Fioccano le proposte di singoli deputati, partiti e commissioni varie. Facciamo un po’ di ordine, a una decina di giorni dalla sessione straordinaria
“Abbiamo una crisi bancaria”. Già lo scorso ottobre – stando alla ‘Nzz am Sonntag’ – l’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) avrebbe messo in guardia Ueli Maurer. Ormai sul piede di partenza, l’allora ministro delle Finanze avrebbe riferito più volte in merito ai colleghi di governo. Nessuna misura concreta venne adottata. Il ‘tesoriere’ della Confederazione era convinto che tutto si sarebbe aggiustato: «Sono dell’opinione che il Credit Suisse ce la farà (...). Adesso bisogna solo lasciarli in pace per un anno o due», ha dichiarato a metà dicembre nell’intervista di congedo alla Srf. Un grossolano errore di valutazione. Ma è facile dirlo oggi, forti del senno di poi.
Sta di fatto che la “crisi bancaria” la si è vista arrivare. Lo ha ammesso la stessa Karin Keller-Sutter, che il primo gennaio ha ripreso da Maurer le redini del Dipartimento federale delle finanze (Dff). Un anno fa il Governo inviò in consultazione un avamprogetto di legge: proponeva uno strumento volto a stabilizzare la liquidità delle banche di rilevanza sistemica. In autunno però rinunciò a portarlo davanti al Parlamento: non si voleva gettare benzina sul fuoco, rischiando di approfondire la già diffusa crisi di fiducia in Credit Suisse (Cs). Allora «ci siamo accordati con l’Ufficio federale di giustizia. Ci siamo detti che nel caso in cui ne avessimo avuto bisogno, avremmo fatto uso del diritto di necessità». Questa la spiegazione di Karin Keller-Sutter, la sera dell’annuncio del matrimonio forzato tra Cs e Ubs.
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La ministra delle Finanze Karin Keller-Sutter con il presidente di Ubs Colm Kelleher
Così in effetti è stato. Nello spazio di pochi giorni, tra giovedì 16 e domenica 19 marzo, il Consiglio federale è ricorso due volte al cosiddetto diritto di necessità. In base agli articoli 184 e 185 della Costituzione federale, che gli consentono di adottare provvedimenti a tutela della sicurezza esterna e interna, ha dapprima consentito alla Banca nazionale svizzera (Bns) di mettere a disposizione di Cs liquidità supplementare, senza che la stessa Bns debba coprire eventuali perdite. In seguito, ha stabilito che il parere degli azionisti delle due banche sulla transazione non è richiesto. La priorità è una sola: tutelare l’economia nazionale e il sistema finanziario del Paese. Con buona pace degli azionisti (oltre che dei detentori delle obbligazioni AT1, azzerate). E del Parlamento, ritrovatosi in pratica ancora una volta – era già successo durante la pandemia di Covid-19 – davanti al fatto compiuto.
Di fronte al tracollo di Cs, al suo ‘salvataggio’ da parte di Ubs – pilotato da Consiglio federale, Finma e Bns e supportato con garanzie statali per oltre 200 miliardi di franchi – e all’ennesimo utilizzo del diritto di necessità, la reazione dei partiti è stata veemente. I loro rappresentanti nelle commissioni parlamentari si sono subito dati da fare. Tanto che oggi risulta difficile raccapezzarsi fra le proposte fioccate da ogni schieramento politico e capire quali organi del Parlamento vogliano fare qualcosa, cosa esattamente e in quali tempi. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.
