Distruzioni per l’uso

‘Quand’ero giovane io’. L’avanzata dei giovani vecchi

Una volta erano gli anziani a rimpiangere un passato mitizzato. Ora l’età si è abbassata e la politica ne approfitta

Honoré Daumier, ‘Le Passé, le Présent, l'Avenir (Louis Philippe d'Orlèans)’, 1834
(Wikipedia/public domain)
6 ottobre 2018
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“Quand’ero giovane io”, fino a pochi anni fa, erano gli altri a dirlo, i vecchi. Ed era bello starli ad ascoltare, ché da quell’incipit ti aspettavi già aneddoti interessanti: i ricordi di una resistenza o di amorazzi nel fienile. C’era in quei racconti “quell’odore solito di polvere e di muffa”, l’immancabile “una volta qui era tutta campagna” che accendeva la fantasia, seppure un po’ macchiata dalla condiscendenza dell’ascoltatore che ha tutta la vita davanti.

Adesso invece i tempi del rimpianto appaiono accorciati. Saranno le incertezze dell’epoca, sarà pure che gli anni passano per tutti. Fatto sta che anche i semi-giovani si guardano indietro con l’aria di chi ha un brillante futuro alle spalle. La nostalgia si è spinta talmente a ritroso che “quand’ero giovane io, non ero ancora nato”, finendo per inseguire tradizioni fasulle, tempi d’ottone trasfigurati in età dell’oro. Come pittori della domenica, dipingiamo false rimembranze a colori innaturali: “quand’ero giovane io i miei genitori mi sgridavano per i brutti voti”; “quand’ero giovane io non c’era tutto questo bullismo”; “quand’ero giovane io non c’era da aver paura d’andare in giro”; “quand’ero giovane io non c’erano tutti ‘sti immigrati”; “quand’ero giovane io si parlava il dialetto”; “quand’ero giovane io la sinistra difendeva compatta i lavoratori”. Si diventa anche un po’ petulanti.

Che poi vabbè, anch’io a volte finisco per vagheggiare Roosevelt e perfino l’impero asburgico (chi è senza peccato…). Ma a ripensarci bene, “quand’ero giovane io” c’era già il genitore che incolpava il professore invece del figlio somaro. “Quand’ero giovane io” le prendevamo dai più grandi per una merenda. “Quand’ero giovane io” giocavamo a calcio a due passi dalle siringhe. “Quand’ero giovane io” c’erano gli albanesi e i vucumprà (e, come gli immigrati di ora, perlopiù erano brave persone). “Quand’ero giovane io” si parlava spesso un goffo italiano dialettizzato (proprio come ora). “Quand’ero giovane io” c’erano molti più crimini. “Quand’ero giovane io”, a sinistra ci si prendeva già a testate (ma questo, da Adamo ed Eva).

L’importante sarebbe almeno non prendersi troppo sul serio. Altrimenti una semplice stempiatura generazionale diventa una cataratta politica che offusca il giudizio e che molti Dulcamara, in giro per le piazze dei media e della politica, promettono di curare col pericoloso rimedio del ritorno al passato. Forse non era vero nemmeno cinquant’anni fa che “contro il logorio della vita moderna” bastasse un Cynar; ma adesso ci vengono propinati elisir ben più velenosi: le false radici cristiane, contro la cui stretta i nostri nonni hanno combattuto per decenni; i nazionalismi, a causa dei quali dovettero combattere gli uni contro gli altri; il ritorno a una scuola severa, quella nella quale i suddetti nonni si prendevano le bacchettate sulle mani, specie se figli di poveracci. E poi – anche a seconda delle fedi politiche - lo Stato-mamma, lo Stato-balia, lo Stato-poliziotto. E così via.

Tutto quello che invece è stato progresso e liberazione è presentato come patto faustiano: il fatto che dove passano merci e persone non passano gli eserciti; il superamento dell’identitarismo (pseudo)religioso; la fine delle infatuazioni totalitarie di qualsivoglia colore; una scuola inclusiva che ha sollevato il “popolino” dall’ignoranza e l’ha incluso nel processo democratico (non mi riferisco alla recente proposta di riforma, che non conosco abbastanza, ma piuttosto all’andazzo élitista di chi se la prende a casaccio col “permissivismo sessantottino”). Ho perfino sentito un ‘intellettuale’ trentenne dire che “il Sessantotto ci ha rubato il futuro”. Come no.
È una colpa super partes: di destra o di sinistra che siano, molti vagheggiano a modo loro questa marcia indietro. C’è chi è apparentemente più innocuo, e vorrebbe semplicemente insegnare il dialetto a scuola; ma c’è anche il truce che ciancia di invasione straniera, chi contro la globalizzazione, chi vagheggia il ritorno all’uomo forte o alla lotta di classe. Invece, a parlare con gli anziani, spesso capita di trovarli più tolleranti e progressisti dei miei coetanei; mentre il “giorno d’oggi” inizia giustamente a sembrargli un grottesco ritratto di Dorian Gray che invecchia al posto loro. E insomma: tutto questo non succedeva, “quand’ero giovane io”.

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