dire che «prendendo come riferimento il 2022 – afferma Flury – l’Osi è stata sussidiata dalla mano pubblica per poco più del 50% dei costi, percentuale particolarmente virtuosa se paragonata alle altre 14 orchestre professionali svizzere. Il resto del finanziamento è nelle mani della Direzione e del Consiglio di Fondazione dell’Osi, fra ricavi per prestazioni a terzi, biglietteria, sponsoring, fondazioni erogative e attività di filantropia, con il fondamentale sostegno dell’Associazione degli Amici dell’Osi e dei suoi soci, a cui siamo estremamente grati per il costante sostegno e per l’affetto che ci mostrano. Affetto che si concretizza anche in sale sempre stracolme, sia di Amici sia di altri tipi di pubblico: in controtendenza con altre sale europee, l’Osi registra quasi sempre il tutto esaurito».

Insomma, la storia dell’Osi e questi studi economici attestano che «investire nella cultura non è una spesa, è davvero un investimento, e non solo in termini economici: anche come catalizzatore dello sviluppo sociale» annota Flury, con riferimento alle molteplici iniziative gratuite dell’Osi nell’ambito della mediazione culturale, senza tralasciare che «nell’ambito del proprio mandato l’Osi offre il proprio prodotto a prezzi veramente accessibili». Flury è tuttavia conscio di far parte di un ambiente alle volte visto come elitario. Cosa può fare il mondo culturale per avvicinarsi a chi non ha la consuetudine di frequentarlo? «Noi da molti anni seguiamo la politica di avvicinare al nostro mondo chi non ha la fortuna di conoscerlo, ad esempio promuovendo il fatto che i docenti portino ai concerti gli allievi al prezzo simbolico di cinque franchi, o aprendo le porte agli studenti del Conservatorio. Stiamo inoltre sperimentando nuovi formati nei concerti – spiega ancora Flury – attenti anche all’aspetto scenico e teatrale, fino ai giochi di luce».

O ancora, si ricorda il nuovissimo formato "be connected", che porta l’Orchestra in cima al Tamaro o alla discoteca Vanilla, o nelle scuole per avvicinare i ragazzi col "Back to school", o infine a pranzo al Lac per i "Lunch with Osi", in cui il direttore d’orchestra svela al pubblico i segreti delle opere eseguite. Insomma, «non si deve assolutamente snaturare il mondo della musica classica – sostiene il direttore amministrativo ad interim dell’Osi –, ma si deve cercare di fare passi avanti per abbattere quelle che per qualcuno possono essere delle barriere».

‘Dal governo ci aspettiamo continuità’

Ciò detto il 2 aprile si va al voto. E anche sul cosa aspettarsi Flury ha le idee in chiaro: «Continuità». Nel senso che «tra l’Osi e il Cantone la collaborazione nell’attuale legislatura è stata ottima: dal nuovo governo ci aspettiamo si vada avanti in questo modo costruttivo. Negli ultimi mesi siamo stati, e lo siamo tuttora, molto impegnati a rinnovare alcune convenzioni con i nostri principali partner, che ricordo essere il Canton Ticino in primis con la Città di Lugano, ma anche il Canton Grigioni, la Rsi e il nostro sponsor principale BancaStato, mentre sappiamo di poter sempre contare sul solido contributo dell’Associazione degli Amici dell’Osi. Grazie al dialogo costruttivo, mi sento di dire che siamo davvero sulla buona strada affinché si possa garantire continuità anche nello straordinario percorso di crescita artistica della nostra bella Orchestra».

Cienfuegos: ‘Nella cultura cattiva redistribuzione della ricchezza’

«Si è parlato molto di precarietà durante la pandemia ma una volta finita l’emergenza non si è quasi più trattato l’argomento, anche se per il mondo culturale i problemi non sono certo finiti – considera dal canto suo Miguel Cienfuegos, direttore artistico e attore della compagnia Teatro Paravento di Locarno –. Non si rischia di morire di fame in Ticino, ma di doversi fare in quattro per eseguire certi lavori, dover rinunciare a degli interventi, non avere sufficienti risorse per disporre di più collaboratori. C’è ancora una grande precarietà che costringe a vivere le nostre professioni in modo molto ristretto».

Per Cienfuegos il problema è che «anche nella cultura c’è una cattiva redistribuzione della ricchezza. Vediamo che in generale le grandi istituzioni hanno un vantaggio sulle realtà più comunitarie. Dico comunitarie e non piccole perché è vero che noi non abbiamo le dimensioni del Lac, ma la definizione di piccola realtà è riduttiva e penalizzante se consideriamo che come Teatro Paravento abbiamo a che fare con un mucchio di gente, soprattutto nel Locarnese: artisti, tecnici, fornitori, spettatori, numerose persone che durante l’anno passano da noi. Siamo una realtà che ha un’importanza a livello locale, e anche se non gigantesche, pure noi abbiamo delle ricadute economiche». Ma soprattutto «abbiamo un ruolo sociale e comunitario da difendere. Oltre all’impatto economico, bisognerebbe tornare a considerare la cultura anche dal punto di vista umano, del tessuto sociale, di quello che significano queste attività per la coesione di una regione. Elementi altrettanto importanti, se non di più, dei soldi generati».

Cerri: ‘Si sostenga la produzione’

Olmo Cerri – regista, film-maker e autore radiofonico indipendente – evidenzia che per chi lavora nel suo ambito i contributi economici più consistenti arrivano da Ssr, Confederazione e Cantone: «Il contributo regionale permette di attirare i fondi da Berna, quindi senza i finanziamenti cantonali la situazione diventa disastrosa». Riguardo alla distribuzione di fondi destinati alla cultura anche Cerri sottolinea che «per quanto riguarda i finanziamenti per la cultura c’è una grande differenza tra quelli destinati alla promozione e diffusione delle opere e quelli per la loro produzione. Vengono sostenute delle istituzioni bellissime e importantissime in ambito di promozione ed eventi, come il Festival del film di Locarno, ma non si deve dimenticare la creazione dei film».

