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Razzi, sovraffollamento, disperazione. E ora anche il freddo

A un mese dall'attacco di Hamas a Israele e la conseguente reazione sulla Striscia, la situazione dal punto di vista di Medici senza Frontiere

(@Msf)
7 dicembre 2023
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«Il 1° di novembre era stato finalmente evacuato verso l’Egitto il nostro staff internazionale e due settimane dopo quindici persone dell’équipe d’emergenza (prevalentemente chirurghi, anestesisti e personale di supporto logistico e amministrativo) erano riuscite ad entrare nella Striscia. Attualmente stiamo lavorando in due ospedali: il Nasser e l’Al-Aqsa. Fino al 4 dicembre eravamo anche in due cliniche a Khan Yunis (la Martyrs Clinic e la Beni Suhaila), dove però è stata decretata una zona d’evacuazione». Sono le parole con cui Monica Minardi, presidente di Medici senza Frontiere Italia, aggiorna la “Regione” sulle attività della Ong nella Striscia. Attività sempre pesantemente condizionate da un contesto in cui mancano beni e servizi primari e dove, dopo la breve tregua, sono tornati a parlare i razzi.

‘Cifre che fanno rabbrividire’

«Rispetto a prima del 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas ad Israele che ha poi fatto scattare le operazioni militari verso la Striscia, il contesto è cambiato radicalmente – considera Minardi –. Abbiamo cifre che solo a leggerle fanno rabbrividire. All’ospedale Nasser risultano ricoverati oggi oltre mille pazienti e c'è un’attività che è più che triplicata rispetto al normale. Idem nelle cliniche, dove arrivano a getto continuo ustionati e feriti da guerra. Purtroppo, circa il 50% di questi pazienti è costituito da bambini sotto i 5 anni. Questo a comprova che a Gaza la popolazione è costituita in maggioranza da giovanissimi».

Accanto a queste problematiche traumatiche, aggiunge la dottoressa, «vi sono sempre più casi di diarrea, diarrea acuta, infezione alle vie respiratorie e alle vie urinarie e malattie delle pelle. Fra l’altro, la temperatura è molto calata e la popolazione si ritrova in una situazione di sovraffollamento, con mancanza di beni essenziali come acqua potabile, cibo e coperte e con grossi problemi di elettricità. In questo contesto vanno inseriti anche i molti pazienti cronici che erano stati dislocati dal Nord della Striscia (in totale gli sfollati fra il 12 e il 13 ottobre sono stati oltre un milione) e che si ritrovano pertanto in situazioni fragilizzate e senza accesso ai farmaci di cui hanno bisogno. Il che determina ovvie riacutizzazioni».

‘I bisogno superano di molto l'offerta’

Un altro dato è significativo: fino a settembre nelle cliniche venivano viste 200-250 persone al giorno, mentre oggi il numero è lievitato a oltre 700, fino a 1’000 pazienti al giorno. In una delle cliniche è stato riattivato il servizio di salute materno-infantile, «ma anche qui gli enormi bisogni superano di gran lunga la possibile offerta».

Grazie alla tregua – che nel frattempo si è esaurita – Medici senza Frontiere ha provveduto a donare del materiale che è riuscita a far entrare dal valico di Rafah: circa 26 tonnellate fra farmaci ed equipaggiamento, «che coprono però – nota Minardi – solo una minima parte rispetto degli enormi bisogni che continuano ad esserci. Le poche strutture sanitarie rimaste in piedi sono drammaticamente sovraccaricate e laddove non vi siano più possibilità di degenza, i malati ed i feriti vivono all’addiaccio».

I lutti di Msf

C’è, poi, la questione dei lutti che hanno colpito direttamente Medici senza Frontiere. Durante l’evacuazione di 130 persone fra personale locale di Msf e loro congiunti dall’ospedale Al-Shifa (situato al Nord e in seguito praticamente raso al suolo) un familiare era rimasto ucciso, e un altro gravemente ferito e poi deceduto anch’egli, a causa di un attacco al convoglio «che recava chiaramente il logo di Medici senza Frontiere. Questo era accaduto nonostante posizione e movimenti di Msf, come da accordi, erano stati segnalati sia all’Esercito israeliano, sia ad Hamas». Altri due medici palestinesi della Ong, un ulteriore medico del Ministero della Sanità e un suo assistente erano poi stati uccisi mentre lavoravano all’ospedale Al Awda, «dove si trovavano da un mese senza più essere tornati a casa», aggiunge la presidente di Msf Italia.

La situazione a Jenin

E la situazione non è molto migliore in Cisgiordania: «Il nostro presidente internazionale Christos Christou era Jenin quando la clinica locale era stata attaccata, causando enormi problemi ai pazienti – che non potevano più raggiungerla – e anche al nostro staff locale, impossibilitato ad entrare in servizio perché soldati israeliani impedivano loro di farlo».

È intanto sempre attivo il fondo di emergenza di Medici senza Frontiere. Informazioni di dettaglio sulle modalità di donazione si possono ottenere scrivendo direttamente al delegato per la Svizzera italiana Giacomo Lombardi (giacomo.lombardi@geneva.msf.org).

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