Intervista

Joe Lansdale. Saper affondare una lama

Mai didascalico, immune all’autocensura, trasmette magistralmente l’amore per la propria terra: è il famoso autore texano classe 1951

Joe Lansdale, classe 1951, in una foto del 2022
(© Wikipedia)
14 dicembre 2025
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

Mai didascalico, immune all’autocensura, trasmette magistralmente l’amore per la propria terra, per le energie e le geografie animiche delle quali è composta. Ti farà venire nostalgia di province distanti che non hai mai neppure immaginato, luoghi che grazie ai suoi libri abiterai, luoghi che ti abiteranno. Breve escursione in un pezzo di scrittura del famoso autore texano Joe Lansdale, classe 1951.

In queste epoche brutali ciò che è realmente distopico risulta la castrazione di Marte, il dilagante perbenismo (soprattutto a tutela della reputazione dei perbenisti) quella cordialità che si basa su veracità represse, sul mantenimento di un’omeostasi grottesca perché forzata, artificiale. Diffido di coloro che appaiono innocui, che sembrano non avere mai appreso ad “affondare la propria lama” metaforica, simbolica. Eppure è palese che il mondo ci parla di altro, ci traduce ciò che emaniamo in realtà, oltre alla coltre di cortesia fasulla e affabile frustrazione. Joe Lansdale questa cosa sembra saperla bene.

Con queste elucubrazioni fra i pensieri, mesi fa, mi apprestavo ad incontrare Mr. Lansdale, un vero mito della narrativa, per me (di quelli che a vent’anni rubavo i suoi libri). Doveva essere ospite del festival bellinzonese di letteratura per ragazzi Storie Controvento edizione 2025 (www.storiecontrovento.ch) con il suo meraviglioso, sonoro, imbrattato e tagliente romanzo In fondo alla palude (The Bottoms, vincitore del premio Edgar Award 2001). Quelli di Storie Controvento sono famosi per il loro coraggio, la loro capacità di surfare sulle onde increspate e più rocambolesche della narrazione. Chi surfa è capace anche di immersioni fra coralli esotici e denti affilati. Purtroppo Joe, quella volta, non ha potuto raggiungere Bellinzona (ma lo farà il prossimo aprile, accompagnato, nientepopodimeno che dal britannico David Almond, del quale purtroppo non ho le battute per parlare).

Lo ha fatto Seba Pezzani al posto suo, traduttore e amico personale di Joe. Un incontro significativo e umanamente profondo, quello con Seba, sia per i ragazzi che per i responsabili di Storie Controvento. Poi ho mandato un’e-mail a Joe e lui mi ha risposto. Incredibile! Non vi era alcuna pretesa. Gli ho raccontato di com’era andato il festival, gli ho detto di avere appena acquistato l’ultima vicenda dei suoi leggendari Hap & Leonard (Zucchero sulle ossa, Einaudi, 2025), mi sono svelato e gli ho anche detto che una volta, da ragazzo, ho scritto una conversazione inventata fra lui e Charles Bukowski. E (Giuda ballerino!) lui ha accettato di rispondere a qualche mio quesito. Sono più lunghe le domande delle risposte, scusate l’entusiasmo. Eccole qui, seguite dalle risposte di Mr. Lansdale.

Se leggo di Leonard mi viene voglia di biscotti alla vaniglia (i suoi preferiti). Vorrei affiancare Hap in una rappresaglia contro qualche depravato suprematista del KKK. Grazie a lei, signor Lansdale, le storie di resistenza alla segregazione razziale avvenute negli USA agli inizi del secolo scorso, a diecimila chilometri da dove sono nato, mi interessano tanto quanto le storie dei partigiani dell’Appennino tosco-romagnolo, dove sprofonda le radici la mia stirpe. Perché secondo lei chi si affeziona ai suoi libri può arrivare a provare un senso di familiarità, addirittura una nostalgia nei confronti dei luoghi di cui parla? Come può una provincia talmente lontana per i lettori, comporre una geografia immaginaria tanto apprezzata, seppure non l’abbiano mai vista di persona?