Se un credito urgente è superiore ai 500 milioni di franchi, un quarto dei membri di una Camera può chiedere la convocazione dell’Assemblea federale in sessione straordinaria entro una settimana. C’è voluto poco per raggiungere il quorum. La sessione si terrà nella settimana di Pasqua, da martedì 11 a giovedì 13 aprile (giorno di riserva). Si tratta soprattutto di approvare i crediti urgenti decisi dal Consiglio federale per stabilizzare la situazione: 109 miliardi di franchi per il momento, con una riserva di altri 100 miliardi quale garanzia per la Bns. La Delegazione delle finanze delle Camere federali (DelFin) ha dato luce verde già la sera dell’ormai famosa domenica 19 marzo. Ieri anche le rispettive commissioni delle finanze hanno dato il loro beneplacito. Manca solo l’avallo del plenum di entrambe le Camere. Un passo scontato. Nazionale e Consiglio degli Stati potranno anche opporsi, nell’improbabile intento di lanciare un segnale al Governo. Ma i crediti sono già stati impegnati, per cui un ‘no’ rimarrebbe senza effetti giuridici tangibili. “Di nuovo questa impotenza a Palazzo federale”, titolava martedì la ‘Nzz’.
Se ai crediti urgenti non può mettere mano, il Parlamento può tuttavia stabilire regole ed eventualmente condizioni per il loro impiego. Non è chiaro al momento fino a che punto ci si vorrà o potrà spingere, senza mettere a repentaglio (come teme Karin Keller-Sutter) l’‘operazione commerciale’ che ha portato Cs nelle braccia della storica rivale. Ad esempio: è possibile inserire una clausola che vincoli la concessione delle garanzie statali all’impegno, da parte di Ubs, a mantenere in vita la parte svizzera di Cs quale entità indipendente?
All’ordine del giorno provvisorio della sessione straordinaria, reso noto ieri, figurano pure tre postulati presentati dalla Commissione degli affari giuridici del Nazionale. Questa chiede al Consiglio federale di effettuare un’analisi legale al fine di accertare eventuali responsabilità dei precedenti e attuali organi direttivi di Credit Suisse, dal punto di vista dello Stato e dei privati, di esaminare le basi legali e i limiti del diritto di necessità nonché l’applicabilità effettiva della normativa ‘too big to fail’ per le grandi banche di rilevanza sistemica.
Al momento non c’è spazio, invece, per altri atti parlamentari. Come quelli a firma socialista. Chiedono tra l’altro di vietare i bonus per i manager delle banche di rilevanza sistemica, di aumentare al 15% il capitale proprio delle grandi banche e di dare alla Finma la possibilità di comminare multe ed emanare sanzioni. Il Consiglio federale ha già preso posizione, ma l’Ufficio del Nazionale – per il disappunto del capogruppo del Ps Roger Nordmann – non li ha messi all’ordine del giorno.
A far discutere tra una decina di giorni sarà anche l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi). È stata proposta – all’unanimità – dall’Ufficio del Nazionale, su richiesta del capogruppo dell’Udc Thomas Aeschi e di quello del suo omologo del Ps. L’Ufficio del Consiglio degli Stati dovrebbe esprimersi a breve. La commissione, se vedrà la luce, dovrà “stabilire le responsabilità delle autorità e degli organi coinvolti” nell’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs: Consiglio federale, Finma, Bns, i dirigenti e il consiglio d’amministrazione della banca finita in disgrazia. La Cpi dovrebbe occuparsi inoltre della legislazione sulle banche di importanza sistemica, hanno dichiarato – il primo a ‘Le Temps’, il secondo alla ‘Aargauer Zeitung’ – Roger Nordmann e il capogruppo del Plr Damien Cottier, entrambi membri dell’Ufficio del Nazionale. Toccherà comunque a quest’ultimo definire il mandato esatto, qualora anche l’Ufficio del Consiglio degli Stati dovesse dare luce verde. Serve comunque il voto di entrambe le Camere. Una decisione in merito non verrà presa verosimilmente prima di inizio giugno, quando le Camere si riuniranno di nuovo per la sessione estiva.
