laR+ IL COMMENTO

Che tempo che farà

‘Fabio Fazio lascia la Rai’, ma l'espressione corretta è ‘la Rai lascia Fabio Fazio’

In sintesi:
  • Non è il primo ‘editto bulgaro’ e non sarà l'ultimo
  • La sinistra perde una delle sue poche voci colte ma comprensibili
  • Anzi, la sinistra perde una delle sue poche voci
Fabio Agostino Francesco Fazio
(Facebook)
16 maggio 2023
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“Non sono più disponibile a sentire la parola buonista. In un Paese costruito sulla rabbia è assurdo scambiare la buona educazione per buonismo”. La dichiarazione è vecchia di quasi dieci anni e appartiene a Fabio Fazio, chiamato a render conto del calo di ascolti del suo quarto Sanremo, quello del 2014, il secondo consecutivo dopo i due (consecutivi) del 1999 e 2000. Su quella buffa graticola che è la conferenza stampa del Festival, al presentatore si rimproverava l’impostazione troppo politicamente corretta e gli si mettevano in dubbio gli autori. Per dirla con Villaggio, Fazio veniva “crocifisso in sala mensa”. Era il Sanremo di Cat Stevens, Rufus Wainwright e Damien Rice, e di Maurizio Crozza che tornava dopo i fischi del 2013 e faceva alzare in piedi l’Ariston. Eppure, quella formula colta-quanto-basta per essere comprensibile, d’un tratto non funzionava più. Almeno al Festival, perché il colto-ma-comprensibile avrebbe accompagnato Fazio fino all’annuncio del suo passaggio a Discovery, domenica scorsa, dopo quarant’anni di Rai.

La sinistra italiana che, in un tempo non lontano, di Fabio Fazio arrivò pure a chiedere la testa, perde in questo senso – nel senso del colto-ma-comprensibile, concetto con il quale da anni ha un rapporto conflittuale – una voce fondamentale. Le restano Benigni e Papa Francesco. La destra minimizza, o al massimo esulta. Niente di nuovo: a ogni inversione di rotta ideologica, la tv di Stato viene ritarata dalla politica come l’antennista fa con la parabola sul tetto di casa. E quello del nuovo esecutivo non è il primo “editto bulgaro”, termine coniato nel 2002 con l’allontanamento dalla Rai di Enzo Biagi, ‘caldeggiato’ dal Cavaliere (che due anni prima aveva esiliato pure il ct della Nazionale).

Non è fare politica dire che la Rai, nel rinunciare a uno dei suoi nomi di punta, ha fatto “un grave errore editoriale” (Ferruccio De Bortoli). E nemmeno è fare politica negare che Fazio avesse un’opinione precisa, ammesso che avere un’opinione precisa equivalga a fare politica. Ed è vero che a volte le sue domande erano scomode come quelle di Larry King a O.J. Simpson (“Era stare sul banco dei testimoni senza dover subire un interrogatorio”, disse l’ex attore, libero di parlare di uxoricidio per oltre due minuti senza contraddittorio), ma è vero anche che quando ha dovuto prendere posizione – dai migranti fino a ‘Binario 21’, lo speciale sulla Giornata della Memoria condotto al fianco di Liliana Segre – Fazio lo ha sempre fatto. Altrimenti non staremmo qui a scrivere.

Quella conferenza stampa del 2014, televisivamente parlando, rappresenta uno spartiacque. Al Fazio che quindici anni prima aveva portato a Sanremo Luciano Pavarotti, il Premio Nobel Renato Dulbecco e il presidente russo Michail Gorbaciov contestarono il fatto di non essere abbastanza “sangue e merda”; gli contestarono l’abuso di “effetto nostalgia” perché voleva festeggiare i sessant’anni della tv italiana. “Nostalgia è una parola alla quale voglio molto bene”, disse; la nostalgia di ‘Anima mia’, programma del 1997 dal quale è nata tutta la tv commemorativo-generazionale e tutti i “Sei degli anni Settanta se…” e i “Noi che facevamo questo e quest’altro…” che spopolano in rete.

Mancherà, alla tv italiana Fabio Fazio, voce di un’informazione e di un intrattenimento non gridati, oltre che la migliore spalla per un comico e l’unico uomo di spettacolo, con Raimondo Vianello, che sia riuscito a sdrammatizzare il calcio. Prendendo in prestito il titolo del programma, viene da chiedersi ‘Che tempo che farà’. Prendendo in prestito Mel Brooks, “potrebbe piovere”.


Keystone
Febbraio 2018, con Silvio Berlusconi

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