Il Consiglio nazionale boccia le reti di cure coordinate. Nonostante l’esortazione di Alain Berset. Le considerazioni di Maillard (Ps) e Nantermod (Plr)
Il Consiglio nazionale vuole fare qualcosa per frenare l’aumento dei costi della salute. Senza esagerare, però. Anzi. A due giorni dall’annuncio di un aumento dell’8,7% del premio medio di cassa malati per il 2024, la Camera del popolo aveva l’opportunità di far seguire dei fatti al solito coro di reazioni sdegnate levatosi dopo la conferenza stampa di Alain Berset. Un’ampia maggioranza ha invece preferito indebolire il secondo ‘pacchetto’ di misure – già di per sé piuttosto timido – sottoposto al Parlamento dal Consiglio federale. In particolare, ha tolto quello che il ministro della Sanità considerava «il cuore» del progetto: le reti di cura coordinate (vedi articolo sotto). L’oggetto – poi approvato nel complesso con 131 voti favorevoli, 28 contrari (Verdi) e 32 astensioni (socialisti) – passa ora al Consiglio degli Stati.
A parole tutti bravi: a dire che così non si può andare avanti, che vanno trovate delle soluzioni. Altro paio di maniche è individuare quelle giuste. O meglio: quelle in grado di riunire una maggioranza in Parlamento. Il Consiglio federale ne ha già fatto l’amara esperienza. Nel 2019 aveva condensato in un primo pacchetto le proposte emanate da un gruppo di esperti istituito appositamente. Conteneva «misure estremamente importanti»: le principali «sono state o indebolite, o addirittura soppresse o vuotate della loro sostanza», ha ricordato il ministro della Sanità. Un esempio: il sistema di prezzi di riferimento per i farmaci generici: avrebbe potuto generare risparmi «per 310-480 milioni di franchi». Ebbene, è stato «puramente e semplicemente soppresso, senza che si riesca a capire bene perché», ha detto Berset.
«Ironia della storia» (sempre Berset), il secondo pacchetto arriva in Parlamento in piena bufera mediatica sui premi 2024, in un momento «abbastanza drammatico». Il Governo la sua parte l’ha fatta, ha detto in sostanza il consigliere federale uscente. Ad esempio: il riesame triennale dei farmaci (risparmi per oltre un miliardo dal 2021), l’intervento sul tariffario Tarmed (470 milioni), la diminuzione delle tariffe delle analisi di laboratorio (140 milioni l’anno). Ma il Consiglio federale «già nel 2018» era arrivato «al limite di ciò che poteva fare a livello di ordinanza». Adesso è giunto il momento di «cambiare la legge». Adottando «misure coraggiose che andranno contro certi interessi».
“Misure coraggiose”? Non certo quelle prese dalla maggioranza della commissione preparatoria, convinta della necessità di ridimensionare la portata del nuovo pacchetto. «Le reti di cura sono state completamente abbandonate, puramente e semplicemente soppresse, e i modelli di prezzo dei medicamenti sono stati indeboliti. Ecco dove siamo oggi; ecco la realtà della discussione politica oggi», è sbottato Berset. Il ministro della Sanità è stato facile profeta. La maggioranza del plenum – dopo aver respinto una proposta dei Verdi che chiedeva di rinviarlo al Consiglio federale per una revisione sostanziale (che tenesse conto della prevenzione, tra l’altro) – ci ha messo del suo, indebolendo ulteriormente il progetto governativo.
«La riforma è insufficiente, ma se si rifiuta tutto ciò che è insufficiente non riusciremo mai a tenere a bada i costi della salute», ha detto a nome della commissione Benjamin Roduit (Centro/Vs). Thomas de Courten (Udc/Bl) ha criticato un pacchetto «raffazzonato, col quale non si sa bene cosa otterremo», mentre occorre agire sui «veri motori» della spesa sanitaria, come l’estensione del catalogo delle prestazioni a carico della LAMal, l’enorme mole di prestazioni erogate e tariffe in buona parte superate. Cerotti per curare i sintomi non servono a nulla, ha affermato tirando in ballo nuovamente l’ipotesi di un allentamento parziale dell’obbligo di contrarre. Per tutta risposta, Pierre-Yves Maillard (Ps/Vd) ha rinfacciato all’Udc – e per estensione alla maggioranza borghese del Nazionale – di fare ostruzionismo su molte misure che avrebbero generato cospicui risparmi.
