Hockey

René Fasel: 'L'hockey esca dall'angolo'

Presidente dell'Iihf dal 1994, il dirigente friborghese annuncia il passo (finale?) verso la Nhl: ‘Pensiamo alle piste piccole anche in Europa’. A partire dal 2022.

In sella dal 1994
29 dicembre 2018
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È un lunghissimo vialone d’arrivo. Al termine del quale, una volta calato il sipario sui Campionati del mondo in programma a Losanna e Zurigo nel mese di maggio del 2020, René Fasel lascerà lo scettro a qualcun altro. All’età di 70 anni, ventisei dei quali trascorsi ai vertici del-È un lunghissimo vialone d’arrivo. Al termine del quale, una volta calato il sipario sui Campionati del mondo in programma a Losanna e Zurigo nel mese di maggio del 2020, René Fasel lascerà lo scettro a qualcun altro. All’età di 70 anni, ventisei dei quali trascorsi ai vertici del-l’hockey mondiale. «La prima volta che venni qui a Davos fu nel 1976, quand’ero ancora un linesman – racconta il dentista friborghese, che dopo aver giocato nel settore giovanile del Gottéron, nel 1972 intraprese la carriera arbitrale arrivando fino a dirigere una quarantina di partite internazionali –. Cosa penso della Spengler? Che è parte integrante del nostro hockey, così come lo sono i Mondiali U20 che si stanno svolgendo adesso in Canada. Ed è una ribalta internazionale importante, frequentata ogni anno da squadre di Russia, Finlandia, Cechia e Germania: non posso immaginare che un giorno tutto questo non ci sia più».Più facile è invece immaginare che direzione prenderà l’hockey su ghiaccio, visto che ogni anno ci sono sempre meno differenze fra la Nhl e il resto del mondo... «Sì, è vero, ci siamo un po’ adeguati al Nordamerica – ammette –. Del resto, io lo dico sempre: il livello del nostro sport non è mai stato così buono come lo è adesso. Anzi, posso spingermi oltre: alla Iihf (la Federhockey mondiale, ndr) stiamo discutendo l’eventualità di passare dalle piste dalla larghezza di trenta metri a quelle da ventisei. Naturalmente so bene che per arrivare a una cosa del genere sarà necessaria una fase di transizione, e so pure che non sarà un progetto facile da realizzare, ma l’intenzione è proprio quella». Il motivo? «Le piste europee sono diventate uno svantaggio sul piano del giorno, infatti si passa troppo tempo negli angoli e non è certo quello il senso dell’hockey: quando pensiamo che una partita dura sessanta minuti, e una ventina di quelli la si trascorre a difendere il disco in fondo alle balaustre... Nel mese di ottobre ho avuto la fortuna di assistere alle due sfide Nhl tra Florida Panthers e Winnipeg Jets giocate a Helsinki su pista piccola, e dell’esperimento abbiamo poi discusso con allenatori e addetti ai lavori. In ogni caso, e posso dirlo con cognizione di causa, siccome seguo con interesse la Nhl, il gioco in Nordamerica è più veloce e più intenso che mai. Impressionante, sul serio».E come avverrebbe tale rivoluzione? «Ripeto, ne stiamo ancora discutendo. Un’ipotesi potrebbe essere quella dei Giochi di Pechino del 2022, ciò che potrebbe anche influenzare la scelta di un eventuale ritorno da parte della Nhl. Oppure si potrebbe cominciare ai Mondiali in Finlandia dello stesso anno. Ciò che so, però, è che una scelta del genere avrà ricadute positive sulla preparazione dei giovani: infatti in Nhl il gioco è molto più orientato sulla porta, e in futuro per loro sarà più facile adattarsi». Adesso, infatti, molti dei nostri migliori giovani scelgono di emigrare. «Il fatto è che, da noi, il campionato degli juniores élite è di livello troppo basso. Chi può, quindi, va in Svezia o negli States. E su questo dobbiamo investire, perché sono loro il nostro futuro».Sul piano dei ritmi, invece, i nostri giovani dovrebbero avere minor difficoltà, siccome anche in Europa si gioca ormai a ritmi forsennati... «In verità, un giocatore non dovrebbe disputare più di cento partite all’anno, ma si fa in fretta a raggiungere quel traguardo, tra campionato, Coppa, Champions, Nazionale, amichevoli... E quando si è stanchi si corre maggiormente il rischio di farsi male. Prendiamo la Khl: in Russia la regular season conta 60 partite, e sono troppe, considerando poi la lunghezza delle trasferte. Così succede che 25 giocatori in squadra non bastano più: ce ne vogliono trenta, più uno straniero supplementare. Poi i club dicono che vogliono giocare di più per incassare di più, ma dimenticano che così facendo hanno anche maggiori spese da pagare».A proposito di soldi: dopo Losanna, anche Zurigo, Friborgo e Ambrì si preparano ad accogliere il nuovo stadio: rispetto a un tempo, insomma, la situazione è decisamente migliore. «Ed è senz’altro un bene, ma rimane il problema delle piste in generale, intese come superfici ghiacciate a disposizione: se vogliamo davvero investire sui giovani, quelle attuali sono troppo poche».Tuttavia, in Svizzera quando c’è da spendere per lo sport non tutti sono d’accordo. L’ennesima dimostrazione di ciò la si è avuta nella scorsa estate, quando dopo i Grigioni anche il Vallese ha bocciato l’ipotesi dei Giochi olimpici. «Forse non tutti la vedranno così, ma io sono molto preoccupato se penso alle Olimpiadi invernali – conclude Fasel –. Guardiamo alle candidature per il 2026, cioè a Svezia e Italia: senza l’appoggio dei governi al giorno d’oggi è impensabile riuscire a organizzare un evento del genere. Ed è vero che per ottimizzare si potrebbe decidere di tornare in posti in cui s’era già gareggiato in passato, come Vancouver, Calgary, Salt Lake City, Sochi o Sapporo, dove già esistono le infrastrutture adeguate. Però, quando nazioni ‘invernali’ come Svizzera, Austria, Germania o Svezia dicono di no ai Giochi, qualcuno una domanda se la dovrebbe porre».  

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