Commento

La doppia morale di San Saviano da Facebook

Il recente blackout dei social ha portato tanti a criticare le piattaforme sulle piattaforme stesse, generando paradossali cortocircuiti

Roberto Saviano, giornalista e scrittore
9 ottobre 2021
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“Ieri per ore l’infernale chat è andata giù. E con lei, per ore, Instagram e Facebook immoti”. Immoti. Parbleu.

A descrivere un blackout di poche ore dei social (nemmeno tutti) come se fosse la Commedia di Dante (senza essere Dante) è Roberto Saviano, che – nel suo stile perennemente in trincea, che si parli di narcotrafficanti o di Teletubbies – ha confuso meno di mezza giornata in cui ci si poteva per una volta dedicare ad altro, o anche solo telefonarsi, con l’Apocalisse.

La sua filippica contro i social è proseguita con una sequela di parolacce che più che lo sfogo di uno scrittore sembra il liberatorio “cacca-cacca-cacca” dei bambini quando scoprono il turpiloquio: “Qualche influencer avrà scritto meno stronzate”, “Questi social di merda”, due volte, a ribadire il concetto, come se fosse una lezione di fisica, non uno sfogo da quattro soldi a uso e consumo dei gonzi che vogliono sentirsi dire da una penna famosa quel che sanno anche i muri, ovvero: i social hanno troppo spazio nelle nostre vite.

Dimenticando una piccola cosa: siamo noi a permetterglielo, e nessuno è costretto a rimanerci, tantomeno Saviano, che riesce – tra parolacce e termini da paraguerriglia paraletteraria (“sono consapevole carne d’algoritmo, parte attiva del barnum dei social…”) – a essere ugualmente sgradevole sia quando prova a volare alto che quando prova a strisciare ad altezza bisognino.

Come altri non ha voluto risparmiarci la critica usa e getta dei social sui social, intuendo perlomeno il disagio di chi sta facendo pipì controvento (lui scriverebbe “piscio” che fa più “Full Metal Jacket”) e provando tragicomicamente a scusarsi per essere lì, tirando fuori esempi da conversazione in ascensore: “Vorrei non comprare al supermarket, ma è lì che devi andare per comodità e convenienza; vorrei non toccare il denaro, ma è con quello che si vive; vorrei andare in calesse, ma è con l’aereo che si arriva in tempo”.

A lezione di cerchiobottismo

Saviano ci dice che vuole andare in calesse e poi le “stronzate” le scrivono gli influencer. E continua: “Basterebbe non accedere a Facebook”. Appunto. Ma “ormai per lavoro e militanza civile, su spinta della vita sei in questi luoghi necessariamente e con l’ingenua utopia di poterli persino cambiare (un’illusione bambinesca)”.

Chi mai avrà il coraggio di rinfacciarti che sei sui social se lo fai per cambiarli, campare e aiutare agli altri? Dice anche che vorrebbe rinunciare al petrolio, ma non può perché è ovunque, anche “nei dentifrici” (ma che dentifricio usa Saviano?).

Insomma, “scegliere a questo mondo è raramente davvero possibile” dicono la casalinga di Voghera al mercato e lo scrittore napoletano su Facebook, che per riequilibrare le cose – non fosse mai che Zuckerberg o chi compra i suoi libri se ne abbiano a male – dà una bella lezione di cerchiobottismo: “Sono in grado anche di vedere il bello della mia comunità”. Insomma, Saviano ci ricorda che c’è del bello anche su Facebook: è lui, la sua comunità.

Va a capo e scrive: “Non trascuro l’incredibile potenziale”. No, non lo trascura, infatti le due immagini del profilo e gli aggiornamenti post-blackout sono tutti per promuovere il suo prossimo libro. Niente di male, per carità. Non è il primo, non sarà l’ultimo. Gli affari sono affari.

San Saviano conclude dicendo che “è stato meraviglioso star senza questi social di merda”, non accorgendosi che il guaio non è tanto starci attaccati o lontani, ma tornare e trovare post così. In fin dei conti il vero problema non è Facebook, ma quelli che scambiano i social con la vita reale, un autore di un fortunato e coraggioso libro per un intellettuale.

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