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Ucraina, un anno di guerra in qualche pagina

Il 24 febbraio del 2022 la Russia invadeva il Paese. A quest’anno di violenza, speranza e ipocrisia dedichiamo oggi uno speciale

In sintesi:
  • L'importanza di armare la resistenza di Kiev
  • Guappi da talk show, negazionisti e burattini
  • Un fascicolo speciale dopo un anno di guerra
24 febbraio 2023
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"Agosto 1944. Moschetti per tutti gli uomini, cinque mitraglie, dieci mitra Sten, bombe a mano, qualche machine-pistol, sei mortai, quattro Piat, Thompson e qualche parabellum russo". "Primo gennaio 1945: si aggiungono alla dotazione precedente parecchi bazooka e dieci mortai". Così combattevano i partigiani italiani della Prima Divisione Langhe, secondo i documenti recuperati dal giornalista e saggista Maurizio Stefanini. Che ne ricostruisce anche l’origine: "Moschetti, mitraglie, bombe a mano, il primo lotto di mortai e forse anche i parabellum russi come preda di guerra venivano dai magazzini del Regio Esercito. Le machine-pistol erano state prese ai tedeschi. Ma Sten, Piat, Thompson, bazooka e probabilmente anche il secondo lotto di mortai li avevano lanciati gli Alleati col paracadute". Sui monti, quei ragazzi e ragazze non cantavano Bella Ciao – divenuta struggente simbolo della Resistenza solo vent’anni dopo, ad armi deposte –, ma versi che li descrivevano "col parabello in spalla / caricato a palla".

Supponiamo sia chiaro dove s’intende arrivare. Da un anno esatto si combatte nel cuore d’Europa una guerra assurda, la cui responsabilità è evidentemente da ascriversi all’invasore russo, e alla quale non è possibile trovare tregua senza prima avere contenuto sul campo le ambizioni imperialiste del Cremlino. Lo si vedeva dal primo giorno – ma lo si sapeva dal 2014 –, quando i guappi da talk show à la Orsini giuravano che "Putin ha già vinto" e certi astiosi burattini, anche in Ticino, parlavano di "operazione umanitaria" e scendevano in piazza per dire "no alla guerra contro la Russia" (sic). Da allora, la scelta occidentale di combinare l’accoglienza e le sanzioni alla fornitura di armi si è dimostrata lungimirante: non ha evitato i massacri di ucraini, e neppure quelli di ragazzini spediti al fronte alla bell’e meglio con una divisa russa ("gli avevano dato le mostrine e le stelle / e il consiglio di vendere cara la pelle"); ma ha scongiurato una resa che sarebbe stata ancor più sanguinosa, oltre che ingiusta e propedeutica a chissà quali altre imprese.

Nessuno si augura di andare avanti così. Ma la pace è inevitabilmente lontana di fronte a un bravaccio come Putin, che paragona sì l’invasione a uno stupro, ma per vantarsene canticchiando stornelli agghiaccianti: "Che ti piaccia o no / devi sopportarlo mia bella", disse una volta a Macron. Anche ipotizzando che l’Ucraina possa rinunciare a una parte dei suoi territori, è più verosimile l’ipotesi formulata dallo storico Andrea Graziosi: "Un cessate il fuoco per esaustione reciproca, come quello tra le due Coree. Ma il bisogno di vincere di Putin pare spostare molto in là nel tempo anche questo scenario, visto il prezzo di sangue che Mosca sembra disposta a pagare".

Trovate le parole di Graziosi sullo speciale che alleghiamo oggi al giornale. Una silloge d’inediti e pagine d’archivio, che speriamo possa servire ad approfondire e ricapitolare il tema. Senza semplificare, ma senza neppure cadere nelle mistificazioni propalate – per ignoranza, negazionismo ideologico o malafede – da quelli che "eh ma la Nato", "e allora l’imperialismo Yankee", "il nazista Zelensky" e così via. Un fascicolo nel quale ci affidiamo a storici, studiosi di relazioni internazionali, ‘cremlinologi’ e inviati al fronte non solo per cercare di veder meglio nella nebbia della guerra, ma anche per diradare, pur nel nostro minuscolo, la foschia della disinformazione. Buona lettura.

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