Per Cerri «è fondamentale avere dei luoghi in cui si possa godere di queste opere, ma è anche necessario sostenere chi i film li gira, chi li scrive, i tecnici, e tutta la filiera. Si tratta di un settore estremamente precario soprattutto per gli indipendenti, e la pandemia non ha certo aiutato. L’indotto economico e sociale della creazione culturale in numerosissimi settori è importante, d’altro canto se si tolgono i fondi alla cultura ci saranno più persone e realtà in difficoltà costrette a rivolgersi ad altri aiuti sociali o alla disoccupazione».

Riget (Ps): ‘Tutelare gli indipendenti’

E la politica? Anche la politica è coinvolta. A partire dalla copresidente del Ps Laura Riget, che afferma come «la cultura deve essere creativa, libera e diversificata, di valore ma non elitaria. Chiediamo quindi una politica culturale inclusiva, ferma e decisa nel sostenere, attraverso i necessari finanziamenti, ciò che già esiste, ma anche coraggiosa nel costruire progetti innovativi e nuove collaborazioni». Negli ultimi anni «troppo spesso il focus politico del Decs e del Gran Consiglio è stato principalmente sul finanziamento della fruizione culturale, sostenendo e rendendo accessibile al pubblico grandi eventi come il Locarno Film Festival oppure strutture come il Lac. Questo non basta. La politica si è troppo spesso dimenticata di ciò che viene prima della fruizione, ossia la produzione culturale. Che con la cultura indipendente e le piccole realtà vanno maggiormente sostenute attraverso finanziamenti specifici, la messa a disposizione di spazi adeguati e una migliore copertura assicurativa di chi in questo settore ci lavora». Certo, «la cultura, al di là del suo valore primario e intrinseco difficilmente misurabile, ha importanti riscontri economici. Promuovere il settore culturale significa quindi anche fare politica economica a favore del nostro Cantone, oltre che, ovviamente, valorizzare la nostra cultura, lingua e identità. Per tutti questi motivi, respingiamo con forza la recente proposta del governo nell’ambito della manovra di rientro finanziaria di dirottare una parte dei fondi Swisslos per nuove finalità e quindi, di fatto, tagliare sulla cultura. Una proposta che metterebbe ulteriormente in difficoltà un settore già precario.

Speziali (Plr): ‘Investire, ma si fissino priorità’

Lo studio del Bak, per il presidente del Plr Alessandro Speziali, ha spazzato i dubbi che qualcuno poteva ancora, segretamente, nutrire nel proprio animo: investire nella cultura rende». Il problema, però, «è che definire cosa sia ‘cultura’ è un’impresa molto difficile per la politica». Ecco allora che, «come sempre predica il Plr, tutto sta nel definire le giuste priorità. Siccome per il momento il denaro a nostra disposizione, purtroppo per noi, non è infinito, il nostro dovere è di sostenere la cultura con il giusto equilibrio – fra le diverse discipline, le regioni del nostro Cantone, le proposte di avanguardia e quelle tradizionali, gli eventi di richiamo internazionale come il Festival del Film e quelli che invece fanno vivere un solo quartiere». In più, per Speziali «il Ticino è disperatamente a caccia di nuovi residenti per invertire la tendenza all’invecchiamento della popolazione; non va dimenticato che, nel mondo digitale, non è più solo il posto di lavoro a determinare la scelta del domicilio, ma anche fattori ben più ‘soft’, dei quali, con il paesaggio e lo stile di vita, fa parte l’offerta culturale».

Dadò (Centro): ‘Non solo eventi di massa’

Il presidente del Centro Fiorenzo Dadò rileva come lo studio «ha avuto il pregio di smentire il pensiero comune secondo il quale la cultura generi solo costi per la comunità, come a volte capita di sentire non solo nelle piazze ma anche tra i banchi del parlamento». Si tratta perciò «di un ottimo punto di partenza per ogni riflessione in merito, soprattutto per convincere coloro che oggi credono che il settore culturale porti ricadute ‘solo’ intangibili o addirittura fini a sé stesse. Non si tratta affatto di un lusso, né di un surplus per pochi intenditori, ma di qualcosa di utile per l’intera comunità». L’offerta culturale, per Dadò, «non può limitarsi ai grandi eventi di massa ma deve comprendere musica, arte e letteratura, come anche piccole manifestazioni di vario tipo e folklore; attività indispensabili e benefiche per i cittadini che in questo modo hanno la possibilità di ampliare gli orizzonti, stimolare la creatività e il proprio senso critico oltre conoscere le tradizioni legate al territorio, mantenute vive nelle loro svariate forme». Affinché ciò avvenga, «è importante che non si concentrino tutte le attività nelle zone urbane, ma tramite un sostegno alle differenti strutture e iniziative anche private venga favorita la cultura diffusa e di prossimità, evitando l’impoverimento di alcune zone escludendone le comunità perché lontane dai circuiti principali».

Foletti (Lega): ‘Il Lac è imprescindibile’

«Siamo assolutamente consapevoli dell’importanza della cultura nel nostro tessuto economico, anche grazie a una ricerca fatta per la Città in merito all’acquisizione dello Stabile Rsi di Besso per la nuova Città della musica», afferma il sindaco di Lugano Michele Foletti (Lega). Inoltre, «ogni manifestazione crea anche un indotto turistico decisamente interessante». Poi Lugano è la città del Lac, «che dal punto di vista culturale è imprescindibile».

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