laR+ Luganese

Tetto dell’ex Macello? Non pericolante

La novità emergerebbe dall’inchiesta bis che sta conducendo il procuratore generale Andrea Pagani sulla controversa demolizione del 2021

In sintesi:
  • La presunta pericolosità del tetto era stata utilizzata a suo tempo come giustificazione per il parziale abbattimento
  • Intanto, la Polcantonale precisa: ‘Mai secretata la frase che fa riferimento a Norman Gobbi’ 
Lo sgombero, la sera del 29 maggio 2021. Lo stabile sarà demolito poche ore dopo
(Ti-Press)
24 gennaio 2025
|

Quel tetto non era a rischio crollo. Questa una delle novità più significative, che, stando a nostre informazioni, sarebbe emersa durante gli accertamenti che il procuratore generale Andrea Pagani sta conducendo per far luce sulle eventuali responsabilità penali della controversa demolizione parziale dell’ex Macello di Lugano nel 2021, sede per vent’anni del Centro sociale occupato autogestito (Csoa) Il Molino. Dalle numerose testimonianze raccolte dal pg sarebbe infatti emerso che dei lavori a quel tetto lì erano stati fatti e che a essere forse ritenuto pericolante sarebbe stato in realtà un altro tetto, ma non dello stabile utilizzato dallo Csoa. Un ulteriore fraintendimento?

La notizia, se venisse confermata alla chiusura dell’inchiesta che il pg ha dovuto riaprire a metà 2023 dopo che la Corte dei reclami penali (Crp) ha accolto il ricorso sul suo primo decreto d’abbandono a pochi mesi dai fatti, avrebbe una rilevanza notevole. Proprio la presunta pericolosità del tetto era stata utilizzata come giustificazione per l’intervento delle ruspe all’indomani dei fatti: queste sarebbero intervenute improvvisamente e senza premeditazione – al punto da non aver neanche richiesto i necessari permessi, questa la spiegazione delle autorità –, proprio per salvaguardare la sicurezza degli autonomi, che al termine della manifestazione del 29 maggio del 2021 sarebbero poi rientrati alla propria sede. La serata è poi notoriamente sfociata in un altro tipo di nottata, culminato con l’inatteso abbattimento, che ha causato una denuncia da parte dei Verdi e l’apertura di una prima inchiesta per abuso di autorità, violazione delle regole dell’arte edilizia e infrazione alla Legge federale sull’ambiente e danneggiamento.

In seguito al decreto d’abbandono, l’avvocato Costantino Castelli ha a nome dell’associazione Alba – firmataria vent’anni prima con la Città e il Cantone della convenzione che ha ufficializzato l’insediamento dello Csoa all’ex Macello – inoltrato ricorso, accolto poi dalla Crp che ha indicato a Pagani di riaprire l’incarto, ritenendo lacunose le prime indagini. I medesimi reati sono ora imputati al vicecomandante della Polizia cantonale Lorenzo Hutter e alla capodicastero Sicurezza Karin Valenzano Rossi, quest’ultima dopo che è stata sporta a suo nome una denuncia da parte di Castelli. Questa inchiesta bis è stata complicata dall’oscuramento da parte della Polcantonale di alcuni documenti richiesti dal pg – per tutelare alcune informazioni delicate, è stato detto –, risolto poi dall’intervento del giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi che ha ordinato di desecretarli.

Dalla versione incensurata, ha riferito il portale areaonline.ch, sono emersi ulteriori aspetti di quel weekend di maggio. Intanto, il numero esatto di agenti: circa trecento, tra Polizia cantonale, Polizia della Città di Lugano e decine di colleghi romandi chiamati per l’occasione. L’occasione, lo ricordiamo, era una manifestazione tenutasi pacificamente il 29 maggio e sfociata poi in un’occupazione, definita come temporanea dagli autonomi, dell’ex Istituto Vanoni. Stando all’autorità, quel giorno non era previsto lo sgombero poi effettivamente avvenuto, al termine di una regolare procedura di disdetta, né tantomeno la controversa demolizione. Dalle indagini è tuttavia emerso che di abbattimento si era discusso da almeno tre mesi tra autorità cantonali e comunali all’interno dello Stato Maggiore allestito per gestire la situazione.

Sempre dagli incarti senza annerimenti emerge anche la strategia delle autorità in caso di resistenza particolarmente dura e tenace del Molino: stando al portale, gli agenti avrebbero dovuto accerchiare il centro sociale “prendendoli con la fame, non consentendo l’approvvigionamento”. Non è invece una novità, come riferito in un primo momento, il fatto che Norman Gobbi fosse a conoscenza dello sgombero. “Al fine di garantire una comunicazione corretta e trasparente sugli eventi – si precisa in una nota –, per i quali le valutazioni della Magistratura sono ancora in corso”, la Polcantonale sottolinea che la frase contenuta nel proprio giornale d’impiego di quel giorno e che riferisce che sia il consigliere di Stato sia l’ex sindaco Marco Borradori fossero al corrente dello sgombero, e concordi con l’operazione, “non è mai stata secretata ed era a disposizione del Ministero pubblico”.

Leggi anche: