Svizzera

Il non addio alla politica di Paul Rechsteiner

Ultima sessione parlamentare per il 70enne ‘senatore’ sangallese, eletto a Berna nel 1986. Uno sguardo a ritroso, e uno al futuro

In Parlamento a Berna dal 1986
(Keystone)
20 dicembre 2022
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"Sono ancora pienamente motivato e in buona salute". Così aveva detto a inizio ottobre nell’intervista al ‘St. Galler Tagblatt’ in cui annunciava il suo ‘ritiro’ dalla politica. E in effetti... siamo a metà dicembre, la sessione invernale delle Camere federali – la sua ultima dopo 36 anni da parlamentare a Berna (vedi sotto) – volge al termine. Ma Paul Rechsteiner è più indaffarato che mai. Riforma del 2o pilastro, sussidi per i premi di cassa malati, flessibilizzazione dell’orario di lavoro, protezione contro la discriminazione in base all’età, adeguamento delle rendite Avs al rincaro: ovunque si tratti di difendere lo Stato sociale, di perorare la causa di chi è sfavorito, il 70enne ‘senatore’ socialista batte un colpo. ‘Pienamente motivato’, appunto. E ‘in buona salute’. La prova? Durante la mezz’ora concessa a ‘laRegione’, in un locale non distante dalla Sala del Consiglio degli Stati, piazzerà tre scatti da far impallidire ben più giovani colleghi (anche se seguiti da ritorno col fiatone…) per non mancare nemmeno una delle votazioni sui singoli punti della Politica agricola 2022, in discussione alla Camera dei Cantoni.

Paul Rechsteiner, l’architetto ticinese Luigi Snozzi ha progettato molto ma realizzato poco. Forti convinzioni, pochi successi tangibili: si riconosce?

[ride] Il paragone con Snozzi, un grande, mi lusinga. Ma il suo campo d’azione, l’architettura, non è il mio. Certo, anche la lista dei miei insuccessi è lunga. Ma lo è anche quella dei successi.

Quali, ad esempio?

In una prima fase, che va dal 1986 alla fine degli anni 90 (all’epoca ero anche presidente del movimento anti-apartheid svizzero), direi l’abolizione definitiva della pena di morte [1999], la ratifica – su mia proposta – dei Patti Onu sui diritti umani [1992] o l’introduzione della doppia cittadinanza [1992]. Per quanto riguarda la politica sociale, grazie a una mia iniziativa parlamentare del 1993 – sostenuta dell’allora consigliere nazionale e presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori Heinz Allenspach – siamo riusciti a estendere la copertura d’insolvenza per le casse pensioni, colmando una lacuna emersa dopo un fraudolento ‘crac’ subito nel 1992 da un’azienda nel canton San Gallo.

Da scandalo a scandalo: quello delle schedature?

Sulla scia delle dimissioni della consigliera federale Elisabeth Kopp [1989] e della caduta del Muro di Berlino, mi sono impegnato a fondo – mentre a Berna le persone scendevano in piazza contro lo Stato ficcanaso – perché fosse istituita una commissione parlamentare d’inchiesta [1989-1990] che facesse luce sullo scandalo e permettesse alle centinaia di migliaia di cittadini illegalmente schedati durante anni di avere accesso al loro dossier personale. Poi qualche anno dopo [1995] scoppiò lo scandalo internazionale dei fondi in giacenza, appartenenti a sopravvissuti all’Olocausto, nelle banche svizzere. Proposi di creare una commissione d’esperti indipendente [la Commissione Bergier, ndr] che scavasse nella nostra storia recente, riesaminando le relazioni tra la Svizzera e il Terzo Reich.

Nel 1998 si apre un altro capitolo: viene eletto presidente dell’Unione sindacale svizzera (Uss).

