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Israele-Gaza, perché torna la guerra

Va ricordato che la guerra (asimmetrica che sia) fa comodo: ad Hamas e anche a Netanyahu

(Keystone)
13 maggio 2021
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Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch

 

Adesso che razzi e bombe partono, colpiscono, uccidono (per ora sei israeliani, e una novantina di palestinesi a Gaza), tutto può ricominciare. Come prima, o peggio. Può ricominciare la comoda narrazione di un conflitto simmetrico, come se gli ordigni di Hamas (certo sempre più efficaci) possano essere paragonati alla potenza di fuoco israeliana, sempre sproporzionata nella sua replica armata. E può ricominciare la falsa rappresentazione delle doppie responsabilità, dimenticando frettolosamente come e per mano di chi è cominciata anche questa nuova escalation.

Per cominciare, la decisione israeliana di incrementare la politica della giudeizzazione di Gerusalemme tutta, anche attraverso l’espulsione di famiglie arabe, nello specifico dal quartiere di Sheikh Jarrah, con verdetti unilaterali sempre e soltanto imposti dalla magistratura dello Stato ebraico, sulla base di documentazione spesso farlocca, o di rinvenimenti archeologici rivelatori e ‘inoppugnabili’: l’ultima volta che ci andai, a Sheik Jarrah, in una delle frequenti soprassalti di tensione, fu proprio questo uno dei pretesti dell’ennesima ‘cacciata’, in nome della pretesa biblica che in definitiva tutto debba appartenere al ‘popolo del Libro’, come se non esistessero diritti per gli altri. Quindi, la risoluzione israeliana per cui gli abitanti arabi della ‘Città tre volte santa’ (ormai un tragico ossimoro) non avrebbero potuto partecipare alle elezioni palestinesi, perché annessi a Israele, e naturalmente senza possibilità alcuna di mettere una scheda in un’urna araba o in una israeliana, niente. E ancora, l’ennesima provocazione dei gruppi ultra-ortodossi diretti alla spianata delle moschee, sopra i resti dei due primi Templi ebraici, e che per anni l’autorità occupante aveva saggiamente bandito alla preghiera degli ebrei perché fonte di inevitabili guai; fino a quando il sopravvento della destra religiosa nelle scelte politiche israeliane non ha cambiato radicalmente le cose; tanto che da lì, e dalla prepotenza di una marcia organizzata da Ariel Sharon, scoccò la scintilla della seconda Intifada, quella armata, disastrosa per i palestinesi.

Questo per l’immediato. Certo, poi i razzi di Hamas sulle città israeliane: sorprendentemente numerosi da un territorio ingabbiato e che in realtà è sotto perenne controllo degli occhiuti monitor dell’assediante; sorprendentemente in grado di raggiungere non più e non solo le città del sud di Israele; sorprendentemente numerosi ed efficaci per essere stati costruiti clandestinamente nei famosi ‘tunnel’ meridionali sul confine con l’Egitto, che, alleato di fatto di Israele, dovrebbe garantire a Sud l’ “ermetica chiusura” della Striscia: “un carcere a cielo aperto”, lo definì un giornale conservatore come il francese ‘Le Figaro’, con la più alta densità demografica sul pianeta e il record mondiale di povertà. E inevitabilmente la replica di uno degli eserciti più organizzati e potenti dell’intera regione, con tanto di arsenale atomico, segreto di Pulcinella a cui ipocritamente tutti i governi di Tel Aviv tengono molto, quantomeno per perpetuare l’immagine di un paese, il loro, costantemente in pericolo.

Alle spalle di tutto questo, una lunga storia di attacchi e contro-attacchi, di feroce incomunicabilità, di occupazione militare della Cisgiordania, di violazione (israeliana) delle convenzioni internazionali, di colonizzazione a tappe forzate (anche a Gerusalemme), di confini ridisegnati con la forza per la sicurezza degli occupanti, di controllo della distribuzione idrica, di divieti di spostamenti per la popolazione araba (ad eccezione dei ‘frontalieri’ palestinesi indispensabili all’economia israeliana), di accordi non mantenuti, in primis quelli di Oslo, che dovevano portare ai ‘due Stati’, bloccati dall’assassinio del premier Yitzhak Rabin per mano di un fanatico religioso ebreo in una tiepida serata di novembre sulla piazza dei Re a Tel Aviv, di una strategia – prima, e poi con Bibi Netanyhau alleatosi volentieri e del tutto naturalmente con la destra nazional-religiosa – tutta tesa a depotenziare una leadership tradizionale palestinese incapace, lacerata e corrotta, prevedibile e comodo viatico per la presa del potere degli islamisti a Gaza. Non bastasse, ecco l’annessione definitiva del Golan, il preannunciato progetto di acquisire porzioni anche maggiori di Territori palestinesi soprattutto nella Valle del Giordano, la felice alleanza con un Donald Trump che ha praticamente messo nelle mani della leadership israeliana la politica americana nella regione, la decisione Usa di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme sancendo il riconoscimento della sua inviolabilità e indivisibilità, della sua eterna appartenenza a Israele anche come capitale. Infine, lo scontro sunniti-sciiti che, sempre con la benedizione e l’incoraggiamento trumpiano, ha favorito i cosiddetti ‘accordi di pace di Abramo’ (con i Signori arabi dei petrodollari), voluti e cercati soprattutto dall’Arabia Saudita (l’amico impresentabile dell’Occidente) in funzione anti-Iran. Svolta che ha acuito il senso di irrilevanza e di oblio della questione palestinese, facendo capire ai suoi scombussolati leader che non vi sono mai state e non vi saranno mai mani amiche a risolvere il loro dramma.

Certo, per concludere va ricordato che la guerra (asimmetrica che sia) fa anche comodo. Proprio così. Fa comodo ad Hamas, disposta a sacrificare altre vite sotto i bombardamenti israeliani di Gaza, per riproporsi come unico leader della resistenza palestinese. E fa comodo a Netanyahu, che, in postura di condottiero armato e primo garante della sicurezza, potrebbe anche prolungare il più possibile i tempi dello scontro (quindi più lutti e distruzioni) sperando così di fermare la destra-della-destra che contesta il primato di un leader destinato a un rischioso processo per corruzione. Eterni giochi e giochetti politici dietro le fiamme e il fumo di razzi e bombardamenti. Eterni problemi volutamente irrisolti. Eterna tragedia. Dove il ‘popolo della memoria’ continua a credere e sperare di poter annullare la memoria delle proprie vittime. Non sarà così.

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