Affossate le reti di cura coordinate, la Camera del popolo ha invece dato luce verde all’altra misura principale del pacchetto: i cosiddetti modelli di prezzo confidenziali, ovvero la prassi dei negoziati segreti tra aziende farmaceutiche e autorità sanitarie. Lo scopo – raggiunto, stando alle esperienze positive fatte all’estero – è di rendere più rapido e conveniente l’accesso a medicamenti innovativi e costosi. Senza questi modelli, nel complesso in Svizzera i prezzi sarebbero superiori di 250 milioni di franchi, ha spiegato Berset.
Il rovescio della medaglia è la mancanza di trasparenza. L’industria farmaceutica «potrà continuare a imporre prezzi e margini, ovviamente esorbitanti, senza un controllo democratico», ha tuonato Léonore Porchet (Verdi). Per la vodese «non siamo lontani da un sistema di corruzione organizzata e istituzionalizzata, che di fatto limita il potere negoziale delle autorità». Il Consiglio federale, invece, giudica più importante l’accessibilità a farmaci a costi ragionevoli che la trasparenza in fatto di prezzi. La pensa così anche il Nazionale, che però richiede un rapporto sull’attuazione da parte di un organismo indipendente.
Il pacchetto comprende altre misure. Ad esempio: gli assicurati potranno in futuro stipulare contratti pluriennali (più convenienti) con gli assicuratori. Oppure ancora: i farmacisti potranno fornire prestazioni a titolo indipendente nell’ambito di programmi di prevenzione o prestazioni di consulenza farmaceutica per ottimizzare la consegna di medicamenti. Le donne incinte non dovranno pagare alcuna spesa medica una volta che un medico o un’ostetrica ha accertato la gravidanza. Anche le competenze delle ostetriche sono state estese.
Una ‘rete’ che garantisca il coordinamento lungo tutta la catena delle cure, per esempio nell’ambito del trattamento, da parte di diversi specialisti, di persone affette da malattie croniche multiple. Tutte le prestazioni erogate, avrebbero dovuto figurare su un’unica fattura, come se fossero dispensate da un unico fornitore di prestazioni, alla stregua di un medico o un ospedale. Per Alain Berset questa misura è «il cuore» del secondo ‘pacchetto’ governativo volto a contenere i costi della salute. Se non viene approvata, ha affermato il ministro della Sanità durante il dibattito di entrata in materia, «la credibilità dell’intero esercizio è a terra». Il consigliere federale ha addirittura chiesto «per favore», di dare «una possibilità alle cure coordinate», in modo che la seconda Camera possa in seguito discuterne. Ma non c’è stato niente da fare. Il Nazionale l’ha respinta con 117 voti contro 67 e 7 astenuti.
Secondo Regine Sauter (Plr/Zh), si tratta certamente di modelli validi, che però possono essere realizzati «con le norme già esistenti». Thomas de Courten (Udc/Bl) ha parlato di «un mostro burocratico». Al posto delle reti di cura, il Nazionale ha adeguato le norme esistenti allo scopo di consentire un migliore coordinamento. Si intende in particolare permettere agli assicuratori di utilizzare i dati dei propri assicurati per informarli in modo individuale su eventuali possibilità di risparmio o modelli assicurativi più adatti.
Troppo poco per Pierre-Yves Maillard (Ps/Vd). Al termine del dibattito, il vodese spiega a ‘laRegione’: «Le reti di cura attuali proposte dagli assicuratori sono poco attrattive per i pazienti cronici e il personale di cura. Se vogliamo avere reti di cure che si facciano carico delle persone veramente malate, bisogna che i fornitori di prestazioni – i medici, gli ospedali, i farmacisti, i servizi Spitex – possano creare una sorta di ‘comunità’, venendo remunerati anche per il lavoro di coordinamento tra di loro. Evitare doppioni negli esami, ridurre il rischio di sovramedicazione, gestire in modo condiviso la cartella medica del paziente: le reti di cure proposte dal Consiglio federale avrebbero permesso tutto questo. Con un potenziale di risparmio che lo stesso Governo ha stimato in 250 milioni di franchi. Rappresenta quasi un 1% di premi, non mi pare poco».
Di tutt’altro avviso Philippe Nantermod, che in seno al Plr funge da esperto di politica sanitaria. «Le reti di cura – ci dice il vallesano – esistono già, e sono un’ottima cosa. Non vogliamo però che sia lo Stato a decidere come devono funzionare, chi le deve amministrare, quali devono essere le tariffe. Noi vogliamo che siano gestite – anche per quanto riguarda i prezzi – da persone con spirito imprenditoriale, innovativo, non da qualche funzionario a Berna».