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A Lugangeles si fanno accordi con El Salvador

Nel recente dibattito sui Bitcoin a Lugano, il problema non sono i Bitcoin: il problema sono i Bitcoin a Lugano

In sintesi:
  • La storia della Città suggerirebbe un po’ di prudenza
  • Ma Lugano è Lugangeles, borgo di periferia che si vuole centro del mondo inseguendo il profumo inodore dei soldi
(Keystone)
5 novembre 2022
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Nel recente dibattito sui Bitcoin a Lugano, il problema non sono i Bitcoin: il problema sono i Bitcoin a Lugano. Basterebbe osservare la storia recente della Città per pretendere, da parte delle euforiche autorità politiche, un minimo di accortezza. Ma Lugano è Lugangeles, borgo di periferia che si vuole centro del mondo inseguendo il profumo inodore dei soldi. Siano essi virtuali o veri, bianchi o neri. Lo dice la cronaca: l’avidità si è sempre portata appresso spiacevoli sorprese.

Negli anni Settanta, quando Lugano diventò la Città delle banche, il settore finanziario faceva girare buona parte dell’economia locale e garantiva importanti entrate fiscali. Nessuno aveva nulla da ridire: nel vuoto di regole, i soldi piovevano e a tutti andava bene così. La brama di denari ha concimato l’humus su cui sono spuntati, però, tutta una serie di colletti sporchi che hanno fatto proliferare nella giungla Ticino continui scandali: crac bancari, truffe colossali, senza contare l’afflusso di un fiume torbido di narcodollari.

A differenza delle altre piazze svizzere, il Ticino era una piazza monoculturale, totalmente dipendente dall’Italia. Ciò che negli anni Duemila diventò problematico: scudi fiscali, nuove regole bancarie e fiscali hanno infatti reso più difficile per le banche ticinesi attirare nuovi clienti italiani. La gallina dalle uova d’oro era ormai sterile. Si sono così cercati nuovi sbocchi, nuovi mercati in crescita come la Russia, il Sudest asiatico o il Sudamerica. Nuovi ricchi, nuovi rischi. E nuovi scandali.

Bsi, la più antica banca ticinese, cancellata dalla Finma dopo essere stata abbacinata dai milioni facili guadagnati tramite il corrottissimo fondo malese 1mbd. È stata la più grande rapina del nuovo millennio e Lugano c’era. E che dire di Pkb e della filiale luganese di Cramer? Ancora in vita certo, ma sotto indagine penale in Svizzera per il loro ruolo nell’altro scandalo internazionale di questo inizio millennio, il Lava Jato brasiliano. Ma non è tutto: a Lugano c’è stata persino una banca, la Credinvest, il cui controllo è stato preso segretamente da alcuni brutti ceffi venezuelani. Non ci si è fatti mancare nulla, insomma. Tutti con le pupille dilatate dai dollari sporchi dei corrotti di ogni dove.

La crisi delle banche ha poi spinto la piazza su altre declinazioni della finanza come il commercio di materie prime. Lugano è diventata la terza piazza svizzera. Un settore certo interessante, ma rischioso per natura. In riva al Ceresio è arrivato di tutto, dagli oligarchi ucraini a quelli russi finiti sotto sanzione, da faccendieri delle ferroleghe al banco diamanti in odore di camorra. C’è chi commerciando petrolio da Lugano è finito sotto inchiesta per del presunto petrolio acquistato dallo Stato Islamico. Altre società acquistano metalli sempre più strategici, come il cobalto o il nichel, in contesti dove regnano fame, povertà e corruzione. Altre ancora si riempiono le tasche intermediando carbone o Gln americano, combustibili fossili tra i più inquinanti al mondo. Non tutto va generalizzato, certo, ma questo è per dire: occhio ai rischi, signore e signori.

In riva al Ceresio, confluiscono ancora oggi personaggi dai vari curriculum criminali – mafiosi in doppiopetto, arguti frodatori, intrallazzoni di ogni sorta – che qui paiono trovare le giuste sponde in maggiorenti locali. Diventata Città delle criptomonete, Lugano offre un atout in più a tutti questi delinquenti.

Sembra lineare, non vi pare? Un po’ di precauzione sarebbe quindi d’obbligo. Invece siamo di fronte ad un entusiasmo che non lascia presagire nulla di buono. Al di là dei guai del partner scelto dalla Città – Tether ­­– è l’assenza totale di spirito critico a lasciare perplessi.

Qualche anno fa, sempre acriticamente e accecata dai soldi, la Città firmava accordi con la cleptocrazia kazaka. Oggi si stringe un accordo con El Salvador, uno degli Stati più poveri dell’America Latina, devoto come Lugano alle divinità criptomonetarie: "Lugano è una terra d’innovazione e opportunità, e lo storico annuncio di oggi circa la nostra partnership col grande Paese di El Salvador è una grande notizia per chi crede nella libertà finanziaria e nel potere delle criptovalute", ha dichiarato il sindaco Michele Foletti. Innovazione, opportunità, libertà: la narrazione di Foletti ricorda quella di Marina Masoni ai tempi in cui lanciò la Fashion Valley. Paroloni, proclami e il racconto fantasy di come il Ticino sarebbe presto diventato un nido di spiriti creativi e stilisti 2.0.

L’unica grande creatività è stata quella di plasmare sofisticati sistemi per aggirare le tasse di alcuni di questi colossi. In particolare, uno: quello assistito dallo studio di famiglia dell’ex consigliera di Stato, costretto poi a pagare la multa fiscale più salata della storia d’Italia.

Oggi molti esperti mettono in guardia sui rischi legati al riciclaggio e alle frodi delle criptomonete. Se ne è accennato anche in un recente incontro tenutosi all’Usi – curiosamente proprio in parallelo al forum Plan B – sulle infiltrazioni criminali in Svizzera e in Ticino. Si è parlato di inchieste che toccano da vicino Lugano. Peccato che a quell’incontro non fosse presente nessun rappresentante di una Città ormai sballata dalla criptomania.

Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch

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