Se mi avessero detto nel 1986, quando arrivai a Berna, che 12 anni dopo sarei diventato presidente dell’Uss, avrei pensato: ‘Inimmaginabile’. Sta di fatto che nel 1998 comincia una nuova fase. Con temi in parte nuovi, con altri successi, ma sempre collettivi, non individuali. Penso alla libera circolazione e alle misure di accompagnamento, con una ridefinizione totale della protezione salariale: una piccola rivoluzione rispetto all’epoca dei contingenti e dello statuto discriminatorio degli stagionali. Parallelamente, in quegli anni come sindacati siamo riusciti – in controtendenza rispetto a quanto avveniva altrove in Europa – a far progredire i salari. Per quanto riguarda il ‘service public’, invece, il maggior successo – nel quale l’Uss ha avuto un ruolo di rilievo – è sicuramente il referendum con il quale abbiamo evitato la liberalizzazione del mercato dell’elettricità [2002].

La delusione più cocente?

La sconfitta di misura sulla ‘Previdenza vecchiaia 2020’ [2017], un progetto plasmato dalla commissione competente del Consiglio degli Stati, che avrebbe portato – per la prima volta da tempo – a un reale aumento delle rendite Avs. Dalle ceneri di quel ‘no’ in votazione popolare, e dal rifiuto della riforma III dell’imposizione delle imprese [2017], è nata però la ‘Riforma fiscale e finanziamento dell’Avs’ [2019], che porta 2 miliardi di franchi in più all’anno nelle casse del primo pilastro. Anche per questo progetto mi sono impegnato a fondo.

In 36 anni sono cambiate parecchie cose, dentro e fuori Palazzo federale. Se dovesse sceglierne una, quale sarebbe?

Direi la questione di genere. Nel 1986, quando arrivai a Berna, c’era ancora il vecchio diritto matrimoniale. Solo nel 1988 – dopo il fallimento del primo referendum di Christoph Blocher – entrò in vigore il nuovo diritto, che abolì il modello patriarcale a favore del concetto di partenariato, affermando l’uguaglianza fra gli sposi. Se allora qualcuno avesse affermato che 35 anni dopo avremmo avuto il ‘Matrimonio per tutti’, nessuno gli avrebbe dato credito. Si tratta di un’enorme apertura, a livello di società. E vediamo tutti come simili conquiste non possano essere date per scontate una volta per tutte: basti pensare alla recente sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti sul diritto all’aborto, o al referendum lanciato nel 2002 in Svizzera contro la cosiddetta soluzione dei termini.

Si ha l’impressione che politici come lei, chiaramente schierati, siano sempre sulla difensiva e isolati in Parlamento. È così?

Non per forza. Al Consiglio degli Stati il margine di manovra, e lo stesso terreno da gioco, è diverso rispetto al Nazionale. Nel 2011, quando sono stato eletto alla Camera dei Cantoni, la sinistra qui aveva un peso marginale, come oggi l’Udc. Nel frattempo i rapporti di forza sono cambiati. E questo ha aperto possibilità inedite, grazie a puntuali coalizioni con esponenti del Centro o del Plr. Ricordo ad esempio le prestazioni transitorie per i disoccupati anziani [plasmate dalla commissione della Camera dei Cantoni e in vigore dal 1o luglio 2021, ndr], benché adesso occorra colmare delle lacune nella loro applicazione. Ma penso soprattutto alla politica dei trasporti e alla difesa del ‘service public’ (ferrovia, Posta, eccetera): qui l’apertura è stata facilitata dal fatto che al Consiglio degli Stati, diversamente da quanto avviene al Nazionale, le considerazioni di politica regionale in genere prevalgono su quelle prettamente partitiche.

Nel tempo, pur rappresentando l’ala sindacale del Ps, si è guadagnato il rispetto anche dei suoi avversari. Com’è stato possibile?