Penso che sia perché abbiamo tutti un denominatore comune. Crescere. Abbiamo tutti esperienze, speranze, sogni, delusioni, successi, amori trovati e amori persi simili. L’ambiente in cui cresciamo ha un impatto, e l’ambiente di altre persone può avere un impatto su di noi perché possiamo immedesimarci nel loro entusiasmo o odio per esso.

Mio nonno negli anni Ottanta mi insegnava l’uccisione e la macellazione, mi spiegava il perché nella vita è importante imparare ad “affondare la propria lama”. Per lui quella era una metafora. Mi spiegava che la cortesia migliore si posa sulla capacità potenziale di ledere, di reagire qualora un pericolo si facesse strada nella nostra direzione, di non essere innocui. Come vive lei il concetto di violenza nella narrativa, tanto squisito nel suo modo di scrivere? Ha una relazione con la tendenza odierna a edulcorare e a ripulire le visioni che si offrono ai lettori?

Gran parte della nostra grande letteratura tratta di violenza. L’Iliade, l’Odissea, la Bibbia, il Corano, Shakespeare. Fa parte di ciò che siamo come umani. Probabilmente uno dei motivi per cui i Neanderthal non ci sono più. Dovremmo cercare di superarla, ma la narrativa spesso serve da catarsi per la nostra natura violenta. I personaggi vivono le loro esperienze in un libro, così non devi farlo tu. Anch’io sono cresciuto prendendomi cura degli animali, macellando e così via. Ora lo evito, ma insegna proprio quello che diceva tuo nonno. O lo accetti come parte dell’esistenza, oppure mangi verdure, cosa che faccio perlopiù.

Nel mondo sembrano prendere piede i governi che senz’altro verrebbero votati dai personaggi peggiori dei suoi racconti. Come vive i processi politici ai quali stiamo assistendo?

Con dolore. Amo il mio Paese, così come i miei personaggi, ma ha perso la sua strada. La ritroveremo? Difficile dirlo. Ma è un periodo spaventoso, molto autoritario.

Per uno scrittore il rito della scrittura può essere un’elaborazione di una realtà vissuta. Quale dimensione è più importante per lei fra quella immaginativa e quella che vive fisicamente? Cosa ne sarebbe stato della sua biografia senza l’elaborazione scritta? Cosa sarebbe diventato?

La mia opinione è che non si possa avere l’uno senza l’altro. Mi piacciono entrambi.

Credo che le scene scritte vadano a comporre una dimensione parallela altrettanto reale. Fra tutte quelle che ha raccontato, esiste una scena alla quale ritorna più spesso o alla quale è più legato?

Non c’è una scena a cui torno, ma l’atmosfera delle scene di molti libri mi rimane impressa.

Rimuovere Marte

Desidero concludere con una citazione capace di riassumere sul piano fenomenologico-esistenziale e filosofico ciò che a mio modo di vedere Joe Lansdale rende appagante tramite la sua narrativa. Estratto da Figure del mito di James Hillman (Adelphi):

“Sono convinto che non potremo mai parlare con costrutto di pace e di disarmo se non penetriamo in questo amore della guerra. Se non entreremo nello stato in cui l’anima è marziale, non potremo comprendere la forza di attrazione della guerra. E in questo speciale stato dell’anima bisogna entrare in modo rituale: dobbiamo essere ‘arruolati’, e la guerra deve essere ‘dichiarata’ (così come si è dichiarati pazzi, uniti in matrimonio o insolventi). (…) Questa rimozione di Marte, invece della sua ritualizzazione, ci lascia esposti al ritorno del rimosso sotto forma di violenza bruta ed esplosiva, di aumento continuo degli stanziamenti per le spese militari, di rigide formazioni reattive camuffate da negoziati di pace e di difese paranoidi contro nemici fantasticati”.