I dibattiti

Rete Due, i conti non tornano

Cosa si sta profilando all’orizzonte? Un progetto in cui, almeno per il momento, non si vede traccia del concetto di servizio pubblico

Altre voci a difesa (Keystone)
14 dicembre 2020
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Ho iniziato come redattrice ai notiziari dell’informazione e ho concluso, alla fine del 2018, come responsabile dell’attualità culturale della Rsi. Ho lavorato tra la sede di Besso e quella di Comano per 34 anni. Ho dunque vissuto dentro Rete Due per quasi tre decenni, fino al prepensionamento. Ero lì anche quando, negli ultimi cinque anni, mi sono trovata a vivere un’altra appassionante avventura professionale, questa volta in televisione, con la produzione di Turné, il magazine di attualità culturale all’interno del Quotidiano.

Dall’inizio degli anni Novanta, quando ci sono arrivata, al 2020, la Rete Due ha vissuto momenti felici e momenti meno felici. Tra quelli felici ci metto la presenza di Giulia Fretta, alla guida del Parlato di Rete Due, una continua lezione di intelligenza creativa (è a lei che si deve la felice introduzione degli appuntamenti informativi allo scoccare della mezz’ora che aveva portato molti nuovi ascoltatori). Tra quelli meno felici o, per meglio dire, più difficili ricordo la prova che aveva dovuto superare l’allora Capo Rete, Carlo Piccardi. Era il 1992. Per dimostrare che l’attaccamento e dunque l’ascolto erano sicuramente superiori a quanto veniva sostenuto, si era inventato il Club di Rete Due. Un successo immediato e superiore ad ogni più rosea aspettativa (e continua ancora dal momento che i soci, chiamati a versare ogni anno sessanta franchi, sono poco meno di duemila). Non è un caso che l’episodio mi sia tornato in mente proprio in questi giorni.

La notizia che alla Rsi si voglia snaturare Rete Due, riducendola a un 90% di musica e a un 10% di parlato, ha suscitato nel giro di poche ore una grandiosa reazione di disapprovazione. Mentre sto scrivendo la petizione alla Ssr lanciata martedì scorso – perché è di questo che sto parlando – ha già raccolto 8’900 adesioni. Le firme sono continuate a giungere anche dopo gli interventi del direttore Maurizio Canetta di mercoledì a Rete Due e del giorno dopo nelle Cronache della Svizzera italiana. Segno che le spiegazioni date non hanno convinto, quanto meno non hanno convinto completamente. Provo a riassumerle, perché non hanno convinto nemmeno me. Rete Due non morirà, verrà solo trasformata. Si sposterà su Rete Uno e sul web quanto adesso proposto da Rete Due negli spazi giornalistici. Rete Uno, infatti, cederà l’intrattenimento a Rete Tre, non più Rete per i giovani perché i suoi ascoltatori tanto giovani non sono più, e si occuperà di cultura, informazione e sport. E ancora. Non si vuole colpire la Rete Due. Non è questa l’idea. L’idea è quella di effettuare una riforma dell’intera offerta audio.

Allora, premesso che trovo molto bello che si incrementino i prodotti sulle piattaforme web e che si possano avere trasmissioni di carattere culturale anche sulla Rete Uno (con il linguaggio adeguato a questa sede, s’intende), vorrei solo far notare che a me, figlia di geometra, i conti non tornano. Dunque, mettiamo pure che a Rete Uno vengano trattati i temi culturali. Che reale spazio avranno, dal momento che dovranno contenderselo quotidianamente con Informazione e Sport? E con la musica (perché immagino che non sparisca dal palinsesto)? Nel 10% di parlato rimasto alla Rete Due, stando a quanto annunciato, dovrebbero trovare accoglienza eventi d’attualità come il teatro, le conferenze e appuntamenti del genere. Tutto questo in un modesto 10%? Sono osservazioni di carattere tecnico-aritmetico, me ne rendo conto, e qualcuno potrebbe dire che c’è tutto il tempo per affinare il progetto. Ma credo che ci siano degli aspetti sui quali fin da adesso andrebbe fatta maggior chiarezza. Per esempio, la musica. Come verrà trattata? Per intenderci, a Rete Due è previsto che possano esserci delle presentazioni, dei commenti accompagnatori o sarà una specie di doppione di Radio Swiss Classic, Radio Swiss Jazz e Radio Swiss Pop?

Ma il vero nocciolo del problema, a dir la verità, è ancora un altro. È la Rete Due in quanto tale, quella di oggi dico, che continua, nonostante la riduzione del personale e delle possibilità finanziarie, a proporre contenuti di altissima qualità. Non c’è momento della giornata in cui l’ascoltatore non impari qualcosa di nuovo e se è già esperto non trovi ulteriori elementi di approfondimento. Vale per le trasmissioni giornalistiche come per le trasmissioni musicali. È a questo patrimonio di prodotti e di voci, a questa fonte continua di cultura che i firmatari non vogliono rinunciare. È un diritto di chi paga il canone. La Rete Due è una “scatola” perfetta con tutti i suoi diversi contenuti, è il “luogo” in cui si dà appuntamento ogni giorno una comunità di persone. La Rete Due è un bene culturale imprescindibile. Andrebbe difeso e fatto meglio conoscere (per esempio oltre San Gottardo). E invece cosa si sta profilando all’orizzonte? Un progetto in cui, almeno per il momento, non si vede traccia del concetto di servizio pubblico, quel concetto che è stato alla base di tutta la campagna in vista della votazione del 4 marzo 2018. Ce lo ricordiamo bene tutti. Un progetto la cui paternità non è stata finora esplicitata. Mi hanno detto che sarebbe di Sergio Savoia, oggi responsabile dell’offerta lineare all’interno del Dipartimento Cultura e Società, che io ho fatto in tempo a vedere in prima linea nella stessa campagna contro la No Billag. Perché questa omissione? Forse perché è evidente quanto questa nuova impostazione sia poco in sintonia con il mandato di servizio pubblico che la Rsi ha per statuto?

Ma, da venerdì 11 dicembre, abbiamo il nome del nuovo direttore della Rsi. È Mario Timbal, che nella procedura di nomina ha convinto i membri della Corsi per “la sua sensibilità nei confronti della dimensione culturale della Svizzera italiana e la sua vasta rete di contatti nel mondo della cultura e dei media”. Mi rivolgo allora a lui e alla medesima Corsi: possibile che non ci siano altre soluzioni? Nessuno nega che si debba stare al passo con l’evoluzione dei mezzi, né che ci siano delle oggettive difficoltà economiche da superare. Ma perché a farne le spese devono essere proprio gli ascoltatori di Rete Due, che – sottolineo in conclusione – saranno anche pochi, ma raggiungono comunque un numero tale da renderla la seconda emittente culturale più seguita d’Europa?

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