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L’appello al Ticino: ‘In Israele stiamo vivendo un trauma’

La testimonianza di chi, tre anni fa, si è trasferito a Gerusalemme, dopo aver vissuto, per radici, a cavallo di Svizzera e Italia

Dominique in piazza
11 ottobre 2023
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Dominique De Bernardi, 32 anni, sposato con una donna di cittadinanza israeliana, vive e lavora a Gerusalemme. Radici fra l'Italia e il Ticino, si è trasferito in Medio Oriente da circa tre anni. Il sabato dell'attacco a Israele, da parte dei terroristi di Hamas, era a riposo, come impone la tradizione ebraica. A squarciare la giornata di festa il sibilo di una sirena. Sono le 6.30 del mattino e l'allarme, suonato in tutto il Paese, accompagna lo spaventoso quanto improvviso arrivo di missili da Gaza: «La nostra lotta al terrorismo è anche la vostra lotta», è l'appello che Dominique fa, attraverso ‘laRegione’, alla Svizzera, ai suoi politici e a tutta la popolazione.

Immaginiamo la paura e lo stordimento di quella mattina. Come ci si sente quando si comincia a realizzare, nel dormiveglia, di essere un obiettivo delle bombe?

Abbiamo percepito come dei tuoni. Siamo corsi immediatamente verso la scala centrale del nostro palazzo in cui altre persone si sono rifugiate: anziani già sopravvissuti all'Olocausto, famiglie con bambini piccoli. Poco dopo abbiamo ricevuto notizia delle barbarie avvenute nel sud del Paese... omicidi, stupri, prese di ostaggi. Un incubo. E pensare che quest'anno il sabato dell'attacco coincideva con la festa di Simchat Torah.

Vi aspettavate, nelle ultime settimane, un imminente atto simile o quantomeno la popolazione era stata allertata su eventuali pericoli o insicurezze relativi alla presenza di Hamas nella Striscia di Gaza?

È da più di duemila mila anni che il popolo ebraico è vittima di persecuzioni, ma la circostanza, tragica, che viviamo in questi giorni può essere considerata l'evento più atroce dalla fine della Shoah.


Dominique in piazza

Quali sentimenti ha raccolto, in queste ultime ore, fra gli affetti e le amicizie che le vivono lontano?

I familiari svizzeri sono molto preoccupati. Ovviamente seguono attentamente quello che sta accadendo, ma abbiamo bisogno del supporto da tutto il mondo. La lotta contro il terrorismo in Israele è la stessa lotta che ogni elvetico e ticinese dovrebbe sostenere.

Israele ha parlato, senza mezzi termini, di guerra. Teme che lo scontro possa allargarsi non solo internamente, ma anche ad altri Stati vicini?

La regione è molto instabile, specialmente in questi momenti, anche se i rapporti tra Israele e i Paesi arabi, negli ultimi tempi, stanno migliorando notevolmente, pensiamo – seppur vi sia da attendere ancora del tempo per una vera normalizzazione – all'Arabia Saudita. Questo ovviamente solleva animosità da parte di Hamas. I Paesi limitrofi a Israele, del resto, dovrebbero aver già la prova che una guerra contro lo stato ebraico significa una sconfitta a priori per tutti.

La situazione da sempre tesa in quelle già martoriate terre mediorientali pare non trovare però pace: cosa si auspica per l’immediato futuro per il popolo israeliano, per gli stranieri che lì vivono e per gli stessi palestinesi moderati?

Il popolo d'Israele vuole la pace con tutti i vicini, ma non ci lasceremo intimidire da provocazioni che possano mettere a rischio la popolazione. Tutti noi che viviamo in questa regione vorremmo vivere in armonia, senza la paura dei terroristi come Hamas, ma anche della Jihad palestinese e di Hezbollah.

Lei vive e lavora da tre anni in Israele. Non si è mai sentito in pericolo?

Mi sento molto sicuro in Israele, molto più sicuro a Gerusalemme che in molti luoghi dell'Europa. Anche se abbiamo molti problemi qui, la gente è preparata ed è resiliente alle forze del male.

Al momento crede di restare o pensa di rientrare in Italia o in Svizzera?

Amo la Svizzera, fa parte della mia infanzia, ma devo restare qui con il mio popolo.

Che idea si è fatto della Striscia di Gaza e delle tensioni in atto da decenni?

La restituzione della Striscia di Gaza in mano al popolo palestinese credo sia stato un grave errore per la possibilità di proliferare, in quella zona, di cellule terroristiche. Il risultato del resto di tale decisione lo possiamo vedere amaramente in questi giorni.

Ha paura?

Io non ho paura, ma temo per gli ostaggi. Non voglio neppure pensare a come si possano sentire nelle mani di quei terroristi.

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