Ticino

Politica fiscale: ‘Affrontare le disparità di reddito’

Per Marco Bernasconi (Supsi) occorrono sgravi per i più deboli, mentre la concorrenza fiscale tra cantoni rischia di scatenare una corsa al ribasso insostenibile

(Keystone)
25 giugno 2020
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Maledetto coronavirus. È di questa settimana la notizia di deficit importanti per le casse cantonali, con 300 milioni di rosso previsti per quest’anno e perdite analoghe per l’anno prossimo. Il tutto, come dicono gli economisti, ceteris paribus: ovvero sperando che non ci siano recrudescenze pandemiche ad azzopparci ulteriormente. Abbandonata la speranza di far quadrare i conti, resta comunque il grande dilemma della politica fiscale: che fare, tra sgravi e aiuti, per aiutare l’economia senza dimenticare il debito che lasceremo alle generazioni future, ma neppure la solidarietà verso chi è più in difficoltà? Ne parliamo con il professor Marco Bernasconi, esperto di diritto tributario e professore alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.

Professore, quanto è grave la situazione?

In sessant’anni di osservazione della realtà ticinese, non ricordo una perdita più consistente: su un miliardo e mezzo di gettito annuo tra persone fisiche e giuridiche, si tratterebbe di una contrazione del 20%. Oltre all’emorragia di gettito bisogna poi considerare gli sforzi ulteriori di spesa che potranno rendersi necessari, oltre a variabili quali la durata della crisi.

Quali diventano ora le priorità cantonali?

Sono certo che si starà già valutando quali settori sono maggiormente interessanti dalle perdite. Poi bisognerà definire un ordine di priorità per gli investimenti pianificati, cercando di privilegiare quelli più utili e capaci di avere un maggior effetto moltiplicatore e di creazione del lavoro. Una scelta politica importante e complessa.

A livello fiscale cosa si può fare?

Intanto per trovare una soluzione occorre trovare unità politica a livello di governo, come successe con le difficoltà degli anni ’80, quando gli interessi di partito furono messi da parte nell’interesse comune. Altrimenti parlare di sgravi è come giocare con una molotov: si scatenano polemiche e campagne popolari che spesso trascendono il merito della questione, e si perde tempo nell’emergenza. In secondo luogo, è importante che provvedimenti presi in via eccezionale abbiano una scadenza legata al superamento della crisi.

Chi si dovrebbe aiutare?

A mio modo di vedere, è importante prendere atto dell’estensione delle disparità di reddito in Svizzera, esacerbate dal coronavirus. Se pensa che a Ginevra abbiamo 3mila persone che fanno file d’un chilometro per un pasto caldo e dormono nei sacchi a pelo per non perdere il loro turno; se pensa che questi numeri sono quadruplicati a Ginevra e triplicati a Zurigo, una delle città più ricche del mondo; se pensa che anche in Ticino si assistono oltre 2mila persone tutte le settimane, è chiaro che i provvedimenti fiscali non possono preoccuparsi solo della flessione di gettito, ma anzitutto di coloro che sono colpiti più di altri da questa crisi. Persone di ogni tipo, inclusi molti lavoratori e indipendenti che hanno perso da poco il lavoro o che devono esercitarlo in modo ridotto.

Come aiutarli?

Ad esempio si possono aumentare le soglie sotto le quali le persone fisiche sono esenti da imposte dirette cantonali e comunali. Oggi gode già dell’esenzione il 25% dei contribuenti, ma si potrebbe valutare di andare oltre. Tra l’altro questo aumento costa poco alle casse cantonali, data l’imposta esigua applicabile a questi redditi. Poi occorre riparare la ‘frana’ del gettito, ad esempio riportando al 100% o perfino oltre il moltiplicatore d’imposta cantonale, per il quale la riforma fiscale delle imprese ha introdotto una riduzione di 4 punti percentuali. E ci saranno sicuramente molte altre misure altrettanto valide: la scelta è politica più che tecnica. Ma l’urgenza rimane.

Ulteriori sgravi alle imprese potrebbero essere utili per rilanciare l’economia?

Sarà che sono vecchio e ho idee vecchie, ma penso che viviamo in paese troppo piccolo per pensare che la politica fiscale possa avere un effetto duraturo sullo sviluppo o meno di determinati settori di attività. Certo, si può fare qualcosa per il tessuto economico locale, ma la priorità delle scelte fiscali è sostenere il fabbisogno di spesa pubblica. Tanto più che ora l’Unione Europea e l’Ocse hanno eliminato la possibilità di agevolazioni ad hoc per le grandi imprese, che generavano un gettito particolarmente elevato.

Però si possono diminuire le aliquote senza favoritismi per questo o quest’altro colosso, come deciso con la riforma fiscale.

Sì, ma va messo ben in evidenza che il Ticino resta comunque uno dei cantoni più cari per le aziende e anche per gli alti redditi e le sostanze delle persone fisiche. Siamo fuori da ogni concorrenza fiscale intercantonale e cercare di rientrare in gara sarebbe insostenibile.

Quindi che si fa?

È importante prendere l’iniziativa presso la Confederazione per chiedere di bloccare la concorrenza fiscale intercantonale, o almeno fare in modo che il disallineamento consentito resti nell’ordine di pochi punti percentuali. Altrimenti società e persone continueranno ad andare verso cantoni più avvantaggiati.

Un altro problema è quello del freno ai disavanzi introdotto in Costituzione per volontà popolare nel 2014: il deficit non può superare il 4%, al massimo il 5% in caso di recessione significativa e purché il legislativo approvi con maggioranza assoluta. Ci siamo legati le mani da soli?

Ai tempi questo freno all’indebitamento era sensato, ma è chiaro che oggi siamo davanti a un evento di natura del tutto eccezionale. Potrebbe quindi essere altrettanto ragionevole ipotizzare un’attenuazione o un congelamento del provvedimento a seconda delle conseguenze di questa epidemia. Ma è una valutazione da fare a seconda delle evoluzioni future.

Un’altra misura della quale si parla spesso in certi frangenti è l’amnistia fiscale.

L’amnistia è un tema che divide molto, e ci sono argomenti solidi pro e contro, perché pone problemi di legalità ed equità. Ma non bisogna essere manichei. Io credo che in casi come questo l’amnistia possa essere concessa, purché si verifichino le giuste condizioni: la presenza di difficoltà economiche e finanziarie per le casse pubbliche, l’eccezionalità del provvedimento, e la possibilità per il cantone di realizzare entrate significative. Oggi c’è una mini-amnistia fiscale che esenta dalla multa chi si autodenuncia e paga le imposte degli ultimi dieci anni. Si potrebbe ridurre l’arretrato da pagare ad esempio a 5 anni, per aumentare l’adesione e godere comunque di grandi vantaggi per il gettito. Anche perché, nonostante lo scambio automatico d’informazioni tra la Svizzera e l’Unione europea, sono convinto che restino ancora ingenti capitali non dichiarati nelle nostre banche.

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