Servono competenza e professionalità. Bisogna conoscere a fondo e di persona i dossier. E non è certo uno svantaggio avere una lunga esperienza alle spalle: perché ormai si conoscono i meccanismi del Parlamento, le sue dinamiche. Fondamentale è la disponibilità ad ascoltare gli altri, cercare di capire cosa e come pensano persone che hanno opinioni e convinzioni diverse dalle tue.

Ancora in questi giorni la vediamo onnipresente, attivo come non mai. Cosa continua a motivarla?

La convinzione che sia giusto difendere le conquiste sociali ottenute grazie alla mobilitazione dei lavoratori. Sono sfide che si ripresentano sempre sotto nuove forme. Prenda il sistema pensionistico. Grazie all’Avs e alla cassa pensione siamo riusciti a ridurre sensibilmente la povertà tra le persone anziane. Ma adesso i lavoratori pagano sempre di più per il secondo pilastro, per delle rendite che continuano a diminuire. E davanti a noi abbiamo una sfida gigantesca: sono convinto che non via sia un’alternativa al rafforzamento dell’Avs, il cuore del nostro Stato sociale e della Svizzera stessa. Non contano le sconfitte [‘Previdenza vecchiaia 2020’, Avs 21], conta essere pronti a lottare di nuovo: anche tentando una, due, tre volte, cercando di cogliere il momento giusto per riprovarci.

Ha difeso invano le generose compensazioni previste dal Consiglio federale nell’ambito della riforma del secondo pilastro. Un referendum pare inevitabile. Smessi i panni di ‘senatore’, la vedremo per le strade a raccogliere firme?

Rimarrò un politico, semplicemente senza il ruolo di parlamentare. E un progetto mi sta particolarmente a cuore: quello per l’introduzione di un nuovo diritto di cittadinanza, basato sullo ‘ius soli’ [chiunque sia nato in Svizzera deve avere diritto al passaporto rossocrociato, ndr]. La Svizzera è un Paese di notevole successo, a livello economico e sociale. Ma politicamente, abbiamo una situazione scandalosa: oltre 2 milioni di persone (oltre un quarto della popolazione residente!), molte delle quali nate qui e perfettamente integrate, sono escluse dall’esercizio dei diritti politici. Siamo agli inizi di un lungo cammino. Il Consiglio degli Stati un anno fa ha respinto una mia mozione. Ma occorre aprire un dibattito sulla questione: per la Svizzera, per la nostra democrazia, è assolutamente cruciale che le persone che vivono qui possano anche partecipare alla vita politica.

Chi è

Mezza vita in Parlamento a Berna

Nato nel 1952, cresciuto a San Gallo, sposato. Ha iniziato la sua carriera politica nel 1977 nel legislativo della città di San Gallo e dal 1984 al 1986 ha rappresentato il Ps in Gran Consiglio. Poi è stato eletto a Berna: prima in Consiglio nazionale, dove è rimasto dal 1986 al 2011, e da allora al Consiglio degli Stati. Ha studiato legge a Friburgo e Berlino e dal 1980 ha lavorato come avvocato indipendente, prevalentemente negli ambiti del diritto del lavoro, del diritto penale e del diritto delle assicurazioni sociali. Nel 1998 è stato eletto alla presidenza dell’Unione sindacale svizzera (Uss), carica che ha ricoperto per 20 anni. Dallo stesso anno è membro del consiglio di fondazione della Fondazione Paul Grüninger (che presiede dal 2019), creata per riabilitare e far conoscere la figura dell’ex comandante della polizia cantonale sangallese che salvò dalle persecuzioni naziste diverse centinaia di ebrei e di altri profughi. In Consiglio nazionale Rechsteiner – figura di spicco del Ps, diventato col tempo un peso massimo della politica federale – si è concentrato in particolare sui temi della sicurezza sociale. Agli Stati ha difeso gli interessi del suo Cantone insieme alla futura consigliera federale Karin Keller-Sutter (Plr). Insieme hanno ottenuto, tra l’altro, l’estensione della rete ferroviaria nella valle del Reno.