Dalle discussioni attorno all’arrivo dell’Israel Philharmonic Orchestra emerge un messaggio importante: il dibattito pubblico fa sì che non si dimentichi
Un’istantanea in chiaroscuro, dove per quanto le parti in ombra siano le più marcate e immediatamente visibili, è dalle tonalità più chiare che emerge il messaggio più significativo.
Si potrebbe descrivere così ciò che è avvenuto negli scorsi giorni a Lugano. Alla luce delle recenti polemiche attorno all’arrivo dell’Israel Philharmonic Orchestra al Lac, c’è un aspetto che forse, dall’alto dei nostri privilegi democratici, è stato dato per scontato, o che forse è semplicemente passato inosservato, ma che merita attenzione. È la miscela di opinioni che ne sono derivate, che per quanto discordanti e, a tratti taglienti, hanno congiuntamente fatto sì che non si dimentichi. Né la Shoah, né gli attacchi di Hamas, né lo sterminio del popolo palestinese, né la guerra in Ucraina, né gli orrori e le onde di devastazione che giungono fino a noi, come cittadini di uno stesso mondo.
Sono sfoghi leciti, e comprensibili, derivanti da gravi tensioni internazionali. E che soprattutto sono essenziali al dibattito pubblico. La discussione si è animata sui media, sui social network e tra la gente in strada. Ogni voce ha avuto e preso il suo spazio. Chiunque abbia voluto ha espresso la propria opinione, ha manifestato e si è confrontato, talvolta in maniera civile e pacifica, talvolta meno. Il Coordinamento unitario a sostegno della Palestina, che ha organizzato giovedì un presidio, ha rimarcato la propria contrarietà alla scelta di invitare un’orchestra ‘profondamente legata al governo israeliano e che quindi supporta il genocidio del popolo palestinese’. L’Associazione Svizzera-Israele, che ha invitato i musicisti a esibirsi a Lugano, ha affermato che il tentativo di dipingerli come un’istituzione politica è ‘strumentale e fazioso’. Anche il Lac si è impegnato a chiarire la propria posizione: ‘La cultura non è ambito di boicottaggio e non lo è stato neanche in passato’. A proposito di passato, nel 2022 è stata sollevata indignazione e rabbia anche attorno al concerto in piazza Luini del rapper Fabri Fibra, accusato dal collettivo femminista io l’8 ogni giorno di legittimare la cultura sessista, misogina, omofoba, violenta e discriminante. O il caso più recente, in cui da destra è arrivata una critica, sempre nei confronti del Lac, per aver ospitato lo spettacolo teatrale Rocky Horror Show, accusato di veicolare messaggi troppo trasgressivi.
‘Non dimenticate', è poi la stessa richiesta che la mezzosoprano Christina Daletska rivolge al proprio pubblico: ‘In nome delle vittime dell’invasione russa, vi chiedo di non dimenticare questa guerra. Non dimenticate l’Ucraina’. Parole che l’artista esprime sottolineando la differenza tra diritti umani e politica, ambito, quest’ultimo, che per l’Orchestra della Svizzera italiana va assolutamente tenuto al di fuori dei contesti musicali, perché ‘la musica è apolitica’ e ‘non deve essere politicizzata’. Due posizioni all’apparenza antitetiche, ma la cui coesistenza di entrambe rientra nella grande sorgente di dibattiti che la cultura rappresenta. Una coesistenza tra opinioni virtuosa e da tutelare, nel rispetto reciproco. E se una cosa è certa, è che finché ci sarà il dibattito pubblico, la memoria storica sarà garantita.