Il ‘terremoto’ causato dal salvataggio di Cs ha messo in subbuglio il mondo politico. In un contesto di cacofonico iperattivismo, c’è però chi frena. Quantomeno sulla tempistica. La Commissione della gestione del Consiglio degli Stati (CdG-S), ad esempio: intende chiarire “entro metà maggio” varie questioni circa l’esecuzione della legislazione vigente, la vigilanza sulle banche interessate, l’esame di soluzioni alternative nonché l’applicazione del diritto di necessità e la gestione dei rischi da parte della Confederazione. La CdG-S ha incaricato le sue sottocommissioni tematiche competenti di procedere a primi accertamenti e di informarla sui risultati entro inizio maggio. Dopodiché, presumibilmente verso metà maggio, deciderà d’intesa con la commissione ‘sorella’ del Nazionale se chiedere o no l’istituzione di una Cpi.
Non vuole mettere il carro davanti ai buoi nemmeno la Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati (Cet-S). Martedì ha deciso di non presentare alcuna proposta per il momento. Prima vuole saperne di più sull’intera vicenda. La massima priorità è garantire il ritorno alla calma del sistema dei mercati finanziari; occorre pertanto evitare interventi politici affrettati da parte del Parlamento, si legge in un comunicato.
Le idee sono numerose, come detto. E ogni giorno ne spuntano di nuove. O di riciclate. Come quella (caldeggiata in particolare da Roger Nordmann) di concedere una licenza bancaria a Postfinance, permettendole di operare anche nei settori (sin qui a lei preclusi) dei crediti e delle ipoteche. Un forte concorrente (statale), per il mastodonte (privato) Ubs: sarebbe un’alternativa allo scenario (o un suo completamento) che vede lo scorporo della parte svizzera (e sana) di Credit Suisse dall’Ubs e una sua sopravvivenza quale entità indipendente, quotata in borsa. Su quest’opzione insiste il Plr. Ma anche gli altri partiti, chi più chi meno, la vedono di buon occhio.
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Il nuovo, vecchio Ceo di Ubs Sergio Ermotti
Il peso del neonato gigante bancario sarà di certo uno dei grandi temi dei prossimi mesi. Ce ne sono almeno altri due. Il primo: la responsabilità dei dirigenti e dei membri del Cda di Credit Suisse. In discussione vi sarà tra le altre cose la possibilità o meno di obbligarli a restituire i bonus intascati negli ultimi anni.
Secondo grosso tema: la regolamentazione ‘too big to fail’. Ovvero, come ridefinire le regole del gioco, affinché quanto successo non abbia a ripetersi? Le idee anche qui non mancano: vanno da prescrizioni più severe in materia di capitale proprio per le banche di rilevanza sistemica a un tetto massimo agli stipendi dei top manager, da un divieto dei bonus per questi ultimi a un potenziamento della Finma, passando per l’introduzione di un sistema bancario separato fra le attività tradizionali di gestione patrimoniale/attività creditizia (a basso rischio) e quelle (a rischio più o meno elevato) dell’investment banking.
Alcune di queste proposte sono già state discusse in Parlamento. In particolare una dozzina d’anni fa, quando venne approntata la regolamentazione detta ‘too big to fail’, poi rivelatasi inapplicabile alla prima concreta occasione (il tracollo di Cs). Osteggiate soprattutto da Plr, Ppd (ora Centro) e Verdi liberali, allora non trovarono una maggioranza.
Il Consiglio federale, dal canto suo, ha richiesto un’analisi approfondita degli eventi. Il Dff effettuerà un esame dettagliato delle circostanze che hanno portato al piano d’emergenza e valuterà la regolamentazione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ con l’aiuto di esperti esterni, si legge in una nota diffusa mercoledì. Le conclusioni di queste analisi (affidate in parte al professore Manuel Ammann, direttore di un istituto dell’Università di San Gallo finanziato, stando alla ‘Wochenzeitung’, dal… Credit Suisse) saranno presentate entro un anno, nel prossimo rapporto del Consiglio federale sulle banche di rilevanza sistemica. Forse troppo tardi per un Parlamento dove molti scalpitano, ansiosi di darsi da fare in questi ultimi scampoli di legislatura prima delle elezioni federali di ottobre.